Il generale Haftar ha infine “accettato” il cessate il fuoco “suggerito” da Vladimir Putin, che si era accordato per questo con il despota turco Erdogan, ormai presente con propri militari a Tripoli (e si regitrano già i primi morti tra le loro fila).
Il puzzle libico diventa ogni giorno più complesso, con protagonisti “liberi” di giocare ognuno come meglio crede, in barba alle alleanze storiche e soprattutto alle regole internazionali rispettate (meno che dagli Usa, of course) negli ultimi 70 anni.
Solo per ricordarlo: con Al Serraj c’è secondo i media italici “la comunità interazionale”, definizione vaga che non significa niente ma che vorrebbe far intendere “tutti”. E invece Al Serraj, poco più che “il sindaco” di mzza Tripoli, ha un sostegnao incerto – non militare, o almeno giudicato da lui “non sufficiente” – da Italia e Germania, qualche paese del Golfo ed ora la Turchia.
Il suo più potente antagonista, il generale Haftar, può contare invece sull’appoggio di Russia, Egitto, Qatar e… Francia! Insomma, la terribile Unione Europea che fracassa economie del Vecchio Continente se non rispettano i parametri di Maastricht è divisa al suo interno su cosa fare con ciò che resta della Libia dopo averla – su spinta francese ed inglese – destabilizzata ammazzando Gheddafi.
Il tutto si gioca sullo sfruttamento di giacimenti di petrolio e gas, non solo nel deserto libico, ma soprattutto in mare. A questo scopo, il fantoccio Al Serraj e il despota Erdogan hanno stabilito il prezzo dell’aiuto militare turco: ridisegnare le acque territoriali dei rispettivi paesi (ma Serraj non controlla neanche un centesimo del suo…) in modo tale che si congiungano escludedo tutti gli altri paesi dell’area (Italia, Malta, Cipro, Siria, ecc).
Il tutto in barba alle convenzioni internazionali che fissano per tutti, in tutto il mondo, il confine delle acque territoriali a 12 miglia nautiche (circa 20 km).
E’ chiaro, a nostro avviso, che è saltato il tappo che teneva immobilizzate le ambizioni nazionalistiche anche dei paesi meno potenti; per capirci, quelli senza armamenti nucleari. E che non c’è nessun “arbitro” che sia più in grado di richiamare nessuno all’”ordine”.
Una situazione da “liberi tutti”, estremamente rischiosa. Un’altra prova? Il Giappone, non esattamente un paese mediterraneo, sta per varare una campagna – per ora diplomatica – in Medio Oriente. Ne va dei rifornimenti energetici, e l’alleanza con gli Usa, per questo, può passare in secondo piano.
Usa–Iran. Crimini, incidenti, incontinenze e affari
Patrizia Cecconi *
Il presidente iraniano Hassan Rouhani dopo aver accertato che l’abbattimento del Boeing ucraino è stato il frutto di un errore umano da parte di militari iraniani, ha pubblicamente ammesso le responsabilità del suo paese e in una lettera al suo popolo ha espresso profondo cordoglio per le famiglie delle 176 vittime e ha comunicato che provvederà al risarcimento economico, l’unico che può risarcire.
Da parte sua l’ayatollah Ali Khamenei, guida spirituale della Repubblica islamica, appena avuta notizia che la causa verosimilmente più probabile del gravissimo incidente era dovuta all’errore di soldati iraniani, aveva già lanciato tramite twitter – che per la sua immediatezza sembra essere diventato lo strumento ufficiale delle esternazioni istituzionali – l’ordine che il risultato delle indagini “fosse reso noto in modo esplicito e onesto“.
Il generale dei pasdaran Amirali Hajizadeh – verificato che a causa dello stato di allerta e per la manovra di rientro del velivolo, forse dovuta a un guasto, il soldato addetto al controllo aereo aveva scambiato il Boeing 737 per un cruise e nei 10 secondi a sua disposizione aveva lanciato un missile per neutralizzarlo senza chiedere conferma – ha dichiarato di prendersi “la responsabilità per l’abbattimento dell’aereo ucraino e (di accettare) qualsiasi decisione che le autorità prenderanno a riguardo”, aggiungendo poi “avrei desiderato essere morto piuttosto che veder accadere una simile catastrofe.”
Premesso che l’Iran, come l’antica Persia del resto, offre sì un meraviglioso campionario di cultura e di bellezza, ma non offre né ha mai offerto bianche colombine antimilitariste e pacifiste, a cominciare dal famoso Ciro il Grande, quello che nel 538 a.C. liberò gli ebrei dalla cattività babilonese, ma che di sangue fu saziato solo dalla regina Tomyris nella sua ultima battaglia, premesso tutto ciò non possiamo non ammettere che il comportamento del presidente Rouhani e dell’ayatollah Khamenei sia di tutto rispetto, soprattutto se messi a confronto con i crimini americani (di ieri e di oggi) ai quali abitualmente non solo non seguono espressioni di cordoglio, perché significherebbe ammettere l’errore, ma gli USA non errano, uccidono e basta e, anzi, rivendicano i loro crimini nel più totale disprezzo sia del Diritto internazionale che della pìetas umana.
Senza far ricorso a tristi ricordi di ignobili esternazioni pubbliche da parte di figure istituzionali statunitensi, fermiamoci soltanto a considerare l’incontinenza d’azione e di parola del presidente Trump di fronte alla strage di otto persone finalizzata all’assassinio del generale Soleimani da lui commissionato e rivendicato con orgoglio, sapendo di potersi serenamente infischiare del fatto che tale azione configura un crimine di guerra. Del resto, il suo sodale Netanyahu fa scuola in quanto a crimini di guerra impuniti e, come lui, anche i precedenti governanti israeliani, i quali sono stati maestri negli omicidi senza processo, vere e proprie esecuzioni in stile camorrista senza mai perdere la medaglia di rappresentanti della democrazia.
Secondo lo stile da uomo vero, spendibile con successo anche nelle osterie nostrane, il muscoloso Trump non ha esitato a gloriarsi con maschia volgarità del “successo” dell’azione, successo probabilmente ottenuto attirando Soleimani e il leader sciita Al Muhandis in una trappola piuttosto ignobile, proponendo loro un colloquio diplomatico con emissari USA. Cosa che, se vera, avrà fatto gioire nelle segrete stanze ma forse anche oltre, il tracotante presidente americano per aver eliminato con furbizia da magliaro un uomo considerato tra i più intelligenti del Medio Oriente.
Forse un giorno si potrebbe scoprire che anche l’incidente che ha distrutto l’areo ucraino e le 176 vite che trasportava era frutto di una trappola, chissà! E’ una pura ipotesi ovviamente, e solo Julian Assange, il genio dell’informatica ingiustamente recluso e a rischio di morte perché comunicava al mondo le verità nascoste dai potenti, potrebbe scoprirlo. Quindi non andiamo avanti su questa ipotesi, ma accontentiamoci di quella al momento accertata e ammessa con tanto di sincere condoglianze da parte dei rappresentanti iraniani che hanno messo in secondo piano le responsabilità statunitensi. Solo il ministro degli esteri Zarif nel dichiararsi addolorato per la perdita di tante vite innocenti, ha affermato decisamente che quanto accaduto è diretta conseguenza dell’avventurismo americano.
E pensare che quello che Zarif chiama avventurismo, e che in realtà sarebbe più corretto definire avventurismo criminale, sta dando i suoi frutti contro le stesse istituzioni iraniane che hanno ammesso trattarsi di un errore. Infatti nell’aereo viaggiavano circa 80 cittadini iraniani e questo ha portato a manifestazioni di intolleranza e di condanna attraverso i social che ora abbondano di accuse contro i leader politici e militari, ritenendoli responsabili dell’accaduto. Ricordiamoci che l’Iran era già scosso da manifestazioni di malcontento e che i governanti iraniani non sono propriamente votati alle scelte basate sulla nonviolenza.
Negli Usa, invece, le molte manifestazioni di dissenso verso Trump, che in un primo momento sembrava volesse scatenare la terza guerra mondiale, sono state compensate da manifestazioni di apprezzamento irresponsabile simili a quelle, pienamente solidali, dell’ex-ministro degli interni italiano che, totalmente ignoranti, almeno in apparenza, dei rischi mondiali e del Diritto internazionale, si sono espressi più o meno come il leader repubblicano Kevin McCarthy il quale dopo la strage “presidenziale” si è dichiarato “Orgoglioso del nostro presidente”. Una cosetta che, dato il motivo dell’orgoglio, sembrerebbe più appropriata sulla bocca di un membro del National Crime Union che si congratula con Al Capone, che non sulla bocca di un uomo di Stato.
Qualche analista politico ha fatto rilevare che per importanza di ruolo, l’attacco terrorista contro Qassem Soleimani è paragonabile all’uccisione di un segretario di Stato americano; pertanto, se la reazione iraniana fosse stata rapportata all’azione americana, l’eliminazione di Soleimani e di Al Muhandis avrebbe potuto essere considerata adeguata eliminando Mike Pompeo e Jared Kushner– Invece – e diciamo per fortuna del mondo – si è assistito a quel che sembra un gioco delle parti, peraltro giocato su territorio iracheno.
Ma l’incontinenza verbale del presidente, tronfio del suo successo, lo ha portato a rendere pubbliche minacce di ritorsione, nel caso in cui l’Iran “esagerasse” e mettesse in atto il suo obiettivo di colpire siti militari USA, minacciando a sua volta di colpire e distruggere deliberatamente parecchie decine di siti culturali “molto importanti per l’Iran e per la cultura iraniana, e questi obiettivi, e l’Iran stesso, saranno colpiti molto velocemente e molto duramente”.
Lo saprà Trump che colpire deliberatamente i siti culturali di un paese è crimine di guerra? E il suo consigliere nonché genero Kushner gli avrà consigliato il bluff perché tanto non ci sarebbero state conseguenze o Trump, come sembra, ma senza esserne certi, agisce per intima convinzione spinto da quell’incontinenza verbale che poi riesce a dare frutti tali da spostare la valutazione di quest’uomo dalla categoria del primitivismo muscolare a quella del raffinato statista che gioca un ruolo degno di un moderno Taillerand prendendo tutti in contropiede? O magari è solo l’agente più o meno consapevole di chi sollecita le sue azioni con una precisa progettualità, di cui solo rischiando il complottismo di pensiero si può azzardare l’ipotesi?
Intanto, mentre è lecito porsi questi dubbi, il presidente Trump ha già dichiarato che nuove e più dure sanzioni colpiranno l’Iran e che queste erano già state preventivate e saranno durissime per l’economia iraniana. Il che, tradotto, significa: “Solleveremo il popolo contro gli attuali governanti, grazie al malcontento per le difficili condizioni economiche” . Però, e qui torna legittimo inquadrare il tutto (post-strage comunque) in un gioco delle parti, perché nella stessa conferenza stampa in cui dichiarava le nuove sanzioni – a Boeing ucraino già abbattuto – Trump ipotizzava che “qualcuno potrebbe aver commesso un errore” accusando e scagionando al tempo stesso le forze militari iraniane che ancora si stavano chiedendo le cause del disastro aereo.
Quel che al momento si è riusciti a capire è che le guerre locali possono andare avanti all’infinito perché comunque sono portatrici di interessi economici e industriali ma, cosa importante sopra ogni altra, una terza guerra mondiale è guardata con timore da tutte le parti in causa. Non va dimenticata la minaccia da parte dell’Iran di chiudere lo Stretto di Hormuz e, se anche la chiusura fosse impossibile per la presenza di altri attori legati agli Usa, basterebbe anche creare intralcio alle petroliere per mettere pericolosamente in difficoltà chi si approvvigiona di petrolio dal Golfo Persico, facendo grave danno ai nemici giurati dell’Iran affacciati sull’altra sponda.
Un tutti contro tutti forse non converrebbe a nessuno e questo spiegherebbe perché anche il Giappone sta scendendo in campo. E sta scendendo in campo alla grande, visto che il premier Shinzo Abe e non un emissario diplomatico qualunque inizia oggi un viaggio di cinque giorni in Medio Oriente per tentare di “allentare le tensioni”, frase che sembra rappresentare il leit motif del momento.
Il Giappone, sembra di capire, non si allineerà totalmente agli USA; anzi, forse coglierà quest’occasione per rientrare in campo internazionale attraverso una mediazione diplomatica che dovrebbe garantirgli, se ben conclusa, la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e nello stesso tempo il riconoscimento di un ruolo importante in un momento in cui ogni equilibrio sembra appeso a un filo.
Riusciranno gli affari a fermare le armi? Proprio quegli stessi affari che si ingigantiscono grazie alle armi? Stiamo in un momento di grande caos e tutto sembra variabile come un quadro caleidoscopico. Quel che resta drammaticamente indiscutibile è che comunque vada, se ci sarà un nuovo e più imponente ricorso alle armi, non ne beneficeranno i popoli trascinati nei conflitti, ma solo chi da essi trae profitto. E non è niente di nuovo sotto il sole.
* da Pressenza
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