A forza di restare schifati davanti all’osceno spettacolo della “politica” italiana, nel corso dei decenni si è fatta strada una “narrazione” edificante sulle consuetudini di altri paesi occidentali. In testa a tutti, naturalmente, c’è “il tempio della democrazia liberale”, ovvero gli Stati Uniti.
La perfezioni di quel sistema sarebbe stata di recente “turbata” dall’irruzione di un animale selvatico di nome Trump, addirittura sostenuto dai trinariciuti di Mosca – non più comunisti, ma comunque russi – soltanto per far fuori la liberal Hillary Clinton e dunque impedire l’elezione della prima donna alla poltrona più importante del pianeta.
E’ una narrazione attendibile? I giornali italiani che l’hanno imposta giurano di sì, i fatti dicono l’esatto opposto.
Il New York Times, potente network che aveva sostenuto senza riserve la Clinton e la tesi della “manina russa” dietro l’avanzata del tamarro col parrucchino, ha rivelato ieri – probabilmente soffrendo, ma con un briciolo di onestà giornalistica – che quella tesi e relativi dossier sono stati pagati dal Comitato Nazionale del Partito Democratico, anzi direttamente con i fondi della campagna elettorale di Hillary.
“Un portavoce di uno studio legale ha dichiarato martedì che aveva assunto investigatori di Washington per raccogliere informazioni dannose su Mr. Trump su numerosi argomenti – inclusi possibili legami con la Russia – per la campagna Clinton e il D.N.C”.
Ossia proprio quello che Trumo e i suoi sostenitori avevano denunciato per emsi, pur non potendo mai esibire prove.
Ora si sa che “le informazioni contenute nel dossier sono state compilate da una ex spia britannica che era stata contratta dalla società di ricerca Fusion GPS di Washington”. Più precisamente, “La lettera presentata in tribunale afferma che Fusion GPS ha iniziato a lavorare per lo studio legale Perkins Coie nell’aprile del 2016“. Ed è ufficiale che “Lo studio Perkins Coie è stato pagato 12,4 milioni di dollari per rappresentare la campagna Clinton e il Democratic National Committee durante la campagna del 2016”.
“Al momento in cui i democratici iniziarono a pagare per la ricerca, Trump era in procinto di ottenere la nomina presidenziale repubblicana e gli alleati della Clinton si stavano affrettando a capire come correre contro un candidato che aveva già subito gli attacchi da rivali repubblicani per le sue posizioni politiche spiazzanti, il suo personaggio e il suo record di business”.
La spia inglese si chiama Christopher Steele, ex agente con vasta esperienza in Russia, per condurre ricerche su eventuali connessioni tra il signor Trump, le sue imprese, la squadra di campagna e la Russia.
“Il sig. Steele ha prodotto una serie di memo che hanno affermato un’ampia cospirazione tra la campagna Trump e il governo russo per influenzare le elezioni del 2016 a favore di Trump. I memo contenevano anche relazioni non confermate degli incontri tra Trump e prostitute russe, mentre le offerte immobiliari erano state presentate come tangenti”.
L’articolo è ovviamente molto lungo e dettagliato (Clinton Campaign and Democratic Party Helped Pay for Russia Trump Dossier) e ci si può fare una autentica cultura su come siano andate le cose durante la campagna elettorale per le presidenziali. Invece di lavorare a programmi di riforma, investimento, strategie e visioni per il governo del mondo, il comitato e la stessa Clinton si preoccupavano soltanto di comprare dossier anche falsi per sputtanare Trump e rimontare nei sondaggi.
Questo vuol dire che invece Trump è un onesto imprenditore che si è “buttato in politica” animato dalle migliori intenzioni?
Niente affatto. Trump è fatto della stessa pasta di Hillary Clinton e ha usato, o cercato di usare, esattamente gli stessi mezzi.
Julian Assange ha confermato ieri sera con un tweet che una società di raccolta dati impegnata nella campagna per l’elezione di Donald Trump contattò la Wikileaks (la società fondata da Assange che pubblica mail e informazioni tenute segrete), ma che quest’ultima respinse le avances. Il fondatore di Wikileaks non ha però specificato i contenuti di tale “approccio”, dopo che il sito d’informazione The Daily Beast aveva parlato di un contatto con Assange da parte dell’amministratore delegato della società Cambridge Analytica, Alexander Nix, riguardo alla diffusione delle famose e-mail di Hillary Clinton.
Conclusione obbligata. Non veniteci più a raccontare che “in America le cose funzionano secondo le regole”. Anche lì “la politica” ha smesso da tempo di essere una sfera realtivamente autonoma, capace di progettare lo sviluppo di un paese o un continente. Anche lì, è direttamente il capitale multinazionale – le grandissime società industriali o finanziarie – a dettare l’agenda delle “riforme”. E “il politico” che serve – quello che vince il casting elettorale – è quello che la racconta meglio. Tanto non dovrà decidere davvero quasi nulla…
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