34% circa: questo è il risultato delle elezioni amministrative che si sono tenute in Tunisia domenica scorsa. Appuntamento importante: erano le prime elezioni amministrative dopo la “primavera araba” del 2011, rimandate diverse volte per motivi organizzativi e logistici.
Tra l’altro, le elezioni locali rappresentano una novità per la Tunisia: durante la dittatur di Ben Ali non erano previste.
Non c’è bisogno di specificare che il 34% è un risultato pessimo, parlando di affluenza. Come si dice, il vincitore è l’astensionismo.
Dal punto di vista del risultato elettorale, i pochi tunisini ad aver votato hanno premiato il movimento islamico Ennahda, che si conferma il primo partito, seguito a breve dal partito laico Nida Tounes.
Interessante da segnalare la vittoria a Tunisi della farmacista Souad Abderrahim, che diventa la prima donna sindaco della capitale ed in assoluto nella storia del paese.
Ma il dato più interessante è proprio il numero di persone che hanno deciso di non andare a votare, perchè si tratta di un astensionismo che è risposta politica ad una situazione che è molto lontana dalle aspettative che si erano create all’indomani della “Rivolta dei Gelsomini” del 2011.
C’è crisi quando il vecchio muore ed il nuovo tarda a nascere, diceva Gramsci, ed è un po’ quello che sta avvenendo in Tunisia, come disse Habib Kazdaghli – intellettuale laico e progressista tunisino e docente universitario – in una bella intervista pubblicata su Il Manifesto all’inizio del 2018.
La caduta di Ben Ali ha rappresentato un passaggio di fase storico per la Tunisia: in particolare per le nuove generazioni, che sono quelle che maggiormente hanno disertato l’appuntamento elettorale di domenica.
L’attuale classe politica non sembra in grado di rispondere alle richieste popolari, fiaccate da anni di austerity, di aumento del costo della vita e di mancanza di lavoro.
L’apice del malcontento sociale e dello scontro si è registrato all’inizio dell’anno, quando è stata approvata una finanziaria lacrime e sangue voluta per contrastare la crisi economica e ridurre il deficit del paese.
Aumento del prezzo di diversi beni di consumo (tra cui il gasolio), aumento delle tasse e nuove forme di tassazione su servizi come auto, telefonia ed internet.
Il 7 gennaio una forte, partecipata e spontanea protesta popolare ha invaso le strade di molte città, provocando una repressione che contò anche una vittima.
La situazione non è evidentemente migliorata, anche perchè la scelta del governo è quella dell’austerity, riproponendo la folle ricetta applicata anche in Europa che tanti disastri ha e sta creando.
La separazione tra popolazione e classe dirigente esiste ed è forte, in Tunisia. L’unico paese in cui la Primavera Araba ha sortito un effetto quantomeno a medio termine è tuttora un laboratorio politico, una fragile democrazia appesa ad un filo (la Tunisia è tra i primi “esportatori” di affiliati allo Stato Islamico impegnati nei teatri bellici di Siria ed Iraq – ndr): la risposta popolare alla chiamata al voto è espressione – a nostro parere anche politica – di un malcontento di cui il governo deve assolutamente tenere in considerazione.
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