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La possibile “terza ondata” di contagio in Asia e le strategie di contenimento

Abbiamo tradotto quest’articolo di M.Clément pubblicato sul giornale francese on line di informazione indipendente “Mediapart” dal titolo originale: “In Asia, delle squadre di “tracciatori” stanno disvelando  le vie  di trasmissione di Covid-19”.

È un contributo sulle strategie di “tracciamento” utilizzate da differenti Paesi – Hong Kong, Singapore, Taiwan e Corea del Sud – per identificare la catena di trasmissione del virus Covid-19.

L’esempio di questi Paesi ci è utile per capire il conclamato deficit di intervento alle nostre latitudini rispetto alla gamma diversificata di iniziative intraprese e quindi attuabili per contenere il virus.

Si tratta, oltre il tracciamento, di un mix di intelligence medica, misure di contenimento mirate e adeguatezza dei sistemi sanitari nell’affrontare una malattia infettiva di cui stiamo abbondantemente trattando sul nostro giornale.

Allo stesso tempo, questo contributo ci pone di fronte al fatto di quanto sia viziato il dibattito sui media meanstream rispetto al “superamento” della fase che stiamo vivendo in Italia, considerando che questi Paesi universalmente lodati per la loro prassi virtuosa, stanno affrontando la “terza ondata” di contagio e non allentano le misure prese per contenere il Virus visti i segnali non incoraggianti

Si tratta di Sistemi-Paese che non possono essere “ascritti” al mondo socialista, ma probabilmente – senza generalizzare – con un “Partito del PIL” che non detta le modalità di gestione della Pandemia, o dove il tessuto economico – in alcuni casi si è dimostrato più virtuoso ad adattarsi o che ha visto talvolta una pronta reazione della governance politica dell’economia.

La città-Stato di Singapore ha visto una impennata maggiore del 60% dei casi di contagio la scorsa settimana arrivando a 1.623 e a nuovi decessi, e sta cercando di individuare i cluster della diffusione del virus trattandosi  in buona proporzione di persone senza contatti con casi di contagio confermati e quindi non precedentemente “tracciati”.

Gli epicentri dei nuovi contagi (circa 1/3)  sono i complessi residenziali dove si stipano i lavoratori immigrati, così che domenica è stato imposto l’isolamento e la quarantena per due settimane per due “dormitori” – poco meno di 20 mila persone ! – e poi di un terzo.

La densità abitativa sembra quindi essere un fattore decisivo della catena di trasmissione, una condizione simile anche se non identica a molte realtà metropolitane in cui vivono strati non trascurabili di subalterni.

Le misure adottate sono state drastiche, con il divieto assoluto di assembramento per sei mesi in luogo pubblico o privato di persone non conviventi, con forti pene pecuniarie ed il carcere per i trasgressori. Le scuole e le aziende restano chiuse fino al 4 maggio e gli spostamenti devono essere ridotti al minimo indispensabile, anche se è permesso, diversamente che da noi, l’esercizio fisico nei parchi rispettando le norme di distanziamento sociale.

Honk Kong, che ha predisposto misure simili anche rispetto alla punizione dei comportamenti – anche se restano aperti i ristoranti ma con norme vincolanti – ha conosciuto un nuovo picco di contagi nella notte tra mercoledì e giovedì passando da 387 a 936.

La domanda sorge spontanea: ma se i Paesi che hanno adottato – insieme alla Cina – le strategie più virtuose come il ricovero dei sintomatici, messa in quarantena degli asintomatici, moltiplicazione del test su chi era venuto in contatto con un contagiato,  monitoraggio costante e l’identificazione dei cluster – non dismettono le proprie misure di contenimento perché affrontano il pericolo di una “terza ondata” di contagio, che senso ha per un Paese come il nostro prefigurare un graduale ritorno alla “normalità” con i dati deficitari di cui disponiamo su contagi e decessi che ancora fanno rabbrividire?

Detto questo, un fenomeno abbastanza inquietante e non ancora non sufficientemente studiato sembra essere la “riattivazione” del virus anche sulle persone che sarebbero guarite.

Il Centro Coreano del Controllo e della Prevenzione delle Malattie (CDC), in una conferenza stampa tenuta lunedì, ha dichiarato che 51 pazienti classificati come guariti sono risultati poi positivi, con la sottolineatura da parte di Jeong Eun-kyeong – direttrice del Centro –  che accorda più importanza alla riattivazione del virus come causa possibile della terza ondata di contagi.

La Corea del Sud è stato uno dei primi Paesi a conoscere – dopo la Cina  -una epidemia su grande scala, ma con il numero dei contagiati che si è abbassato dopo il picco di 1189 di contagi in un solo giorno – il 29 febbraio – e che ha portato fino ad ora alla morte di 200 persone.

Secondo quanto riporta la Johns Hopkins e Bloomberg News, questo mercoledì la Corea del Sud contava 10384 casi di cui 6776 hanno lasciato l’ospedale.

Anche grazie al ripensamento delle non brillanti strategie che ha messo in campo durante la H1N1 nel 2009 – meno contagiosa ma più letale – nella quale si sono ammalate 750.000 persone, il Paese è riuscito a mettere in piedi una Blitzkrieg diagnostica in tempi ristretti e con un test di massa su quasi mezzo milione di cittadini, senza procedere ad un “lockdown” generalizzato ma a misure mirate anche grazie ad un uso virtuale dei dispositivi digitali.

Il Paese ha approvato il suo primo test di Coronavirus il 4 febbraio, solo 16 giorni dopo che il primo caso domestico è stato confermato. Al 27 febbraio quattro differenti aziende stavano producendo i kit di test, permettendo alle autorità di testare 20 mila persone al giorno. Nel mentre il team di Jung lavorava a nuovi metodi di gestire i test con centri in cui si poteva effettuare il test in macchina a stazioni compatte che assomigliavano a cabine telefoniche.

E’ alla luce di questi dati che bisogna “giudicare” la gestione fallimentare  che sta avvenendo in Italia, per potere comprendere cosa sia la realtà e quali le fantasiose narrazioni teste a “de-responsabilizzare” un classe politica ad ogni livello – nazionale e regionale – tesa dare corda esclusivamente al “Partito del PIL”.

Buona Lettura

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Hong Kong, dal nostro corrispondente. – I prelievi  dal naso e la gola stanno per essere effettuati. Le doppie porte automatiche si chiudono, lasciando Claire (il suo nome è stato cambiato) sola con la febbre nella stanza dell’unità dei casi “ad alto rischio” del Christian United Hospital di Hong Kong. Il telefono squilla.

“Un’infermiera mi ha interrogata sui miei orari, racconta Claire. Ero appena tornata dalla Francia così ho comunicato il numero dei  voli e il numero dei posti, l’ora esatta in cui il taxi sarebbe venuto a prendermi e l’immatricolazione”. Questi dettagli saranno fondamentali se il test, disponibile in meno di quattro ore, si rivelerà positivo. È in parte grazie a questa strategia di individuazione rapida e tempestiva dei “casi sospetti”, unita a 4.500 test al giorno il motivo per cui Hong Kong, come Singapore, Taiwan e la Corea del Sud, sono riusciti a contenere il numero di contaminazioni locali.

Allertate sul caso, le squadre di tracciatori del Dipartimento della Salute si sono messe alla ricerca di contatti al fine di  isolarli il più rapidamente possibile. Questi contatti sono classificati in categorie, in base al grado di vicinanza col portatore del virus e alla durata dell’interazione. “I membri della famiglia si sono ritrovati in un giorno. Ma per coloro che hanno fatto festa, potrebbe volerci più tempo”, ha spiegato martedì ai giornalisti il dottor Wong Ka-hing del Centro di protezione della salute. Diverse centinaia di perone possono essere interrogate per uno stesso caso . “Per essere sicuri, ricoveriamo i contatti che presentano o hanno presentato sintomi . Gli altri vanno direttamente in quarantena e noi moltiplichiamo i test per trovare i casi il prima possibile”, ha aggiunto il medico.

 

Lì, queste persone sono tenute sotto sorveglianza. Alcuni devono essere geo-localizzati in modo permanente tramite WhatsApp. “Devo monitorare la mia temperatura e scansionare più volte un codice QR sul braccialetto elettronico”, testimonia da parte sua Keceelyn confinata in un hotel dal suo ritorno dalla Francia.  “Quando sono arrivata, ho dovuto camminare intorno alla stanza e al bagno per far si che l’applicazione delimiti l’area di contenimento”, spiega.  Non può uscire sul pianerottolo, dove sono stati collocati il frigorifero e il microonde, senza che il suo braccialetto cominci a vibrare.

In alcuni casi, “la catena  di contaminazione locale non viene identificata, ed è questo che ci preoccupa. Così  rintracciamo la traccia attraverso stretti contatti durante il periodo di incubazione fino alla fonte della contaminazione”, ed è tutto reso pubblico, spiega il Dr. Chuang Shuk-Kwan, anche lui del Health Protection Centre, durante un briefing quotidiano per la stampa. L’indagine viene effettuata per telefono, a volte le persone si fanno avanti da sole.

Potrebbe essere necessario un campionamento sul campo. E’ così che una stanza dell’ospedale Pok Oi, dove è stato segnalato un caso, è stata passata al vaglio per determinare se il contenitore di carta igienica o il misuratore di pressione  avrebbe potuto essere un vettore di trasmissione. L’identificazione di cluster – raggruppamenti di casi nello stesso luogo – consente alle autorità di adeguare le misure  contro la pandemia.  Sono in procinto di chiudere cinema, sale mahjong, i  karaoke , sale cinematografiche e bar, sulla base di indagini epidemiologiche.

Singapore segue le stesse pratiche. L’esercito sostiene le squadre di tracciatori del Ministero della Salute dal 28 gennaio. Più di mille soldati studiano le mappe elaborate dagli ospedali e fanno fino a duemila telefonate al giorno ai contatti dei casi confermati. La polizia può essere chiamata anche per rivedere i video di sorveglianza.

Il governo spiega sul suo sito web che ha anche ampliato i tipi di test per identificare i collegamenti mancanti nella trasmissione. Non comprendendo come il Caso 66 si sia infettato, si è deciso di eseguire i test sierologici sui casi 83 e 91 che avevano partecipato allo stesso raduno del Caso 66 ma che non erano malati al momento in cui i tracciatori li hanno contattati. Un test per ricercare le sequenze del gene Covid-19 sarebbe stato negativo in quanto entrambi gli individui non erano più malati. Un test sierologico è stato quindi preferito e ha permesso di rilevare la presenza di anticorpi e quindi l’esposizione passata al Covid-19.

Sia nella città-stato che nella Regione amministrativa speciale di Hong Kong, due piccoli territori con popolazioni limitate e fortemente connesse, queste tecniche hanno dato i loro frutti. Il primo ha riportato poco più di 1.400 casi, il secondo 938.

Alcuni ricercatori si rammaricano della lentezza del processo. “La trasmissione di Covid-19 avviene rapidamente e prima che i sintomi si manifestino, il che rende estremamente improbabile che l’epidemia possa essere contenuta semplicemente isolando i singoli casi sintomatici”, scrive Luca Ferretti del Big Data Institute di Oxford in un articolo pubblicato su Science. Ma il tracciamento manuale “è troppo lento e non può essere esteso su larga scala una volta che l’epidemia” è massicciamente diffusa, perché il personale dedicato è limitato, secondo questi ricercatori. Essi preconizzano  un “controllo digitale” tramite un’applicazione. “Il suo scopo non è quello di imporre la tecnologia come un cambiamento permanente nella società”, ma “date le circostanze della pandemia, è necessario e giustificato proteggere la salute pubblica”, scrivono gli scienziati.

La condivisione dei dati digitali è uno dei partiti presi di Taiwan. Ad oggi l’isola ha segnalato 376 contaminazioni. Eppure è stata molto esposta, essendo collegata con voli diretti a Wuhan e si trova a circa 100 chilometri dalla Cina dove vivono e lavorano più di un milione di taiwanesi. A metà gennaio, l’isola si è protetta contro la “polmonite atipica”.

Dal 24 gennaio, tre giorni dopo il rilevamento di un primo caso sul suo territorio, le autorità hanno richiesto ai passeggeri in arrivo da Cina, Hong Kong e Macao di compilare un modulo con la cronologia dei loro spostamenti  e l’obbligo di monitorare il loro stato di salute. Taiwan ha poi messo in comune le informazioni provenienti da vari ministeri o amministrazioni.  I dati dell’assicurazione sanitaria nazionale sono stati condivisi in tempo reale, per esempio, con quelli dei servizi doganali e dell’immigrazione. Ciò ha generato allerta durante le visite mediche basate sulla cronologia dei viaggi e i sintomi.

Questa condivisione ha anche permesso di razionare e distribuire metodicamente le mascherine alla popolazione. Inoltre, ha portato a screening retroattivi di Covid-19 condotti su circa 100 pazienti con una grave forma di influenza o polmonite.

La Corea del Sud, dal canto suo, ha optato per uno scambio di informazioni molto più dettagliate sui movimenti delle persone infette, che secondo le autorità è fondamentale per il monitoraggio e il controllo dell’epidemia. La Corea del Sud ha ora più di 10.000 infezioni. Poiché il numero di casi è esploso a febbraio, le autorità hanno lanciato un vasto programma di tracciamento accessibile al pubblico tramite applicazioni telefoniche per localizzare i luoghi più infetti.

Queste applicazioni inviano un avviso alle persone che vivono nelle vicinanze di una persona diagnosticata. Un tipico avviso può contenere l’età e il sesso della persona infetta, l’ufficio  medico frequentato un minuto prima, in alcuni casi, tracciato attraverso gli estratti conto delle carte di credito, insieme all’ora e i nomi delle aziende visitate. L’allarme può anche indicare in quali stanze di un edificio si trovava la persona, quando ha visitato il bagno e se indossava o meno una maschera.

Queste procedure non sono prive di rischi e possono portare a stigmatizzazioni e discriminazioni. In Corea del Sud, per esempio, i seguaci della Chiesa di Gesù di Shincheonji o le persone che li hanno frequentati hanno rappresentato il 63% dei casi a metà marzo. Sono state oggetto di una “caccia alle streghe” e hanno affrontato “licenziamenti e molestie sul posto di lavoro, persecuzioni familiari e calunnie”, secondo la Chiesa. La pubblicazione dei dati può anche dissuadere le persone dal richiedere assistenza medica per paura di essere stigmatizzate. “I governi dovrebbero agire rapidamente per proteggere gli individui o le comunità che potrebbero essere presi di mira o ritenuti responsabili di Covid-19 “, ha detto l’ONG per i diritti umani Human Rights Watch.

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https://www.mediapart.fr/journal/international/080420/en-asie-des-equipes-de-traceurs-remontent-les-voies-de-transmission-du-covid-19?onglet=full

 

 

 

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