Come nei peggiori governi dell’omertà l’esecutivo Gentiloni, tramite il ministro degli Esteri Alfano, ha attuato nella vigilia ferragostana la disonorevole manovra di reinsediare l’ambasciatore al Cairo. Così Giampaolo Cantini, già da tempo nominato, ma rimasto finora a casa, è volato nella capitale egiziana. La situazione era bloccata dalla semi crisi diplomatica innescata un anno e mezzo fa dal caso Regeni, ma sul suo oscuro sequestro, sulle reiterate sevizie, sul vile assassinio sta prevalendo la logica dell’affare di Stato e, ancor più, degli affari mercantili intrecciati dalle due nazioni. Una logica che getta il proprio peso sulle stesse volontà dei magistrati Pignatone e Colaiocco, depositari italiani dell’inchiesta, e in precedenti occasioni (in aprile, settembre, dicembre del 2016) sempre delusi dall’insignificante contributo offerto alle indagini dai colleghi egiziani. Ora anche i pm della procura romana sembrano accettare taluni documenti, anche video, provenienti dal Cairo.
In realtà nei circa 18 mesi di tentata collaborazione i due magistrati avevano solo constatato l’inconsistenza degli indizi egiziani, prove taroccate per false piste atte a coprire le responsabilità poliziesche. In tal modo le ricerche italiane sono finite ostaggio della limacciosa palude istituita dalla politica cairota, a cominciare da quella messa in atto dal presidente Al Sisi e proseguendo attraverso la catena securitaria del terrore da lui istituita assieme ai responsabili di vari organismi, come il ministro dell’Interno Ghaffar. Quest’ultimo, da ex supervisore dell’apparato dei mukhabarat, l’Intelligence addestrata da decenni dalla Cia, più altre figure di vertice del Gotha politico-militare, hanno la responsabilità morale dei tragici sviluppi del caso Regeni. Costoro hanno pianificato, organizzato, reso praticabile quella repressione che da quattro anni affligge la parte degli egiziani che non si piega alla restaurazione. Nella viscida e fosca rete di baltagheyah, informatori di quart’ordine o quelli più introdotti negli uffici polizieschi, come l’Abdallah, capo del sindacato ambulanti (colui che dopo aver provato a vendere certe notizie allo studioso friulano, l’ha venduto agli agenti suoi amici) si potrebbero facilmente individuare gli aguzzini di Regeni.
Tutto questo, però, continua a essere ostacolato perché ogni pedina locale è funzionale a un sistema costruito, o ricostruito, pezzo dopo pezzo e Sisi non offrirà mai la testa dei suoi collaboratori. Significherebbe incolpare se stesso. In molti casi niente era stato toccato dall’aleatorio governo Morsi, esautorato col colpo di stato bianco del giugno 2013, poi tintosi di rosso sangue proprio fra il 14 e 15 agosto di quell’anno. Quello spargimento di sangue e l’orrore non sono mai cessati. Hanno colpito, una dopo l’altra, ogni sponda politica non conformata a qualcosa che è anche peggio del mubarakarismo perché gestito senza filtri di parvenza partitica dalla lobby militare.
Le logiche sono le stesse: rilancio del blocco affaristico para-occidentale, seppure siano presenti nel Paese varie aree d’instabilità attaccate dal jihadismo (il Sinai su tutte e la capitale), che mettono a rischio gli introiti interni ed esteri del business turistico. Cosicché la vicenda giuridica dell’affare Regeni è indissolubilmente legata alle politiche dell’Egitto dell’ultimo quinquennio. Si trascina lo spinosissimo tema studiato da Giulio: l’irrisolta questione d’un crudele sfruttamento del lavoro salariato, correlata alla mancata redistribuzione della ricchezza che mostra, come prima e più di prima, ras e tycoon arricchirsi sulla pelle dei lavoratori, anche quando l’impresa è diretta da uomini dello Stato che vestono la divisa. I
familiari di Regeni, la società civile italiana ed egiziana, i comunicatori, i sinceri democratici dei due Paesi e di altri ancora che si sono occupati della querelle, lanciando una campagna a sostegno della ‘verità e giustizia’, con la scelta della politica romana vivono un ulteriore abbandono. Il titolare della Farnesina e diversi politici la giustificano, sostenendo che dalla capitale d’Egitto il nostro diplomatico potrà osservare, scrutare, capire meglio (sic).
Coloro che fanno finta di non capire sono i nostri politici che, balbettando quest’alibi, accreditano la prassi bugiarda, depistatrice, cinica, assassina di chi attualmente guida quel Paese. Personaggi che andrebbero additati sulla scena internazionale, per poterli contrastare. Chi da noi pensava che i Renzi, i Gentiloni, gli Alfano e i coriferi che gli fanno eco volessero difendere la dignità italiana, oltre al senso di giustizia e alla memoria d’un cittadino seviziato, trova una risposta in questi fatti. Regeni viene ancor più umiliato con un percorso di realpolitik che, come mille altre volte, mira alla conservazione assoluta di omertà e segreti. E affratella perfettamente le leadership italiana ed egiziana.
articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it
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Eros Barone
La famiglia Regeni si indigna (così scrivono i giornali) perché il governo italiano invia il proprio ambasciatore al Cairo, nonostante che il caso del figlio non sia stato risolto. Ormai nessuno sa più chi sia e di che si tratti. Orbene, è noto nella letteratura sociologica che il familismo è un dato oggettivo del nostro paese, ma in questo caso sono la logica, il buon senso e l’identità nazionale a difettare: l’Italia avrebbe dovuto rompere i rapporti diplomatici con l’Egitto per dare soddisfazione alla famiglia Regeni.
angelo genovesi
con tutta la comprensione per i genitori del povero Regeni.. e la compassione che provoca la morte atroce di questo ragazzo, alcune domande si impongono. primo a chi giova il ritrovamento del corpo, secondo perché a nessuno viene in mente che dietro ciò vi possano essere oppositori di Al Sisi ( fratelli mussulmani ? ), terzo potrebbe essere che qualcuno sia interessato a bloccare gli accordi con l’Egitto per quanto riguarda il gas ? ( gli americani, gli inglesi ? ). Son tutte domande da farsi non credete ?
alex1
Sono domande da farsi, in effetti.
Marco
Qualcuno ha chiesto agli Inglesi? A coloro che hanno inviato Regeni in Egitto?
Gli affari che stava facendo l’Eni, quindi il nostro Paese in Egitto, erano (sono) scomodi per qualcuno?
Mi pare dimostrato che UK, Francia, Germania per non parlare degli Usa, guerrafondai a prescindere, fanno i loro interessi e per difenderli sostengono ed abbattono chiunque.
Il paradiso per loro puó attendere, mentre noi crediamo agli angeli.
andrea
perchè non fate un’inchiesta su Oxford Analytica e sui suoi pupari ( il fratello di pontecorvo dovrebbe già bastare ) che hanno tentato di inviare dopo Regeni un altro ricercatore italiano ( sempre italiani mah ? ) a fare la medesima ricerca? Agli anglosassoni non è piaciuto che ENI gestisca la scoperta di un immnesno giacimento in Egitto con Cinesi e Russi, infatti qyuando fu ritrovato il corpo di Regen? dai Redazione potete farcela
Giulio Bonali
Completamente d’ accordo con Marco: la verità su Regeni va cercata innanziturtto in Gran Bretagna, nell’ univresità per la quale lavorava molto probabilmente (se in buona o in mala fede, sospenderei il giudizio) come spia.
Ma né la famiglia Regeni, né il governo osano farlo (comodo prendersela con l’ ultima ruota del carro dell’ imperialismo occidentale; per prendersela coi veri mandanti occorre molto più coraggio).
Perciò non credo la si conoscerà mai.
Giulio
Carlo
Non comprendo perché Contropiano pubblichi queste schifezze di articoli……i commenti sono molto meno ingenui dell’autore dell’articolo, ma anche della redazione di Contropiano. Per un po’ di consenso (di chi?) preferite passare per babbei?
Vi pongo una serie di domande: perché un “compagno” lavora per Oxford Analytica? Perché lavora per Cambridge? Era così ingenuo come vuole far passare l’opinione pubblica italiana? Perché dobbiamo fare la figura dei fessi e farci dire dalla stampa reazionaria come sono andate verosimilmente le cose?
I compagni che conosco io non scrivono sul Manifesto, fanno lotta politica con sindacati di base, movimenti, partiti, associazioni di ogni genere non con Cambridge e Oxford Analytica.
Sarò cinico, ma non sono fesso