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Terremoto svedese. Il peso dell’Unione Europea

Le elezioni politiche in Svezia sono un ottima cartina di tornasole per comprendere le tendenze continentali, non solo nell’area settentrionale dell’Unione Europea, al netto della specificità del Paese Scandinavo.

Se gli analisti dei media mainstrem europei hanno messo in evidenza la frammentazione della rappresentanza politica dal punto di vista della governance, che rende un rompicapo la formazione di una nuova maggioranza governativa e il fermarsi dell’organizzazione dell’estrema destra SD al di sotto del 20%, un ottica d’analisi diversa può permetterci di comprendere i risultati delle urne partendo dalle profonde trasformazioni sociali che ne sono la causa e che vedono l’ennesimo drastico ridimensionamento della rappresentanza politica “europeista”.

Il sistema di governo svedese  nel dopoguerra prevedeva l’alternarsi di destra e sinistra, con la maggioranza governativa che garantiva il proprio consenso allargando la tutela anche agli interessi del blocco sociale di riferimento delle formazioni politiche dell’opposizione, in un sistema di “bipolarismo equilibrato”.

Le ali “estreme” degli schieramenti funzionavano da gruppi di pressione, con l’estromissione dell’estrema destra un tempo ridotta ad un gruppo insignificante – quanto pericoloso – di neo-nazisti. E’ il ruolo che ha cercato di esercitare “fuori tempo massimo”, per esempio, il Partito di Sinistra, erede del partito comunista, durante il primo anno nel precedente governo “di minoranza” (lo prevede la Costituzione) presieduto dal socialdemocratico Stefan Löfven, ancora formalmente in carica.

Gli squilibri del mondo post-’89 e il processo di “integrazione” europea – con un modello di “capitalismo” non più mitigato e mitigabile da un compromesso sociale avanzato, costruito “dall’alto” – hanno portato all’attuale instabilità, che si riverbera in un comportamento elettorale “fluido” per cui, come riporta il “The Gaurdian” citando un’inchiesta statistica, circa il 40% dell’elettorato avrebbe cambiato la sua preferenza alle urne.

In attesa dello spoglio dei 50.000 voti degli svedesi all’estero, i seggi attribuiti alla Sinistra (social-democratici, verdi e partito di sinistra) sono 144, cioè solo uno in più della Destra (conservatori, centristi, liberali e cristiano-democratici), esclusa l’estrema destra (Demcratici Svedesi, SD) .

Mentre da un lato il leader del Partito di Sinistra, Jonas Sjöstedt, forte di un risultato elettorale del 7,9% – più 2,2% rispetto alle scorse elezioni – intravede come unica soluzione la formazione di un governo con l’attuale leader social-democratico, ma con “più influenza” del proprio partito, il leader dell’SD, Jimmi Akeson, ha esortato il capo-fila dei conservatori Ulf Kristersson a “assumersi le sue responsabilità”.

Questa ipotesi di apertura a destra e di sdoganamento dell’SD – finora esclusa dalle dinamiche politiche della Destra moderata, a differenza di altre formazioni dell’estrema destra in diversi paesi del Nord Europa, come Danimarca e Finlandia – per defenestrare l’attuale “governo di minoranza”, non comporterebbe (a dar credito a Mattias Karlsson, attuale leader dell’SD in parlamento) la richiesta di ottenimento di un ministero “con portafoglio”, ma di influenzare il corso politico su alcuni aspetti centrali.

Le priorità dei “Democratici” sarebbero ovviamente l’immigrazione, con un inasprimento delle attuali condizioni di accoglienza (già pesantemente riviste dal governo presieduto da Social-Democratici e Verdi), investimenti nello stato sociale “per ridurre le liste d’attesa negli ospedali e affinché le persone non muoiano di una malattia che potrebbe essere guarita”, secondo Karlsson, e degli sforzi in favore delle pensioni e un ridispiegamento delle forze dell’ordine “al fine di ristabilire l’ordine nel Paese”.

I centristi e i liberali hanno rifiutato l’offerta della SD di un governo a 4, per cui il centrodestra ha dichiarato che non gradirebbe un influenza di quest’ultimi su queste priorità, ma si sono detti possibilisti rispetto ad un accordo con i Social-democratici, in una versione svedese della “Grande Coalizione” di stampo tedesco.      

La Svezia è il Paese dell’area nordica con la maggiore polarizzazione sociale ed i coevi fenomeni di impoverimento dei ceti popolari, con un livello dell’inuguaglianze notevolmente aumentato, secondo i dati OCSE, un fenomeno fortemente percepito dagli stessi Svedesi, che hanno visto peggiorare l’assistenza sanitaria e privatizzare il sistema scolastico, con la parte “non-pubblica” che si attesta ad un terzo del totale.

La speculazione immobiliare, come in altri sistemi-paese della UE, è stato uno dei volani del precedente ciclo d’accumulazione.

La bolla immobiliare ha fatto schizzare i prezzi delle case (raddoppiati in dieci anni), soprattutto in ambito urbano, costringendo le famiglie svedesi ad indebitarsi con tassi d’interesse “vantaggiosi” assicurati dalla banca centrale Ricksbank, e quindi rendendo alcuni centri residenziali dei luoghi inaccessibili alle parti più vulnerabili della società, diminuendo così la coesione sociale e relegando in periferia le contraddizioni sociali.

Uno studio pubblicato ad agosto da 5 ricercatori mette in correlazione diretta la crescita delle disuguaglianze con l’ascesa del partito d’estrema destra, e mostra tre grafici che riproducono il territorio svedese in un quindicennio secondo lo sviluppo del voto al SD, la vulnerabilità sociale e la crescita delle diseguaglianze: là dove la formazione di estrema destra ha goduto di maggior consenso elettorale è dove più si è impoverita la società.

Appare chiaro come il tentativo del partito di Jimmi Akesson di fare delle recenti elezioni un “referendum sul welfare state” sia stata una scommessa tutto meno che azzardata.

L’immigrazione ha avuto un peso determinante della formazione dell’attuale popolazione dello stato scandinavo, contando che poco meno di un quinto della popolazione è di origine straniera. Il dato era dell’11,3% nel 2000, del 14,7% nel 2010.

Le altre formazioni politiche hanno “inseguito” l’estrema destra, segnando un cambio di rotta radicale, senza però che l’SD diminuisse il suo consenso. Nonostante “il bando” dalla vita politica, il governo ha fatto proprie le richieste dell’estrema destra, sdoganando così una “retorica” sull’immigrazione che è divenuta presto “senso comune”.

La Svezia ha ricevuto quasi 450.000 richiedenti asilo a partire dal 2010. Circa il 60% ha ottenuto un permesso di soggiorno. Un dato che non comprende le persone arrivate tramite il ricongiungimento familiare. Solo nel 2015, i 10 milioni di abitanti del paese hanno ricevuto 163.000 richiedenti asilo in un anno, uno dei tassi più alti in Europa in proporzione alla popolazione del paese.

La politica migratoria svedese è cambiata radicalmente dal 24 novembre 2015, quando il primo ministro Stefan Löfven e il portavoce dei Verdi, Åsa Romson (piangendo), ha annunciato in una conferenza stampa che la capacità di ricevimento della Svezia era satura e, finché il resto dell’UE non avesse assunto le sue responsabilità, avrebbe chiuso i confini del paese. Fino ad allora i rifugiati, siriani e afghani in particolare, ottenevano quasi sempre asilo e un permesso di soggiorno permanente. Questo è stato sostituito da permessi di soggiorno temporanei. Il ricongiungimento familiare è quasi sospeso e soggetto a condizioni rigorose. Il governo ha anche deciso di estendere le visite mediche per accertare l’età dei minori non accompagnati – quantunque l’esito degli esami sia altamente controverso. Di conseguenza, nel 2015, la Svezia ha ricevuto 162.877 richiedenti asilo. Nel 2016, è sceso a 28 939 e 25 666 nel 2017. Nella UE, Stoccolma non sta spingendo per il rafforzamento delle frontiere, ma un sistema di condivisione tra i vari paesi.

Di fatto, è stata la parola fine su una condotta che fin da Olaf Palme aveva caratterizzato il Paese Scandinavo.

Si può concludere che avere lasciato la critica della UE in mano all’estrema destra, capace di declinare la difesa dello stato sociale dentro un discorso contro l’immigrazione (indicata a come “colpevole” di sottrarre risorse al “popolo svedese”), ha spianato la strada ad un gruppo che da insignificante costola neo-nazista è diventato ora una forza in ascesa, grazie alla sua opera di revisione in senso populista.

Come nel resto del continente è stata l’Unione Europea a fare da incubatrice ad una versione “democratica” della Peste Bruna, come nei peggiori incubi della trilogia di Stieg Larsson…

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