Inizia oggi a Bologna il G7 sull’ambiente. Un articolo pubblicato un anno fa sul The Guardian da Jason Hickel (pensatore radicale di cui già avevamo apprezzato la chiarezza espositiva) ci offre alcuni spunti semplici ed altrettanto evidenti da proporre all’attenzione sulle tematiche ambientali in giorni in cui respiriamo una rinnovata spinta della retorica “green” istituzionale. Dall’articolo si evince chiaro come una mossa in direzione di un completo rinnovamento delle tecniche di produzione di energia, in modo tale che questa sia totalmente pulita, è una condizione necessaria ma non sufficiente per evitare eventuali catastrofi ambientali. Bisogna, dunque, ripensare il modello di produzione, affinchè esso sia in armonia con le finite risorse ambientali. Un ulteriore pregio (non voluto) dell’articolo di Hickel sta nell’accompagnare il lettore fino a un certo scenario di constatazioni, lasciandogli il compito di fare da solo un ultimo fondamentale passaggio: il ragionamento dell’autore si ferma infatti di fronte all’evidenza che “la decrescita materiale non è incompatibile con alti livelli di benessere umano”, e lascia ai comunisti il dovere (ormai annoso) di sottolineare anche come essa sia però assolutamente incompatibile con il capitalismo. Un sistema basato sull’accumulazione volta alla ricerca del profitto, possibile solo tramite l’estrazione di valore dal lavoro vivo da parte di attori economici in perenne concorrenza tra loro, un sistema che non tiene conto della materialità oggettiva e della finitezza del mondo che ci circonda non è compatibile con una pianificazione sociale della produzione e con un’accumulazione che rispetti l’equilibrio ecologico. A maggior ragione oggi, nel pieno corso di una crisi sistemica che sta manifestandosi tramite l’accentuata competizione tra poli che sgomitano per accaparrarsi risorse e mercati a svantaggio degli altri e a discapito degli ultimi della Terra (gli stessi che più stanno subendo le tragiche conseguenze delle trasformazioni climatiche e ambientali), una equilibrata co-evoluzione Uomo-Natura porrebbe inaccettabili limiti sociali al profitto, qualcosa che le nostre classi dirigenti non si sognano nemmeno, siano esse rappresentate dal Trump di turno o dai sostenitori dell’inutile accordo siglato a Parigi nel dicembre 2015. Un ammonimento dunque contro le sirene della “decrescita”, le quali sono un fastidioso ronzio nelle orecchie di chi avrà da temere solo dall’organizzazione degli interessi di classe organizzati contro il proprio imperialismo.
All’inizio di quest’anno (2016, ndt) i media di tutto il mondo hanno annunciato che nel mese di febbraio si sono sorpassati i livelli massimi raggiunti della temperatura globale di un ammontare scioccante, così come nel mese di marzo. A giugno, i nostri schermi erano pieni di immagini surreali dell’esondazione a Parigi, la Senna aveva rotto gli argini riversandosi nelle strade. A Londra, le inondazioni avevano fatto riversare l’acqua nel sistema fognario esattamente nel cuore di Covent Garden. Le strade a sud-est erano diventate fiumi profondi due metri.
Dal momento che questi eventi estremi stanno diventando sempre più comuni, sono pochi quelli che ancora negano il cambiamento climatico. Finalmente si sta cristallizzando un consenso intorno ad un fatto cruciale: i combustibili fossili ci stanno uccidendo. Dobbiamo passare all’energia pulita, ed in fretta.
La crescita di preoccupazione riguardo ai pericoli dei combustibili fossili rappresentano un cambiamento nelle nostre coscienze. Ma non posso fare a meno di temere che abbiamo sbagliato il punto. Per quanto l’energia pulita sia importante, la scienza è chiara: non ci salverà dal cambiamento climatico.
Supponiamo, giusto per amor di discussione, di essere in grado di soppiantare i combustibili fossili e avere un’energia pulita al 100%. Ovviamente questo sarebbe un passo vitale nella giusta direzione, ma anche nel migliore dei casi non basterebbe ad evitare catastrofi climatiche.
Perché? Perché la combustione dei fossili contribuisce solo al 70% del totale dell’emissioni di gas a effetto serra a causa dell’uomo. Il restante 30% deriva da numerose cause. La deforestazione è una delle più importanti. Allo stesso modo anche l’industria agricola, che degrada il suolo fino al punto in cui comincia ad emettere CO2. Poi c’è l’allevamento industriale che produce 90 mila tonnellate di metano l’anno e la maggior parte di ossido nitrico derivante da cause antropologiche. Entrambi questi gas sono più potenti rispetto al CO2 per quanto riguarda il riscaldamento globale. Gli allevamenti industriali, da soli, contribuiscono al riscaldamento globale più di tutte le macchine, i treni, gli aerei e le navi di tutto il mondo. La produzione industriale del cemento, dell’acciaio e della plastica sono un’altra grande matrice dell’emissione dei gas ad effetto serra, e poi ci sono le nostre discariche, che buttano fuori un enorme ammontare di metano – 16% del totale mondiale.
Parlando di cambiamento climatico, dunque, il problema non è solo il tipo di energia che si produce, ma anche come questa venga utilizzata. Che cosa faremmo con un’energia pulita al 100%? Esattamente quello che stiamo facendo coi combustibili fossili: radere al suolo più foreste, costruire più allevamenti, espandere l’industria agricola, produrre più cemento e riempire più discariche, tutte cose che rilasciano elevati livelli di gas ad effetto serra mortale nell’aria. Facciamo queste cose perché il nostro sistema economico ci richiede una crescita infinita e per qualche ragione non abbiamo considerato di mettere in discussione ciò.
Pensatela in questo modo. Quel 30% di gas che non viene fuori dai combustibili fossili non sono statici. Ogni anno si sommano nell’atmosfera. Alcuni scienziati hanno previsto che le nostre foreste tropicali saranno completamente distrutte entro il 2050, rilasciando 200 miliardi di tonnellate di carbonio nell’atmosfera. Il terreno mondiale potrebbe degradarsi nel giro di soli 60 anni, rilasciando ancora più carbonio. Le emissioni dell’industria del cemento cresce ad un tasso di più del 9% annuo. E le nostre discariche si stanno moltiplicando a vista d’occhio: Entro il 2100 produrremo 11mila tonnellate di rifiuti solidi al giorno, tre volte tanto quanto ne produciamo oggi. Passare all’energia pulita non può modificare tutto questo.
Il movimento ambientalista ha commesso un errore enorme. Abbiamo concentrato tutta l’attenzione sui combustibili fossili, quando avremmo dovuto puntare a qualcosa di molto più profondo: le basi logiche del nostro sistema economico. D’altronde, stiamo usando i combustibili fossili solo per alimentare l’imperativa crescita del PIL.
Il problema alla radice è il fatto che il nostro sistema economico chiede una crescita eterna dei livelli di estrazione, produzione e consumo. I nostri politici ci dicono che dobbiamo mantenere una crescita annua dell’economia globale ad un tasso di più del 3%, il tasso minimo che consente alle grandi imprese di fare profitti aggregati. Questo significa che ogni 20 anni dobbiamo raddoppiare l’ampiezza dell’economia globale – raddoppiare le macchine, raddoppiare la pesca, raddoppiare l’estrazione, raddoppiare i McFlurries e gli iPads. E raddoppiarli di nuovo dopo 20 anni.
I nostri più ottimistici sapientoni gridano che le innovazioni tecnologiche ci aiuteranno a staccare la crescita economica dall’accumulo di materiale. Ma purtroppo non esistono evidenze del fatto che ciò stia accadendo. L’estrazione e il consumo materiali globali sono cresciuti del 94% dal 1980, e stanno salendo ancora. Le previsioni odierne mostrano come entro il 2040 le miglia di trasporto via mare, via aerea e ferroviaria – con tutte le cose materiali che questi veicoli trasportano – verranno più che raddoppiate, quasi esattamente come il tasso di crescita del PIL.
L’energia pulita quindi, importante come è, non ci salverà dall’incubo. Ripensare il nostro sitema economico invece potrebbe. La crescita del PIL ci è stata venduta come l’unica strada da percorrere per creare un mondo migliore. Ma abbiamo robuste evidenze che questo non ci fa più felici, non riduce la povertà, e le sue “esternalità” producono tutti i tipi di problemi sociali: debito, troppo lavoro, ineguaglianza e il cambiamento climatico. Dobbiamo abbandonare il concetto di crescita del PIL come più importante indicatore di progresso, e dobbiamo farlo immediatamente – come parte integrante dell’accordo sul clima che verrà ratificato in Marocco.
È ora di utilizzare il nostro potere creativo per immaginare una nuova economia globale – una che massimizzi il benessere dell’uomo riducendo la nostra impronta ecologica. Non è un obiettivo irraggiungibile. Molte nazioni hanno cominciato a raggiungere alti livelli di sviluppo umano con bassi livelli di consumo. Infatti Daniel O’Neill, un economista dell’Università di Leeds, ha dimostrato che anche la decrescita materiale non è incompatibile con alti livelli di benessere umano.
La nostra focalizzazione sui combustibili fossili ci ha cullati nel pensare che avremmo potuto continuare con lo status quo a patto di introdurre a pieno regime l’energia pulita, ma questa è una pericolosa assunzione semplicistica. Se vogliamo allontanare la crisi imminente, dobbiamo affrontare le cause sottostanti.
* antropologo presso la London School of Economics
** traduzione a cura di Noi Restiamo – Bologna
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Aldo
A metà articolo riferito alle cause di emissione di CO2: forse volevate dire antropiche e non antropologiche. Saluti