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Hong Kong, un test da guerra globale

La partita che si gioca ad Hong Kong è salita di livello. Dopo mesi di scontri, con molti arresti e feriti e un morto, le “forze dell’ordine” dell’ex colonia britannica sembrano ora decise mettere la museruola alla rivolta. I cui protagonisti, come dappertutto, sono in primo luogo gli studenti.

Ma riferire cosa sta avvenendo in questo momento ad Hong Kong significa anche districarsi nella guerra dell’informazione, perché nessuna “fonte” in casi come questi è “neutrale”.

I fatti, prima di tutto.

Secondo gli studenti e i media occidentali stanotte la polizia avrebbe tentato l’irruzione nel Politecnico (PolyU) della città, nella zona di Kowloon, circondato già dal giorno prima.

La polizia ha smentito, parlando invece di una operazione di “dispersione della folla” e di arresti. La conferma arriva anche dagli inviati di Sky, secondo cui la polizia ha di fatto “sigillato” PolyU, limitandosi ad aspettare che gli occupanti vengano fuori. Sicuramente una tattica meno “sanguinosa” di un vero e proprio assalto, tanto più se dovesse risultare vero che alcuni gruppi di “assediati” dispongono di esplosivi, e non solo di bottiglie molotov.

Basta guardare il servizio (https://www.facebook.com/piodem/videos/10219798101653666/) per vedere la “diversità” di atteggiamento della polizia rispetto a quella “democratica” italica o francese. Nonostante le “provocazioni” – come le definisce persino l’inviato di Sky! – si limitano a tirare con i lacrimogeni e a sparare con l’idrante, senza iniziare la ben nota “caccia all’uomo” in uso dalle nostre parti.

Tutte le fonti concordano invece su un notevole numero di persone tratte in arresto, tra quelli che ne esdcono o tra quanti provano a fare azioni “diversive” in altre zone dello stesso quartiere..

Il giornale locale South China Morning Post riferisce che la polizia ha usato i gas lacrimogeni contro i manifestanti che stavano cercando di fuggire dal PolyU, all’interno del quale si trovano ancora in centinaia con bottiglie molotov e armi rudimentali.

Le stesse fonti parlano di una spaccatura tra gli studenti, come al solito tra “resistenti ad oltranza” e favorevoli ad una “ritirata tattica”.

Numerosi corrispondenti riferiscono di scontri fuori dall’università, ma nella stessa zona. Parlano di uso dei gas lacrimogeni.

Di certo, gli agenti hanno lanciato un nuovo avvertimento ai manifestanti ancora all’interno del campus, chiedendo a “tutti quelli all’interno di lasciare le armi e gli oggetti pericolosi, togliersi le maschere anti-gas e andarsene in maniera ordinata” attraverso un nuovo passaggio indicato dalle stesse forze dell’ordine, sul ponte sud di Cheong Wan Road

Tre colpi di pistola, prima dell’alba, sono stati sparati da un agente per disperdere la folla che aveva preso di mira un’ambulanza con lanci di mattoni e altri oggetti. Nessuno sarebbe rimasto ferito. L’attacco mirava a liberare una ragazza ferita e arrestata, ed ha raggiunto il risultato.

Un altro dato certo è che soldati dell’esercito cinese sono pronti ad entrare in azione, ma per il momento si limitano ad operazioni di “conquista del consenso”. Per esempio liberando le strade da rottami e detriti dopo gli scontri. Naturalmente si tratta di un doppio messaggio: ci siamo, all’occorrenza potremmo far altro.

Tra i soldati che sabato, per la prima volta, si sono fatti vedere per le strade di Hong Kong c’erano anche membri della ‘Xuefeng Special Operations Brigade’, un’unità speciale antiterrorismo. Erano facilmente riconoscibili per le magliette da basket (blu o arancione) che indossavano, con la scritta che indicava la brigata di appartenenza: parte del Commando Occidentale, sotto il quale rientrano anche Xinjiang e Tibet, la Xuefeng è una delle brigate più importanti in Cina.

Al di là di queste informazioni si entra nel campo minato della propaganda di guerra.

Un esempio. Gli Stati Uniti condannano l'”ingiustificato uso della forza” a Hong Kong e chiedono a tutti di “trattenersi dalla violenza e impegnarsi in un dialogo costruttivo”. “Come ha detto il presidente, gli Stati Uniti si aspettano che Pechino onori gli impegni presi nella dichiarazione congiunta sino-britannica” del 1984, che sancì il ritorno di Hong Kong alla Cina tredici anni più tardi, “e protegga la libertà, il sistema legale e lo stile di vita democratico di Hong Kong“.

Due osservazioni sono necessarie. Ad Hong Kong, fin quando ci sono stati gli inglesi, non c’è stato alcun sistema democratico. Il governatore – i predecessori dell’attuale e contestata Carrie Lam – veniva sempre nominato dalla Gran Bretagna. Il sistema è stato mantenuto – consensualmente – dopo il ritorno di Hing Kong alla Cina (da ricordare: è stata inglese per 99 anni in base a un “contratto d’affitto”).

Sullo stesso concetto di “democrazia”, ormai, si può dire qualsiasi cosa. Per esempio: in America Latina va ormai di moda il “presidente autonominato” (se riconosciuto dagli Usa), con l’esordio di Juan Giadò in Venezuela (a proposito: che fine ha fatto?) ora imitato da una posseduta integralista in Bolivia. Qui in Europa puoi eleggere qualsiasi governo, tanto la politica economica la decidono a Bruxelles. E non parliamo dei referendum (sull’acqua o altro) che vengono fatti rispettare solo se graditi alle imprese…

Riguardo all’”uso ingiustificato della forza” si potrebbero scrivere a questo punto manuali sulla disinformazione di guerra. Alcuni cronisti hanno denunciato per esempio un suono a bassa frequenza che proveniva da un blindato della polizia. E immediatamente si è parlato delle nuove armi anti-folla, potenzialmente pericolose per chi ne viene investito.

E’ molto probabile che queste nuove armi siano usate anche ad Hong Kong, visto che la loro rpesenza è ammessa dalla stessa polizia, ovviamente in chiave rassicurante. “Diversamente da quanto riportato dai media, lo Lrad non genera suoni a frequenze ultra basse che causano vertigini, nausea o perdita di orientamento“, ha puntualizzato un portavoce della polizia.

Ma non sono una “speciale crudeltà” del governo di Pechino. Icarus Wong Ho-yin, esponente del ‘Civil Rights Observer’ citato dal South China Morning Post, il dispositivo visto a Kowloon ricorda quello usato dalla polizia di New York: “Anche loro dicevano che non era un’arma ma i manifestanti si sentivano male dopo essere stati esposti“.

Insomma, la stessa infame arma anti-folla è “crudele” se usata a Kowloon, “democratica” se utilizzata a New York.

Stesso discorso si può fare per il “travisamento” del volto. Qui nella “democraticissima” Italia e Unione Europea (e sicuramente in Francia) siamo sommersi di decreti che rendono “reato” l’indossare sciarpe, foulard, passamontagna o caschi durante le manifestazioni. I decreti Minniti e Salvini, su questo punto, solo solo la stazione d’arrivo di una deriva che risale ai tempi dell’”emergenza” e di Kossiga col kappa.

Al contrario, gli stessi media mainstream non si mostrano affatto scandalizzati dal fatto che i “pacifici” manifestanti di Hong Kong indossino maschere antigas, caschi e quant’altro qui farebbe scattare immediatamente un arresto (anche se ti porti quegli strumenti porti in uno zainetto).

Nessuna stigmatizzazione per l’uso massiccio di bottiglie molotov (qui considerate dal codice come “arma da guerra”!), né per i frequentissimi danneggiamenti e saccheggi di negozi, tantomeno per le “violenze contro la polizia”. Ne riparliamo alla prossima manfestazione in Italia o Francia, quando gli stessi media cominceranno a parlare di “pericolo black bloc” alcuni giorni prima che qualcuno scenda in piazza a volto scoperto (coprirlo è “reato” del resto…).

Un episodio, però, chiarisce meglio di ogni altro la logica binaria della guerra anche nell’informazione. Quello in cui un tranquillo signore cinese si ferma a parlare in strada con i “pacifici manifestanti” anti-Pechino e, mentre parla, viene cosparso di benzina e incendiato. Davanti ad una telecamera.

Non osiamo pensare ai titoli dei giornali italiani – tutti – se una cosa del genere avvenisse durante una manifestazione in Italia o in Europa…

A noi sembra “normale” che un secolo di dominio britannico e neoliberista su una ex colonia abbiano creato una base sociale che era avvantaggiata da quel sistema. E troviamo perciò altrettanto “normale” che non accetti pacificamente il passaggio – in atto, molto lentamente, da oltre 30 anni – ad un “altro sistema”.

Ma la “democrazia”, in tutto questo, c’entra come una chiacchiera perbenista all’interno di un bordello d’altri tempi.

Il mondo corre verso la “competizione”, anticamera di guerre sempre meno virtuali. L’informazione mainstream serve a a “militarizzare” le coscienze, costruendo un “patriottismo imperiale” (l’Occidente, la Democrazia, la Libertà d’Impresa, gli Stati Uniti, l’Unione Europea, ecc) sempre più aggressivo con i “nemici”.

In questa tendenza, anche “le piazze” non sono più tutte uguali. Quelle che creano problemi al nemico sono “buone e democratiche”, quelle che creano problemi a “noi” occidentali sono para-terroristiche, delinquenziali, “anarchiche” (e in effetti mostrano quasi sempre un’assai diversa “composizione di classe”, oltre che di obbiettivi politici; basterebbe ricordare Majdan, o certe balle sul Venezuela…).

Piazze da reprimere con tutti i mezzi, proprio come nelle “dittature”.

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