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Una questione di melanina

Dai tempi dei flowers children a Negril e del reggae di Bob Marley, la Giamaica ha fatto passi da gigante a livello comfort e tecnologia: fibre ottiche per tv e internet, autostrade patrocinate da imprenditori legati al governo cinese, supermarket internazionali. Peccato che sia solo il 25% della popolazione, residenti stranieri compresi, a godere questo ben di Dio. Chi è fuori dal cerchio magico, continua ad arrabattarsi con trasporti infami e scuole divise per reddito.

E gli abusi fioccano.

Stacy, 23 anni, barista

Ogni mattina, prima delle lezioni, i miei erano incerti se pagarmi il pranzo o il tragitto del taxi. La scuola stava a circa 10 km da casa.

La mia scelta era dettata dai morsi della fame, e il lunch money vinceva sempre. Alle 7 del mattino mi mettevo in marcia, sotto sole o pioggia che fosse.

Il motivo di tale preferenza era rafforzato dal desiderio di evitare i sovraffollamenti dei robo-taxi, e soprattutto le loro palpate.

La sera faceva buio presto, al ritorno tastavo il terreno con un bastone come i ciechi, per mancanza d’illuminazione stradale.

Quando passai al settimo grado (prima media) le distanze raddoppiarono. 

Una sera, per via dei turni, le lezioni finirono tardi. Presi un charter (taxi privato) con i soldi che avevo risparmiato saltando il pranzo.  

A metà strada, l’auto si fermò; l’autista e il suo aiutante, mi tirarono giù di forza, strappandomi l’uniforme, e mi violentarono a turno.   

Avevo 13 anni, ero vergine. Da allora, ho problemi a interagire con gli uomini. Pochi giorni dopo il fatto, smisi di andare a scuola.

L’anno dopo, iniziai a vendere ganja (marijuana). Fui arrestata a 16 anni, e, sebbene incensurata e minorenne, condannata a tre mesi per direttissima e sùbito rinchiusa nel carcere per adulte di Fort Augusta.

 Adulte per modo di dire; un terzo delle detenute là dentro aveva 15/17 anni.  Noi piccole ubbidivamo a una Mama (reclusa anziana). Una dozzina per cella, mezze nude in promiscuità continua, causa il caldo asfissiante, ci consolavamo a vicenda.

A turno, dovevamo anche badare a Mama, rifarle il letto, portarle il cibo, e soddisfarla sessualmente. Ho finito la mia condanna senza sconti, e una volta uscita, ho trovato lavoro come bar-tender (barista). Pur stando in mezzo agli uomini, la mia posizione mi dà rispetto, e mantengo le dovute distanze.

E’ un lavoro duro, con orari folli; ma preferisco così, piuttosto che compiacere sessualmente qualche Sugar Daddy o Uncle che dir si voglia, (uomini tra i 50 e i 70) sebbene questa sia la tendenza in voga, specie tra le ragazzine, che per uno smartphone o un vestito nuovo, ne fanno di tutti i colori. Io però resisto.”

Robo-taxi, e pubblica istruzione.

Fort Augusta, che Stacy cita nella sua horror-tale, è stato costruito dagli inglesi nel 1740, e da allora non è stata apportata alcuna modifica: non ci sono bagni in cella, sia femmine che maschi in Giamaica, dalle 18 alle 6 del mattino – orari in cui bisogna rimanere chiusi dentro – urinano dentro recipienti o bottiglie, e defecano nei fogli del giornale, mettendo poi in una busta il contenuto in attesa di liberarsene la mattina. La promiscuità nei carceri femminili è stata denunciata più volte dalle Ong locali, tra cui Stand Up for Jamaica, diretta dalla console onoraria italiana Carla Gullotta.

Un altro penitenziario per donne, che raggruppa senza distinzioni detenute adulte e minorenni, è South Camp Road nel centro di Kingston. Qui solo una rete separa i due settori, con squarci presenti in più punti, consentendo i continui passaggi da una parte all’altra.

Secondo la mentalità coloniale che persiste ancora quaggiù, la galera deve assolvere la sua funzione punitiva come deterrente al crimine; concetti come rieducazione e reinserimento, sono poco familiari alle istituzioni carcerarie.

Parlando invece del trasporto extra-urbano, è una piaga purulenta da sempre. Esiste nell’isola solo una linea che assicura tragitti regionali a bordo di autobus moderni: le tariffe sono abbordabili per i soliti noti. Gli altri (parliamo di 8 su 10) sono alla mercé di padroncini e taxi privati, di cui molti illegali, i robo-taxi.

La pratica di caricare fino a sette persone per auto, e 25 su pulmini da 12, è la regola, tollerata dalla polizia, che volentieri si lascia corrompere e chiude un occhio sui continui abusi. In campagna, dove i tragitti su strade sterrate e piene di buche sono lunghi e scomodi, i tassisti la fanno da padroni.

Talvolta reclamando lo jus primae noctis, quando s’imbattono in qualche ragazzetta belloccia, compiacente e ovviamente squattrinata; e se costei non collabora, le maniere forti sono la soluzione finale. In una società machista come quella caraibica, dove stupro e mercificazione del corpo – soprattutto presso gli strati più indigenti della popolazione – sono pratiche ricorrenti, c’è poco da stupirsi o indignarsi.

E’ consuetudine dei conducenti, agganciare e tirare per il braccio ragazze con lo scopo di trascinarle nei loro mezzi, vincendo la concorrenza all’interno dei parcheggi adibiti al trasporto pubblico. Harassment.webloc

Una tara culturale, inflitta alle donne che non possono permettersi un’auto per le proprie faccende domestiche. La scuola pubblica non aiuta, nonostante la retorica del governo decanti un’istruzione sulla falsariga di quella inglese: a livello formale, il sistema è lo stesso, ma le applicazioni pratiche sono agli antipodi. Tutto è a carico delle famiglie fin dai primi anni dell’apprendimento, asilo compreso. La primary school, che equivale alle nostre elementari, dura per i primi sei gradi d’istruzione. Dal settimo fino all’undicesimo, si entra in high school che comprende i tre anni delle medie e i primi due delle superiori.

Poche le affidabili, in top list Immaculate Conception a Kingston, cattolica.

Ci si entra solo con graduatorie tra 90 e 100, il punteggio massimo.

Ne consegue che la selezione è basata sulla capacità economica delle famiglie di pagare i libri-testo, che costano un’enormità.

Matematica, inglese, biologia, educazione civica sono le materie principali; il ciclo completo può arrivare fino a 500 Euro, in valuta locale.

Pressappoco è la rata di un trimestre alla Montessori di Montego Bay, riservata a figli di residenti spagnoli e italiani.

L’istruzione non è obbligatoria, ma, in conformità con l’ipocrisia anglosassone, “caldamente consigliata”. Chi ce la fa, manda i pargoli agli studi terziari, che comprendono college e università con rette altissime, per cui la selezione della futura classe dirigente avviene di conseguenza. Scuole pubbliche in stato pietoso: aule fatiscenti, insegnanti malpagati, il grado di apprendimento in Giamaica è uno dei più bassi nei Caraibi.

Mandare i propri figli, accompagnati, negli istituti privati è un lusso per pochi. Scarpinare lungo viottoli e carreggiate senza marciapiedi, o pigiati come sardine dentro mezzi equivoci, è il destino degli altri.

E poi c’è il fattore melanina: la Stacy che racconta la sua storia, è nera, ovviamente. Però, a differenza della maggior parte delle sue coetanee, fiera di esserlo e di non ricorrere alle pratiche usuali del bleaching, ovverossia lo schiarimento artificiale della pelle che le ragazze in cerca di marito “importante” praticano normalmente in Giamaica, così come in Brasile e in altri paesi caraibici e sud-americani, dove il grado d’intensità della melanina fa la differenza.

Il bleaching, (dall’inglese Bleach – varechina) è una pratica estesa sovente anche agli uomini, attuata attraverso l’uso di micidiali creme sbiancanti, che spesso lasciano macchie indelebili sulla pelle.

Un altro termine dispregiativo per deridere chi è eccessivamente scuro di carnagione, praticato soprattutto in età scolastica, è quello di blacka, contrazione di blacker dal patois giamaicano (si pronuncia patwa).

Significa “più nero”.

E’ usato per soprannominare il compagno di classe troppo “negro”, quello destinato a essere escluso dalle prime pratiche di ascesa sociale.

Il tasso di pigmentazione è il parametro n° 1 della differenziazione in Giamaica ai fini di erigere i gradini della scala gerarchica.

Per una ragazza povera e blacka, il fatto di sposare un giamaicano bianco – o anche un turista dello stesso colore – e procreare dei bambini con la carnagione chiara, rappresenta il traguardo ideale. E se ha pure i soldi, tanto meglio.

Il fattore money, come già illustrato, rimane difatti quello principale: dalle discrepanze economiche, emergono i quadri della upper class, la classe dirigente, l’oligarchia al comando che controlla capitali e mezzi di produzione.

I vertici di questa minoranza difendono un sistema post-coloniale basato sul denaro e sul colore della pelle, senza alcuna prospettiva di ricambio.

Chi non ce la fa, ha comunque un futuro assicurato, come facchino, cameriere o manovale, al salario minimo di 50 euro settimanali, e i giochi son belli che fatti.

In Brasile, ai negros squattrinati va anche peggio: la comunità bianca brasileira ha consolidato negli anni una piramide i cui gradini inferiori sono riservati alla popolazione di pelle scura, quali mestiços (meticci) pardos (mulatti) indios e pretos (neri) che formano la manodopera.

I neri occupano l’ultimo gradino, sono quelli che la polizia ammazza di più, anche perché molti sono invischiati con le gang dei narcotrafficanti.

Sono gli excluidos – gli emarginati – i paria brasiliani, la casta inferiore di un sistema sociale che ricalca in pieno l’apartheid sudafricana pre-Mandela e la società indiana. Un cocktail avvelenato, che non lascia scampo.

E ben poco han potuto (o voluto) fare Lula e Dilma Rousseff, bianchi anche loro.

Il razzismo in Brasile è un fattore culturale, prima che economico e sociale.

Marielle Franco, la consigliera di Rio assassinata con cinque colpi alla testa, ha pagato con la vita il fatto di essere nera, e per giunta schierata contro le esecuzioni a freddo nelle favelas perpetrate dalla Policia Militar.

(Foto e testi © Flavio Bacchetta)

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