Se finisci nella sua black list possono essere dolori. Gli eventuali beni negli Usa possono essere sequestrati, fare operazioni in dollari diventa impossibile. Ma anche usare altre valute diventa difficilissimo, perché le banche e altri intermediari finanziari hanno comunque paura di ritorsioni da parte di Washington, fosse anche per un malinteso.
Di cosa si tratta? Della Specially Designated Nationals List dell’Ofac (Office of Foreign Assets Control), l’agenzia governativa Usa che si occupa di far rispettare l’estensione a soggetti terzi delle sanzioni Usa contro quelli che ritiene i suoi “nemici”.
“La funzione dell’Ofac è dare avvertimenti amichevoli – rassicura John E. Smith, che ha presieduto l’agenzia Usa fino ad aprile dell’anno scorso – Oltre il 95% delle apparenti violazioni finiscono con l’archiviazione, senza sanzioni né ulteriori indagini”.
Il Sole 24 Ore ha incontrato Smith, a margine di un convegno in Italia. L’alto funzionario Usa ci ha tenuto a precisare che nessuno dei suoi commenti è riferito a casi specifici. Ma avverte che negli Usa il vento è cambiato: “Le società che operano sul mercato globale devono capire che se fanno affari con certi Paesi corrono gravi rischi. In questo momento consiglio in particolare di evitare errori con l’Iran, perché le sanzioni Usa saranno comminate con grande determinazione”.
Con l’amministrazione Trump l’Ofac è diventato uno sceriffo senza frontiere, che agisce anche contro chi non condivide le regole degli Usa, scrive il quotidiano economico italiano: “oggi l’Europa non ha in vigore sanzioni contro l’Iran, ma nessuno osa toccare il petrolio della Repubblica islamica. Almeno, non alla luce del sole”.
In questi mesi di aggressione Usa contro Iran e Venezuela, nel mirino dell’Ofac sono finite alcune petroliere, tra cui una italiana.
Il Sole 24 Ore racconta alcuni casi che hanno visto il sequestro militare della petroliera Grace 1 al largo di Gibilterra, ufficialmente perché violava le sanzioni europee contro la Siria, ma quasi certamente anche perché trasportava greggio iraniano.
A giugno un’altra nave era stata al centro di una vicenda paradossale nel Mediterraneo. Si tratta della White Moon, respinta dall’Eni perché il suo carico – acquistato dalla nigeriana Oando – non rispettava le caratteristiche qualitative del greggio iracheno Basrah Light, che in teoria stava trasportando. Questa almeno è la spiegazione ufficiale.
E poi c’è il caso della petroliera italiana PB Tankers, di proprietà della società della famiglia siciliana Barbaro, con oltre cent’anni di attività nei trasporti petroliferi via mare, rimasta vittima delle sanzioni secondarie (o extraterritoriali) dell’Ofac, riservate a soggetti non statunitensi. Misure oggi sempre più frequenti, che colpiscono talvolta sulla base di semplici sospetti. In questo caso era stata accusata di aiutare il Venezuela di Nicolas Maduro. La Pb Tankers è riuscita ad uscire dalla black list dell’Ofac solo in questi giorni tramite l’intermediazione di una società statunitense e, pare, il discreto appoggio del governo italiano.
L’estensione extraterritoriale delle sanzioni unilaterali che gli Usa decretano contro i paesi nemici, ha una lunga storia. Nato come strumento per internazionalizzare il blocco economico contro Cuba attraverso la Legge Torricelli nel 1992 (dal nome del deputato del Congresso che la propose), era poi stata rafforzata con la Legge Helms Burton nel 1996 (altro congressista ma in questo caso repubblicano).
Queste misure hanno sicuramente complicato la vita e le relazioni economiche di Cuba ed oggi anche di Iran e Venezuela. Sono l’emblema dell’arbitrio con cui gli Usa concepiscono e gestiscono le relazioni internazionali.
Ma i tempi sono cambiati e sia i paesi colpiti sia quelli stufi dell’arroganza Usa, hanno costruito negli anni relazioni economiche – e tendenzialmente monetarie – indipendenti da quelle totalmente controllate dal Washington Consensus.
L’Assemblea generale dell’Onu, tra l’altro, è dal 1993 che condanna questa pratica illegale degli Stati Uniti contro Cuba con esplicite risoluzioni approvate a stragrande maggioranza. Ma contro questa pretesa statunitense di estendere e coinvolgere altri Stati nelle loro sanzioni unilaterali, è ancora troppo assordante il silenzio delle istituzioni internazionali. Ed allora si è passati a soluzioni più pratiche.
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