Dopo la telefonata Trump-Porošenko di sabato notte, Kiev ha deciso di intensificare l'attacco al Donbass. La verosimile interruzione dei finanziamenti USA, pare aver spinto i vertici golpisti a gettare tutte le loro ultime risorse nel tentativo di conquistare posizioni decisive e costruire una testa di ponte per un attacco in grande stile alle Repubbliche popolari. Ignorando platealmente le disposizioni degli accordi di Minsk sul ritiro delle armi pesanti, queste vengono sempre più ammassate a ridosso della linea del fronte. Poche informazioni stamani dai punti più caldi del fronte settentrionale della DNR, mentre da ieri sera sono in corso forti bombardamenti nella parte meridionale, in particolare su Sakhanka, Leninskoe e Kominternovo. Presumibilmente verso quest'ultima località si stavano dirigendo una lunga colonna di mezzi blindati e tre battaglioni neonazisti di “Azov”, visti transitare nelle prime ore di stamani per le strade di Mariupol.
Già nella serata di ieri, il comando delle milizie della DNR aveva diffuso una dichiarazione urgente sul dispiegamento di forti contingenti di truppe ucraine e mezzi corazzati, oltre a 2 batterie missilistiche “Točka-U” nell'area di Avdeevka e altre 6 in quella di Novobakhmutovka, nella previsione di un attacco lungo tutto il fronte, concentrando i colpi sulle direttrici di Donetsk (bersagliata ininterrottamente da ieri pomeriggio) e di Mariupol. Nel comunicato rilasciato dal vice comandante di corpo delle milizie, Eduard Basurin, si parlava anche di distaccamenti della Guardia nazionale dislocati nell'area di Volnovakha; all'opera anche cecchini: un miliziano della DNR è rimasto ucciso. Tornato in prima linea, a capo di due compagnie neonaziste, anche l'ex capo di “Pravyj Sektor” Dmitryj Jaroš. Eduard Basurin ha lanciato un appello alle forze ucraine, perché prendano coscienza dei veri obiettivi della “criminale dirigenza militare-politica” golpista, preoccupata solo dei propri interessi e di quelli degli oligarchi ucraini, e si schierino quindi dalla parte delle milizie del Donbass.
E' di poche ore fa la notizia diffusa da novorosinform.org, secondo cui un drone strategico statunitense RQ-4A Global Hawk “UAVGH000” avrebbe sorvolato per dieci ore la linea di separazione tra milizie e forze ucraine a un'altezza di quindicimila metri. Dato che il Global Hawk è in grado di esplorare un'area fino a 300 km, il drone ha potuto osservare l'intero territorio di DNR e LNR e anche la regione russa confinaria, chiarendo dunque la reale dislocazione delle forze in campo. Il drone sarebbe decollato da Sigonella, sorvolando la Romania a nord della Moldavia, proseguendo poi verso est sopra le regioni di Kirovograd e Dnepropetrovsk, fino alla regione di Donetsk.
Il Global Hawk può aver dunque esplorato anche la situazione nell'altra area che, secondo l'Osce, è ai primi posti delle “preoccupazioni” europee per le tensioni sul vecchio continente: la “guerra congelata” in Transnistria. Appena sabato scorso, l'attuale capo dell'Osce, il Ministro degli esteri austriaco Sebastian Kurz, si è incontrato coi neo presidenti di Moldavia e di Transnistria, Igor Dodon e Vadim Krasnoselskij.
Il leader del Partito Socialista e nuovo presidente moldavo, Igor Dodon, dopo alcune dichiarazioni all'apparenza distensive, sembra orientarsi ora sempre più decisamente per il reintegro della Tansnistria nella compagine moldava, pur con uno status speciale, prospettiva cui si oppone la leadership di Tiraspol. Sarebbe questo il succo dei colloqui di sabato scorso tra Dodon e Kurz a Kišinëv. La Transnistria, abitata per oltre il 60% da russi e ucraini, raggiunse l'indipendenza dalla Moldavia (in cui all'epoca erano fortissime le spinte all'unione con la Romania) nel 1992 e da allora, riconosciuta solo da Mosca, vive in una situazione di “non guerra” con Kišinëv, pur se negli ultimi tempi Tiraspol ha lanciato ripetuti allarmi su una possibile intesa tra la stessa Kišinëv e Kiev, per cercare di soffocarne l'indipendenza.
Da parte sua, il primo ministro moldavo Pavel Filip, ha auspicato un approfondimento del processo negoziale secondo il formato “5+2” (colloqui diretti Moldavia-Transnistria, con la mediazione di Russia, Ucraina, Osce e la presenza di osservatori USA e UE), dicendosi contrario alla proposta del Partito socialista e di Dodon sulla federalizzazione del paese.
Kurz si è poi incontrato anche a Tiraspol col presidente Vadim Krasnoselskij, che difende la piena indipendenza dalla Moldavia e l'unione alla Russia, ribadite dal referendum del 2006. Kurz ha insistito sul rafforzamento della “fiducia reciproca tra le due sponde del Dnestr”, ribadendo quale “percorso corretto, più che la federalizzazione, quello dello status speciale concesso alla Transnistria, nel contesto di sovranità e integrità territoriale della Moldavia”.
Sul fronte più esterno dei confini moldavi, Igor Dodon comincia oggi una due-giorni a Bruxelles che prevede colloqui sui rapporti bilaterali tra Kišinëv e Commissione Europea, Consiglio UE e Nato, in particolare per l'accordo di associazione sottoscritto due anni fa dalla precedente leadership moldava e che, mentre ha precluso il mercato russo alle merci moldave (per i dazi imposti da Mosca), non ha visto alcun aumento di export verso i paesi UE. Alla vigilia del viaggio, Dodon ha detto che potrebbe sottoporre l'accordo a referendum, ricordando che in Moldavia i fautori dell'eurointegrazione sono precipitati dal 70% del 2009 al 39% attuale, mentre sarebbe ora del 44% il numero dei sostenitori dell'integrazione all'Unione economica eurasiatica, con cui il presidente si appresterebbe a sottoscrivere un memorandum di collaborazione.
Riguardo i rapporti tra Moldavia, paese neutrale e Nato, Dodon avrebbe intenzione di chiedere a Jens Stoltenberg di rinunciare all'apertura di un ufficio di collegamento (il relativo protocollo è stato firmato lo scorso dicembre tra Stoltenberg e il premier moldavo Pavel Filip), da molti temuto quale primo passo dell'ingresso nell'Alleanza atlantica. Chissà che Bruxelles non decida di intensificare gli sforzi in direzione degli esponenti moldavi più ligi alle direttive occidentali, che non hanno ancora accettato la vittoria elettorale di Dodon.
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