E’ davvero complicato raccontare quanto accade in queste ore a Barcellona, in una ridda di colpi di scena, dichiarazioni, ritrattazioni, conferme e smentite.
La notizia di oggi, piombata come un meteorite su milioni di catalani in attesa di capire cosa farà il proprio governo, è che il presidente della Generalitat Carles Puigdemont a fine mattinata ha informato che entro poche ore avrebbe sciolto il Parlamento di Barcellona e convocato nuove elezioni per metà dicembre. Niente indipendenza quindi, ma un ritorno alla casella di partenza.
L’annuncio è arrivato dopo circa 10 ore di riunione (tra ieri sera e stamattina) con tutti i membri del governo – ma senza gli indipendentisti e anticapitalisti della Cup, che pure sostengono la maggioranza – e alla presenza dei rappresentanti delle associazioni indipendentiste ANC e Omnium ma anche dell’ex President Artur Mas, schierato decisamente contro la proclamazione unilaterale di indipendenza.
L’ennesimo passo indietro di Puigdemont è stato anche il frutto dell’intervento del leader del Partito Nazionalista Basco Íñigo Urkullu (che rappresenta la borghesia autonomista basca) e di alcuni rappresentanti del Partito Socialista Catalano e di Podemos mentre la grande stampa catalana e lo stesso suo partito, il PDeCat, chiedevano a gran voce al President di rinunciare alla dichiarazione unilaterale di indipendenza e di convocare nuove elezioni per impedire che il governo spagnolo avesse appigli per applicare l’articolo 155 della Costituzione e commissariare le istituzioni autonome catalane esautorando così Govern e Parlament.
Ma l’annuncio di Puigdemont, accolto da un entusiastico balzo della Borsa di Madrid – più 2,2% – ha scatenato letteralmente un putiferio. Se il 10 ottobre scorso la folla che attendeva speranzosa la proclamazione della Repubblica Catalana davanti ai maxischermi montati fuori dalla sede del Parlament aveva rapidamente smobilitato dopo la delusione provocata dalla ‘sospensione’ annunciata dal capo del Govern, oggi la reazione è stata ben diversa.
Esquerra Republicana de Catalunya, socia del PdeCat in Junts pel Sì e data in forte ascesa nei sondaggi, non solo si è dissociata dalla dichiarazione di fine mattinata di Puigdemont definendola “non condivisibile” ma ha minacciato di abbandonare l’esecutivo in mancanza di una rettifica da parte dell’esponente del partito di centro-destra.
Anche dentro il suo partito non sono mancate voci critiche: due parlamentari del PDeCat – Jordi Cuminal e Albert Batalla – hanno annunciato le dimissioni dalla loro carica e dalla formazione politica in polemica con la decisione del President. Anche alcuni Consellers, i “ministri” catalani, hanno preso nettamente le distanze dall’ex sindaco di Girona. Ugualmente, la piccola formazione Demòcrates de Catalunya si è pronunciata contro lo scioglimento del Parlament e la convocazione delle elezioni.
Ovviamente contro Puigdemont si è schierata la Cup che già nelle ore precedenti aveva avvertito che la rinuncia alla proclamazione della Repubblica avrebbe rappresentato un atto di ‘slealtà’ nei confronti della volontà popolare espressa il 1 ottobre, e avvertendo sulla possibilità che la Generalitat possa diventare una controparte del movimento popolare al pari del governo spagnolo.
Alcune migliaia di studenti hanno manifestato nel centro di Barcellona deviando dal percorso prestabilito e sfilando fino alla sede del Palazzo della Generalitat, contro la repressione e per l’indipendenza al grido di “Attento PDeCat la pazienza sta finendo” e “Puigdemont reagisci, il popolo non perdona”. Uno striscione recitava “Puigdemont traditore, l’unica garanzia per l’autodeterminazione è la classe operaia”. Un altro, retto dagli studenti, diceva “Il popolo ha votato, adesso Repubblica”. “Aspettiamo da tre settimane di vedere cosa fanno i politici invece di organizzare nelle strade il processo costituente. Sembra che stiamo seguendo una partita di calcio” si è lamentato un ragazzo arrivato da Castelldefels con un giornalista di ElDiario .
Gli studenti hanno ricevuto l’esplicito sostegno da parte delle due grandi associazioni indipendentiste, l’Anc e Omnium, che li hanno incitati a rimanere nelle strade e a battersi per la Repubblica. Incontrando gli studenti prima di unirsi alla marcia, i rappresentanti delle due organizzazioni hanno criticato implicitamente Puigdemont e hanno chiesto l’immediata liberazione dei loro leader, Jordi Cuixart e Jordi Sanchez, arrestati nei giorni scorsi perché accusati di sedizione dalle autorità spagnole. Proprio oggi la Procura dell’Audiencia Nacional di Madrid ha rifiutato di scarcerare i due prigionieri politici catalani.
Nel frattempo un centinaio di attivisti dei Comitati di Difesa del Referendum e della sinistra indipendentista hanno manifestato sotto la sede principale del PDeCat sempre a Barcellona dopo la analoga ma assai più partecipata manifestazione realizzata ieri sera per operare pressioni sul Govern affinché proceda alla proclamazione della Repubblica in ottemperanza al mandato popolare.
Ma i principali problemi per Puigdemont e per la sua ennesima retromarcia sembrano venire da Madrid più che dal fronte indipendentista. La mossa del President, come detto adottata anche sull’onda di una mediazione col governo spagnolo operata da esponenti dell’autonomismo basco e del Partito Socialista Catalano, mirava a convincere Rajoy a non commissariare la Generalitat e a rinunciare all’applicazione dell’articolo 155. Ma sembra che il Partito Popolare e i suoi alleati di Ciudadanos – per ora non è chiara la posizione del Psoe – non vogliano affatto rinunciare a bastonare Puigdemont e gli indipendentisti ora che sono in una posizione di estrema debolezza. E così, dopo le proteste interne al suo fronte e la continuazione dell’iter che domani dovrebbe portare il Senato di Madrid a imporre il golpe istituzionale in Catalogna, in un’ennesima dichiarazione Puigdemont ha rettificato quanto detto poche ore prima, minacciando la Dichiarazione Unilaterale di Indipendenza nel caso in cui Madrid non fermi la repressione, come atto di “legittima difesa”.
In attesa di un eventuale voto del Parlament convocato per oggi pomeriggio e che continuerà a discutere fino a domani e del voto del Senato spagnolo – Rajoy intende esautorare la Generalitat entro sabato – oggi pomeriggio Carles Puigdemont ha affermato che non non convocherà elezioni se non avrà l’assoluta sicurezza che Madrid non ricorrerà al 155. Nella sua breve dichiarazione Puigdemont ha spiegato come fosse “il mio dovere tentare tutte le vie per trovare una soluzione dialogata e concordata per evitare l’applicazione dell’articolo 155”. “Avrei indetto le elezioni se vi fossero state le garanzie, ma queste garanzie” da parte di Madrid “non ci sono” ha detto il President ricordando poi che spetta alla maggioranza del Parlament dichiarare una eventuale indipendenza.
Fatto sta che anche oggi, cerca di sdrammatizzare qualcuno, “l’indipendenza verrà proclamata domani”. E’ difficile dire come andrà a finire mentre si susseguono incontri e riunioni tra i partiti catalani e quelli spagnoli. Da Bruxelles si osserva e si segue con apprensione.
Marco Santopadre
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Giordano Bruno
Non so se esiste la stessa ambivalenza del “matì” in catalano, ma la “mañana” castigliana significa sia “mattina”, sia “domani”… che “mai”: lo stesso Orwell ne scrive nell’Omaggio alla Catalogna.
Questa polisemia è indicativa dello stato confusionale in cui si trovi la Generalitat.
P.s. di servizio: per favore, levate il Captcha che non solo allena le intelligenze artificiali di Google (che prima o poi si ritorceranno contro di noi), ma richiede pure un tempo troppo grande per poter essere bypassati (ho dovuto fare ben 8 test tra cartelli stradali e vetture).