L’ agenda di Trump, squadernata in un discorso di sessanta minuti alla Nazione Americana, fra contraddizioni e manie di grandezza, apre a scenari imprevisti ed inquietanti. Qui di seguito i commenti di alcuni analisti dei più autorevoli quotidiani, ci descrivono un’ America pericolosamente ed oltremodo divisa, anche fra passato e presente.
Traduzione e cura di Francesco Spataro
Il “Washington Post” – l’autorevole quotidiano che, insieme alla CNN, il presidente Donald Trump, ha dichiarato non volere fra i media ammessi alle su conferenze stampa – scrive oggi che, nel suo discorso sullo “Stato della Nazione” di ieri sera, l’uomo più potente del mondo ha cercato di lustrare a nuovo, ma moderatamente, i principali argomenti della sua campagna elettorale, fatta di tante promesse, proclamando quello che lui stesso ha definito “un nuovo capitolo della grandezza Americana”, di rinnovamento economico e potenza militare. Proprio sulle spese militari si è concentrata buona parte della dichiarazione. Trump ha annunciato ai quattro venti il suo progetto per innalzare ulteriormente gli stanziamenti per gli armamenti. Per misurare la portata delle sue affermazioni, si può citare il caso di uno dei più accaniti critici repubblicani del presidente, il senatore dell’Arizona John McCain, che si è addirittura alzato in piedi – non nascondendo affatto il suo entusiasmo – quando Trump ha dichiarato che avrebbe posto fine al “sequestro”, delle risorse che il Pentagono ha a disposizione per la difesa militare. In un altro passaggio il Presidente si augura che “l’America trovi nuovi amici, e modelli nuove partnership, laddove risiedono interessi da condividere.” Rassicura la platea di “volere armonia e stabilità, non guerra e conflitto.” In materia di immigrazione, apparentemente argomento difficile da gestire, Trump ha comunicato di voler aprire ad una riforma del progetto di legge, anche se non ha chiarito assolutamente quali termini avrebbe trovato accettabili, in un compromesso di qualche tipo. Ha dichiarato che sosterrebbe “un programma di immigrazione che si basi sul merito”, sul modello di quello canadese od australiano, che permetta di entrare nel Paese solo a quelle persone che si possono sostenere finanziariamente da sole e che possano contribuire in un qualunque modo alla società. Con questo sembra finire il concetto secolare che vedeva gli Stati Uniti, come il “Paese delle opportunità”.
Secondo il quotidiano “New York Times”, invece, soltanto poche ore prima del discorso Trump si sarebbe affrancato dalla sua ruvida presa di posizione sull’immigrazione, lasciando intendere che sarebbe stato garantito lo status legale a milioni di immigrati senza documenti, a patto che non avessero commesso gravi crimini; ma nelle sue dichiarazioni non vi è stata alcuna traccia di un intento del genere, e sopra ogni frase aleggiava, nei confronti dell’immigrazione, lo stesso sentimento di severità, tipico, della sua campagna elettorale.
Alcune persone, presenti alle riprese televisive alla Casa Bianca, riferiscono che avrebbe definito anche “possibile” che, in una certa misura, la garanzia della cittadinanza a giovani migranti senza documenti portati negli USA da bambini. Questo cambiamento sarebbe andato ben al di là dell’ordine esecutivo del Presidente Obama che, nel 2012 offriva loro soltanto un permesso temporaneo di lavoro.
In un’altra parte del giornale, si fa invece riferimento ai “food stamps”, i cosiddetti “buoni cibo” che permettono ai meno abbienti di sfamarsi in qualche modo; e si scopre così che, secondo il Ministero dell’ Agricoltura, ben 43 milioni e trecentomila americani ne fano uso; ma di politiche del lavoro, per favorire l’occupazione e arginare la perdita di migliaia di posizioni lavorative, nel discorso al Congresso, neanche l’ombra. Il problema del lavoro, viene toccato solo per via indiretta, citando i posti di lavoro che creerebbe la costruzione del gasdotto in Dakota o la cancellazione del TPP, che restituirebbe ossigeno all’economia Americana.
Il quotidiano inglese “The Guardian”, nella sua edizione statunitense, fa notare che le dichiarazioni al Congresso hanno cercato di calmare le opposizioni, ma sono state condannate all’istante perché piene di inesattezze e prive di dettagli. Indossando una cravatta a strisce blue e bianche invece della sua preferita, di colore rosso, ha fatto il suo ingresso su di una scena totalmente trasformata, da quella dello scorso anno, durante il discorso che aveva tenuto Barack Obama.
“Sono qui questa sera per consegnarvi un messaggio di unità e forza, ed è un messaggio che esprimo dal profondo del mio cuore. Sta iniziando un nuovo capitolo della grandezza Americana. Un nuovo orgoglio americano si sta diffondendo rapidamente nella nostra Nazione. Ed una nuova ondata di ottimismo ci sta offrendo, a portata di mano, sogni che sembravano impossibili da realizzare. Quello di cui oggi noi siamo testimoni, è un rinnovamento dello spirito Americano”, ha affermato Donald Trump.
Senza scomodare le tesi di F. O. Matthiessen, sul “Rinascimento Americano”, ci sembra che il neo-presidente, con una grande dose di retorica, voglia ricordarci che il “sogno Americano”, dopo la “ribellione del 2016”, da lui più volte citata, dopo l’impoverimento della classe media, il declino delle metropoli, l’apertura dei confini, i miliardi spesi inutilmente oltreoceano, è finalmente arrivato il momento di rispondere ad una domanda cruciale posta dal popolo americano, “che l’ America metta i suoi cittadini al primo posto, di nuovo…Perché soltanto allora, potremo rendere l’ America di nuovo grande”. Parole che sono rimbalzate più volte, durante la campagna elettorale, ma che suonano alle nostre orecchie come ricordo del mito della frontiera americana, foriera di una società basata su un individualismo feroce.
Il quotidiano è l’unico, fra i più autorevoli, che cita un passo in cui il presidente afferma che, dopo il suo insediamento, numerose società straniere si erano fatte avanti per investire “miliardi e miliardi di dollari” negli States, e per contribuire a creare decine di migliaia di nuovi posti di lavoro; ma un’analisi di Bloomberg (la multinazionale americana operativa nel settore dei media) ha individuato che la maggioranza di queste offerte erano state fatte antecedentemente all’insediamento di Trump; in realtà non hanno creato lavoro, e nulla hanno a che vedere con il nuovo presidente.
Sembra proprio questa la chiosa contraddittoria del “Primo Discorso al Congresso Americano” del neo-eletto Donald Trump: verso il futuro, con le armi del passato.
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