L’attacco, con una serie di raid aerei e missilistici, nella notte tra venerdì e sabato scorso su tutto il territorio siriano – Damasco, Palmira e la zona del Golan – ha riacceso le tensioni in tutta l’area mediorientale. Sembra, secondo la tesi della stampa israeliana, che “Iran e Israele stiano testando le loro capacità e stiano portando avanti un confronto a distanza in territorio siriano”.
L’attenzione della stampa israeliana non sembra essere puntata sul bombardamento, ma soprattutto, sull’abbattimento di un caccia di Tel Aviv colpito dalla contraerea siriana.
Il quotidiano Haaretz in un editoriale di Chemi Shalev ha scritto, infatti, che “importa poco di come e quanto Israele abbia colpito la Siria, ma quello che rimarrà è l’immagine della carcassa fumante del F-16 israeliano che ha dato un duro colpo all’immagine ed all’imbattibilità dell’aeronautica di Tel Aviv”.
La Siria, sempre secondo la stampa israeliana, sembra “essere passata dalle minacce ai fatti” ed ha risposto in maniera efficace ed inaspettata all’ennesimo attacco contro il suo territorio. Le stesse dichiarazioni “trionfali” della DCA (contraerea siriana) sono state accolte con entusiasmo da parte di tutto l’asse della Resistenza. Libano, Iran, Hezbollah Hashd Shaabi iracheno (Unità Mobilitazione Popolare a maggioranza sciita) e resistenza palestinese erano concordi nel mettere in evidenza che l’abbattimento di un caccia israeliano cambia gli equilibri nella regione visto che Israele ha perso il dominio dei cieli in Medio Oriente.
Una risposta chiara, da parte di Bashar Al Assad, alle aggressioni di queste ultime settimane. La Siria, infatti, è stata l’obiettivo di attacchi da parte di americani, israeliani e turchi: campagne ed azioni militari che cercano di compensare le sconfitte di questi ultimi mesi legate alla volontà di Washington di dividere il territorio siriano in maniera permanente.
Secondo Damasco e Mosca, per voce dello stesso ministro degli esteri Lavrov, “gli USA continuano ad armare, direttamente o attraverso le loro milizie, Hayat Tahrir Al Sham (coalizione di gruppi con a capo Al Nusra, ndr)”. Un jet russo SU- 25 è stato colpito dalle milizie jihadiste nella zona di Idlib grazie, ad esempio, a sofisticati sistemi di missili terra-aria di produzione americana con l’obiettivo di far capire a Damasco e Mosca che i cieli siriani non sono più sicuri per i loro aerei.
In quest’ottica di destabilizzazione e nel tentativo di essere uno dei principali protagonisti dell’area si può leggere la strategia di Tel Aviv. “Israele cerca di essere presente” – secondo le parole di Abdel Bari Atwan sul quotidiano online Rai Al Youm – “al tavolo dei negoziati per il futuro della Siria e del Vicino Oriente dopo la caduta di Daesh”. Uno degli obiettivi prioritari della politica israeliana è quella di isolare l’Iran, la cui influenza è cresciuta notevolmente nella regione, e di contrastarlo, insieme all’Arabia Saudita, principalmente in Siria e Libano.
“Israele vuole la pace” – ha dichiarato il premier Netanyahu in seguito al consiglio di crisi dopo i fatti di sabato – “ma noi continueremo a difenderci dai tentativi dell’Iran di posizionarsi in Siria o altrove, minacciandoci”. La motivazione dell’attacco di sabato, relativa allo sconfinamento di un drone iraniano nello spazio aereo israeliano, è stata definita “ridicola e banale” dalle stesse autorità russe che controllano quei cieli. Sabato, al contrario, il dipartimento di stato USA ha sostenuto il diritto sovrano di Tel Aviv di “difendersi contro le attività militari iraniane in Siria, che rappresentano una minaccia continua alla sicurezza di Israele”.
Sul versante libanese le cose non sembrano essere meno tranquille. Alle minacce del ministro della difesa israeliano, Avigdor Lieberman, sulla sovranità del blocco 9 (ricco di idrocarburi ed in territorio libanese) e sulla costruzione del muro lungo il confine settentrionale, è arrivata la risposta del comandante delle forze armate libanesi Joseph Aoun. “Siamo pronti a rispondere in qualsiasi maniera, anche militarmente, alla costruzione del muro che viola gli accordi ONU” – ha dichiarato sul quotidiano Al Akhbar – “visto che non si tratta di un contenzioso, ma della difesa della nostra sovranità territoriale”.
Frasi e dichiarazioni che non fanno presagire niente di buono. Secondo Atwan, in caso di conflitto, “Israele si troverebbe a combattere su numerosi fronti (Libano, Siria e Gaza) con esiti che non sarebbero così sicuri”, soprattutto alla luce dei fatti dello scorso sabato.
Pubblicato anche su NenaNews
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