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Catalunya reagisce al terrorismo e rifiuta il mantra dell’unità

I governi occidentali hanno fatto nei decenni scorsi un uso ben preciso degli attentati terroristici: spaventare e ricondurre all’ordine la popolazione, rafforzare lo status quo e ridurre al silenzio le opposizioni. Che si tratti della strategia della tensione o degli attentati di Al-Qaeda e Daesh la conseguenza è la riduzione degli spazi della politica, della democrazia e del conflitto. In questo senso gli attentati di Barcelona e Cambrils non sembrano fare eccezione.

Le voci più autorevoli dei poteri forti spagnoli (a cominciare da El País) hanno subito approfittato dell’attentato per reclamare ai cittadini catalani, al movimento indipendentista e al governo della Generalitat di smettere di inseguire la “chimera” dell’emancipazione nazionale e tornare alla normalità. Voci più becere (El Mundo) hano sostenuto una relazione diretta tra la storica tradizione di accoglienza di Catalunya e gli attentati di Daesh, invocando il controllo delle frontiere. E soprattutto la monarchia borbonica ha cercato di approfittare dell’occasione per assestare un duro colpo all’indipendentismo e ricondurre il popolo catalano sotto le proprie insegne: alla vigilia del referendum per l’autodeterminazione di Catalunya dell’1 ottobre, il re Felipe VI si è così presentato alla manifestazione di Barcelona in cerca di una foto che lo ritraesse alla testa del movimento popolare di rifiuto al terrorismo e di solidarietà con le vittime. Ma non l’ha trovata.

Così come El País e El Mundo, si è scontrato con un dato di fatto difficile da smentire: la società catalana è oggi più che mai maggioritariamente indipendentista, sia nelle piazze che nel Parlamento catalano, dove il Partido Popular e il Psoe, gli alfieri dell’austerità a Madrid e in Europa, si trovano in minoranza. E nella manifestazione di Barcelona, Felipe VI è stato sonoramente fischiato, non solo dalla sinistra anticapitalista e indipendentista guidata dalla Candidatura d’Unita Popular (CUP) bensì da larghissimi settori dell’enorme corteo. Il rifiuto della presenza del re, con lo slogan fora el borbó, è riecheggiato a lungo nel Passeig de Gràcia. In questo popolo di tradizione repubblicana e sociologicamente antifascista, la sinistra anticapitalista e indipendentista ha svolto oggi (26/08/2017) un ruolo decisivo dando appuntamento a tutti due ore prima del corteo ufficiale (nel quale poi è confluita) per marcare le differenze e sottolineare il proprio disaccordo con la presenza di Felipe VI, il monarca che nel gennaio di quest’anno si è recato in Arabia Saudita per rafforzare i legami tra i borboni e la monarchia saudita (approfittando tra l’altro del viaggio per vendere agli emiri alcune fregate da guerra).

La contestazione al re si è accompagnata, con differenti sfumature, alla denuncia delle guerre degli stati Uniti e dell’Unione Europea, in Irak, in Siria, in Libia…, come una causa dei cosiddetti disastri umanitari e della crescita dell’integralismo e del terrorismo, in particolare di Daesh. Senza dimenticare la natura intrinsecamente fascista di quest’ultimo.

Con la propria presenza la sinistra anticapitalista e indipendentista oggi ha garantito lo spazio per la critica, rispedendo al mittente l’operazione dei poteri forti spagnoli volta a imbavagliare un intero popolo e ad inviare le forze di polizia ad occupare non solo le piazze bensì soprattutto lo spazio della politica. Una volta di più è da sottolineare il ruolo svolto dalla sinistra, decisiva nel movimento indipendentista, un movimento che dopo la straordinaria manifestazione di Barcelona, sembra più che mai inarrestabile.

Da www.catalunyasenzarticolo.

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