Il Bureau anticorruzione ucraino (acronimo: NABU, che però, curiosamente e quasi simbolicamente, sta anche per Associazione indipendente delle banche ucraine) sta verificando le informazioni circa presunti finanziamenti (4 milioni di euro) elargiti nel 2010 da Mu’ammar Gheddafi per la campagna elettorale di Julija Timošenko. Il servizio stampa di “Batkivščina” (Patria), il partito dell’ex “martire” occidentale, nega naturalmente ogni addebito.
Come nota topwar.ru, Petro Porošenko, toltosi di mezzo già due potenziali rivali per le presidenziali del 2019 (Mikhail Saakašvili e Nadežda Savčenko), tenta ora di fare lo stesso con la matrona del gas che, almeno da un paio d’anni, è considerata la sua concorrente più pericolosa, quotata ora nei sondaggi di un buon 24% di consensi, contro il circa 9% accreditato a Porošenko. A dar man forte al primo golpista del paese, il capo della delegazione ucraina all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, Vladimir Arev, il quale scrive su feisbuc che la relativa richiesta di informazioni è già stata indirizzata agli organi giudiziari libici.
Con l’ex “Jeanne d’Arc” del battaglione neonazista Ajdar, poi deputata della Rada, dietro le sbarre e l’ex presidente-yankee della Georgia in esilio in Olanda, sembra che a far temere Porošenko per la saldezza della poltrona presidenziale fosse rimasta solo la Timošenko. Dunque, quale miglior occasione del presentarla come la Sarkozy ucraina. Tra l’altro, proprio poco prima di essere arrestata, nel marzo scorso, Nadežda Savčenko aveva raccontato di come Julija Timošenko, alla vigilia dell’aggressione ucraina al Donbass, si fosse incontrata con il leader della DNR, Aleksandr Zakharčenko, sembra, per conquistarsi le simpatie delle Repubbliche popolari. Cosa difficilissima (e, in effetti, la manovra non le era riuscita), dopo le sue “dichiarazioni d’amore” all’indirizzo degli abitanti del Donbass. Nel 2004 infatti, nel pieno della famigerata “rivoluzione arancione” ucraina, la regina del gas aveva proposto di recintare l’intera regione a maggioranza russofona con il filo spinato e, dieci anni dopo, a golpe in atto, era stata captata una sua conversazione telefonica nel corso della quale proponeva addirittura di bombardare la regione con ordigni nucleari. Per i nazionalisti ucraini, la “rivelazione” della Savčenko batteva comunque un colpo a discredito della Timošenko e a favore di Porošenko.
Per quanto riguarda l’ex governatore di Odessa, Mikhail Saakašvili – privato dell’acquisita cittadinanza ucraina e arrestato a Kiev lo scorso autunno perché sconfitto nella guerra tra bande oligarchiche – dopo la sua espulsione dall’Ucraina, il vagabondaggio per la Polonia e infine l’approdo in Olanda, sembra che abbia annunciato, per l’ennesima volta, l’intenzione di rientrare in Georgia. Al canale Rustavi 2 avrebbe dichiarato di voler formare una squadra di governo “per risollevare la situazione sociale del paese”, ovviamente, dice lui, dopo aver vinto le elezioni presidenziali georgiane fissate al prossimo novembre. Già presidente georgiano dal 2004 al 2007 e poi dal 2008 al 2013, Saakašvili era fuggito in USA e quindi in Ucraina, nel 2014, per scampare all’arresto, accusato di vari delitti – tra l’altro: appropriazione di 5 milioni di $ di fondi statali, depistaggio nella morte dell’ex primo ministro Zurab Žvania – commessi in Georgia tra il 2007 e il 2012. Di sicuro, il suo rientro in patria non sarà del tutto lineare: lo scorso gennaio il tribunale di Tbilisi lo ha riconosciuto colpevole anche di abuso di potere, condannandolo in contumacia a tre anni di reclusione, nel caso dell’omicidio del funzionario di banca Sandro Girgvliani, avvenuto nel 2006. Con la sentenza, gli viene anche vietato per un anno e mezzo di ricoprire cariche pubbliche in Georgia.
Più semplice, per Porošenko, venire a capo della Savčenko, ora che è sotto custodia e già si sollevano timori sulle sue condizioni di salute. Acclamata al suo rientro in Ucraina, nel 2016, dopo la grazia concessale in Russia da Vladimir Putin e decorata come “eroe d’Ucraina”, è ora accusata di cospirazione per rovesciare violentemente l’ordine costituzionale, impossessarsi del potere statale, preparazione di atti terroristici, in accordo con altre persone, per attentare alla vita del Presidente, di deputati della Rada, Primo Ministro, membri del governo, capi dei partiti politici.
Il complesso delle accuse – la procura non ha ovviamente dubbi che la preparazione di atti terroristici avvenisse in combutta coi leader delle Repubbliche popolari del Donbass – comporta per la Savčenko un complesso di accuse che prevedono dai 15 anni di reclusione all’ergastolo.
Timošenko, Saakašvili, Savčenko: tre nomi che certamente condividono molta storia della moderna Ucraina “arancione” e golpista, tra appetiti oligarchici, lotte per bande, cinismo neonazista e mire criminali sul Donbass. Appunto per questo, il personaggio che riunisce nella propria carica il complesso di tutte queste “qualità”, ha buoni motivi per temerli. La corsa presidenziale non si è mai fermata e Porošenko, da qui al 2019, potrebbe dover affrontare altre prove, se a Washington non ne decideranno prima la sorte.
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