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USA: “Nessuno vuole morire in prigione”. I prigionieri di diverse carceri negli Usa scioperano

I lavoratori immigrati senza documenti detenuti presso il penitenziario della contea di Essex a Newark (New Jersey) sono in sciopero della fame da martedì 17 marzo. Protestano contro le pessime condizioni in cui vivono all’interno del carcere che non fanno altro che aumentare notevolmente la possibilità di contrarre il Coronavirus. Pertanto chiedono all’Immigration and Customs Enforcement (ICE) statunitense l’immediato rilascio in libertà.

Il penitenziario di Essex può ospitare fino a 928 detenuti maschi e dal 2010 ha un accordo di servizio con l’ICE per detenere coloro che vengono dai Cie. E proprio da questi ultimi è partito lo sciopero martedì scorso coinvolgendo un’intera unità del carcere che vi ha partecipato subito nell’arco di 24 ore.

“Chiediamo ai nostri fratelli in carcere di unirsi a noi” hanno detto i detenuti immigrati “Chiediamo anche ai detenuti addetti alla cucina che lavorano qui dentro di non andare al lavoro. Lo scopo di tutto questo è chiedere il rilascio dei detenuti in particolar modo di coloro che sono ingiustamente trattenuti qui, senza aver compiuto alcun reato ma si ritrovano qui a causa della detenzione amministrativa! Che sia un rilascio vero e proprio, tramite cauzione o braccialetto e coloro che hanno l’ordine di espulsione finale che vengano fatti salire sull’aereo il prima possibile in modo da ricongiungersi alle proprie famiglie”. “Non dovremmo rimanere rinchiusi durante una pandemia mortale come questa. Speriamo che vi unirete a noi perché siamo tanti e questa è una lotta non solo per la nostra libertà, ma anche per la salute e la sicurezza di tutti”.

Le linee guida dell’ICE indicano che “i detenuti che rifiutano il cibo per un lungo periodo devono essere trattenuti e alimentati con la forza attraverso i tubi nasali” ma questo non ha intimorito chi ha proclamato lo sciopero non lasciandosi condizionare dall’ennesima tortura dell’alimentazione forzata, spesso usata per destabilizzare momenti di ribellione in carcere e sottomettere psicologicamente i detenuti (tecnica usata a Guantanamo nel 2013).

A sciopero iniziato, grazie a famigliari e solidali che hanno fatto eco al di fuori delle mura carcerarie di quello che stava succedendo all’interno, i media hanno riportato la notizia e il giorno dopo l’inizio dello sciopero, mercoledì 18 marzo, è stato annunciato dall’ICE che avrebbe limitato gli arresti in giro per gli Stati Uniti ma non li avrebbe terminati.

Venerdì 20 marzo sette detenuti immigrati irregolari nelle carceri della contea di Bergen, Hudson e dell’Essex (NJ) hanno intentato una causa – attraverso i legali solidali – nel distretto meridionale di New York contro alcuni importanti funzionari federali, tra cui Thomas Decker, direttore dell’ufficio sul campo dell’ICE di New York, e Chad Wolf, segretario ad interim del Dipartimento per la Sicurezza Nazionale (DHS) in quanto essendo persone che soffrono di una serie di disturbi, tra cui patologie renali, polmonari ed epatiche e diabete sono fortemente a rischio per l’infezione da COVID-19 e chiedono quindi di essere rilasciati immediatamente.

Un avvocato del team legale Bronx Defenders (organizzazione in sostegno agli immigrati a basso reddito che devono affrontare cause, processi, etc) ha dichiarato: “Il modo più semplice e umano in cui l’ICE può aiutare a prevenire l’imminente contagio disastroso del coronavirus tra i detenuti è quello di rilasciare tutti coloro che si trovano in carcere e farli stare vicini alle loro famiglie mentre aspettano le udienze di convalida o meno dell’espulsione dagli Usa. Quello che chiediamo è che i tribunali agiscano subito per costringere l’ICE a cominciare dal minimo indispensabile, ovvero mettere le persone più vulnerabili fuori pericolo prima che sia troppo tardi”.

Le condizioni del penitenziario di Essex sono state atroci per anni come ad esempio: cibo scaduto, pane inutilizzato conservato in sacchi della spazzatura in modo da poter essere trasformato in budino di pane; celle con perdite di acqua e muffa estesa dalle docce ai corridoi. Non c’è alcuna opportunità di svago all’aperto e nemmeno un cuscino sul quale dormire. Uno dei molti detenuti è stato mandato in carcere per il possesso di un’arma e per resistenza: “Molti ragazzi hanno finito di pagare qualunque fosse il loro debito verso la società e noi siamo qui trattenuti contro la nostra volontà dal governo e dall’ICE .. è una follia! Potrebbero lasciarci tornare a casa su cauzione e potremmo stare a fianco dei nostri famigliari in un periodo di pandemia come questo… Nessuno vuole morire in prigione”.

Il carcere di Essex non è l’unico in cui i lavoratori immigrati sono detenuti nel New Jersey e a New York in condizioni pessime.

I detenuti del penitenziario della contea di Hudson a Kearny (NJ) hanno riferito di essersi visti negare il sapone e il disinfettante per le mani. Un detenuto è stato trasferito bruscamente in una cella totalmente sporca e gli è stato ordinato di limitare il numero di volte in cui tira lo sciacquone. Un altro detenuto ha detto alla moglie che il personale non gli avrebbe permesso di farsi la doccia regolarmente. Inoltre, il carcere non offre ai detenuti la possibilità di richiedere assistenza medica. Il personale chiede ai detenuti se hanno lamentele, annota le loro risposte e poi le mette da parte senza seguire la vicenda. Un detenuto della prigione della contea di Bergen, a Hackensack (NJ), ha dichiarato che, sebbene il personale del carcere abbia accesso al lisol e alla candeggina, ai detenuti vengono negati mentre viene addirittura centellinata la sola acqua per pulirsi le celle.

Le condizioni sono simili nella Orange County Jail a Goshen (NY), dove vi sono solo gli immigrati senza documenti. I funzionari del carcere considerano l’igienizzante per le mani come un articolo da contrabbando perché contiene alcol e vietano ai detenuti di averlo. Un detenuto e sua moglie hanno riferito che i nuovi detenuti vengono portati in cella e viene negato loro di lavarsi per una settimana.

Queste condizioni mostrano un modello di negligenza e di abuso che è durato per anni.

Le carceri stanno esponendo i detenuti immigrati, il personale e la comunità in generale al rischio di infezione e di morte durante la peggiore crisi di malattie infettive dai tempi della pandemia di AIDS iniziata negli anni ‘80.

Si tratta delle stesse politiche inflitte agli immigrati e ai richiedenti asilo che sono stati trattenuti in campi di concentramento sovraffollati e sporchi al confine tra Stati Uniti e Messico.

Lo Stato capitalista non è disposto a spendere gli sforzi più elementari per proteggere la salute dei suoi prigionieri. Nel contesto della pandemia di coronavirus, questa riluttanza rischia di trasformare un’emergenza sanitaria pubblica in una catastrofe.

La notizia dello sciopero ha coinvolto anche i detenuti di Rikers Island (NY) che dal 22 marzo sono in sciopero. Nella loro dichiarazione si legge: “In due dormitori del carcere, più di 45 detenuti si rifiutano di lasciare i dormitori per lavoro o per i pasti. Scioperiamo contro la mancanza di dispositivi di protezione individuale (DPI) e di prodotti per la pulizia che non ci vengono forniti; contro le condizioni di vita affollate che ci sono state imposte prima della pandemia e che sono state aggravate dall’aggiunta quotidiana di nuovi detenuti provenienti da altre strutture, alcuni dei quali sono stati molto probabilmente esposti al COVID-19. Dalla mattina dell’inizio dello sciopero, inoltre, hanno tolto la connessione ai nostri telefoni togliendoci la possibilità di comunicare con l’esterno. Vogliamo quindi la riconnessione, subito! E vogliamo che tutti i detenuti, soprattutto quelli ad alto rischio per le condizioni di salute e per coloro che hanno meno di un anno di condanna, siano immediatamente rilasciati”.

“Scioperiamo in solidarietà con i prigionieri in sciopero della contea di Hudson”

Il primo caso confermato di COVID-19 per un detenuto di Rikers Island è stato annunciato il 18 marzo, poche ore dopo la conferma che una guardia di un posto di controllo di sicurezza era risultata positiva.

Da allora, il numero di persone detenute a Rikers risultate positive al virus sono state almeno 38. Date le condizioni insalubri, il sovraffollamento e la mancanza di accesso alle cure mediche a Rikers (le infermerie non hanno ventilatori polmonari), è necessario e doveroso dare priorità alla scarcerazione prima che questa popolazione vulnerabile e prigioniera venga decimata.

Un giornalista di “The Intercept” denuncia: “Sono rinchiusi in luride celle con decine di altre persone per giorni interi, confinati in dormitori con decine di altre persone, dipendenti dal personale per l’uso del sapone e dipendenti dai secondini per il permesso di andare in una clinica medica. I circa 5.400 uomini e donne detenuti nelle carceri cittadine di Rikers Island non hanno nulla per proteggersi dal virus, anche se sono costantemente esposti ai contagi del mondo esterno attraverso il continuo alternarsi di tre turni giornalieri di agenti penitenziari e personale amministrativo”.

Il carcere di Rikers Island, uno dei più famosi e peggiori di New York City ha una lunga storia di iper-sfruttamento del lavoro dei detenuti che rientrano appieno nel sistema produttivo dell’intera città e lo sciopero contribuirà sicuramente a frenare l’ingranaggio capitalista. Le risposte a questa pandemia globale mostrano che il momento attuale non è avulso da secoli di storia violenta all’interno e all’esterno delle mura del carcere. Ma il governatore Andrew Cuomo ha annunciato che lo Stato di New York intende utilizzare il lavoro dei detenuti per produrre 100.000 galloni di disinfettante per le mani alla settimana (= circa 378.000 Litri). I detenuti riceveranno 1,15$ all’ora o meno per il loro lavoro e nessun disinfettante per le mani in quanto considerato di contrabbando in prigione!

Inoltre New York City ha un piano di emergenza per la gestione delle morti dentro e fuori dagli ospedali che descrive minuziosamente l’uso del lavoro dei detenuti di Rikers per seppellire i corpi nelle fosse comuni di Hart Island se i depositi di cadaveri e le strutture di cremazione della città sono sovraccarichi.  Basti ricordare che negli anni ’80 e ’90 i detenuti scavavano fosse ad Hart Island, dove venivano seppelliti i corpi inviati da varie parti del Paese di coloro che morivano di AIDS.

Nel carcere di Rikers le condizioni stanno rapidamente peggiorando e sia il sindaco De Blasio che il governatore Cuomo non hanno nessuna intenzione di intervenire. Il fatto che non stiano dando priorità al rilascio delle persone dalla detenzione sta preparando il terreno per un genocidio. Inoltre in questi giorni è nata anche una campagna che chiede la chiusura di Rikers Island e la liberazione immediata di tutti i prigionieri.

Che si tratti di milioni di persone criminalizzate e incarcerate negli Stati Uniti o delle centinaia di migliaia di migranti detenuti all’interno dei violenti confini degli Usa, dobbiamo liberare tutti. Questo momento, e ogni momento, ci dice di usare le nostre risorse per dare risposte concrete, non gabbie.

Articolo liberamente tradotto da www.wsws.org

***

Ma c’è anche uno stato degli Usa, l’Ohio, che ha deciso di rilasciare alcuni detenuti. Il carcere della contea di Cuyahoga, situato nel centro di Cleveland, costruito per contenere meno di 1.800 persone, ne ospitava 2.400 con i detenuti che dormivano su stuoie sul pavimento della sala da pranzo ma dopo la morte di sette prigionieri nel 2018, si sono succedute una serie di proteste, arrivate sino ad oggi e dal 14 marzo, ha rilasciato centinaia di prigionieri per ridurre la popolazione carceraria alla luce dell’emergenza sanitaria del coronavirus COVID-19.

E dunque perché non si può seguire l’esempio di Cleveland in tutto il paese?

La maggior parte dei detenuti liberati erano cosiddetti “delinquenti non violenti”, non condannati per un reato ma tenuti in carcere perché non avevano i fondi per pagare la cauzione e in tutto il Paese vi è un numero imprecisato di persone che si trovano in una situazione simile.

Tuttavia, ci sono fatti importanti da considerare prima di prendere a modello la contea di Cuyahoga. La maggior parte di detenuti rilasciati è agli arresti domiciliari, costretta a portare un braccialetto alla caviglia per il quale vengono addebitati 220 $ al mese. Per legge questi ex detenuti, non ancora processati, sono “presunti innocenti”. Ora vengono puniti per crimini per i quali non sono stati condannati, altri detenuti sono stati costretti a patteggiare per sfuggire alla pericolosa situazione sanitaria del carcere. Inoltre, ai detenuti rilasciati non sono state date risorse per sopravvivere in una città impoverita come è Cleveland, ora in preda a un tracollo economico mondiale.

*attivista e sociologa

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