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Cina, Corea del Sud, Giappone: come si è adattato al coronavirus il modello produttivo asiatico

Nel corso di queste settimane stiamo scandagliando contemporaneamente due fenomeni: la virtuosa reazione di alcuni Paesi asiatici alla Pandemia  e come si stanno confrontando, in Asia, con le conseguenze economiche causate dal contagio del Covid-19

Naturalmente, tra la serie di questioni che ci poniamo, la domanda fondamentale è come si comporterà a livello economico la Cina se riuscirà ad impedire una “seconda ondata” di contagio, se venisse confermata la sua ripresa.

Contemporaneamente, l’altra questione rilevante è come potranno cambiare le relazioni internazionali, in particolare il rapporto tra Stati Uniti e Cina

L’articolo che qui abbiamo tradotto, scritto a “otto mani” da differenti giornalisti e corrispondenti del Financial Times – “Come le aziende asiatiche si sono adattate al Coronavirus” – pubblicato il 31 marzo ci illumina sulla capacità di adattamento e resilienza del tessuto economico, indagando alcuni casi, in Cina, Corea del Sud e Giappone.

Per ciò che concerne la Cina, gli esempi forniti ci mostrano tre caratteristiche che supponiamo essere più “estese” dei casi qui presentati, vista la celerità della ripresa: duttilità nel convertire la produzione secondo le necessità emerse durante l’epidemia con un rapporto virtuoso tra aziende private e potere politico, distribuzione delle conseguenze economiche negative per una attività economica che non pesino in maniera preponderante sui subordinati, e strategie direzionali basate sulla reattività ai cambiamenti quotidiani in un contesto di crisi.

In sintesi, si evince che siamo di fronte ad un modello superiore di civiltà economica, anche  da un punto di vista capitalistico, evidenziando una qualità del management che fa veramente a pugni con la strategia “chiagne e fotte” dei prenditori nostrani.

Per ciò che concerne Corea del Sud e Giappone invece – e si parla di giganti come Samsung Electronics,  Hyundai, Mistubishi, ecc – il fattore decisivo sembra essere la disponibilità di liquidità come fattore di resilienza.

Ossia l’aver accantonato e mantenere riserve monetarie che permettono di “passare la nottata” senza dovere ricorrere al mercato per finanziarsi, cioè indebitarsi e diventare sempre più ricattabili nei confronti dei grandi investitori finanziari.

Questa disponibilità, come si evidenza dall’articolo, non è “piovuta dal cielo”, ma è il risultato di scelte ponderate, contro-tendenza – se si guarda l’economia occidentale – contro la bulimia di dividendi di alcuni azionisti e contro artifici finanziari che si sarebbero ben presto dimostrati strategicamente sterili quando si tratta di dare continuità all’economia reale e non far crepare le imprese.

Tenere in “cassa” proprie riserve e non darle in pasto alle sanguisughe della finanza sembra essere “il differenziale strategico” anche per il Giappone, anche se rimane più che mai incerto come uscirà dallo stress epidemico – viste le scarse misure adottate per il suo contenimento – e quali saranno le conseguenze economiche per il sistema-Paese che è tuttora la terza economia mondiale.

Ci ha impressionato questo dato riportato nell’articolo del Financial Times: “Questo è ancora più vero in Giappone. Al momento, il 53% delle azioni nell’indice Topix, escludendo i titoli del settore finanziario, sono liquidità netta, contro rispettivamente il 15% e il 13% dei titoli europei e americani, secondo Nicholas Smith, un analista alla CLSA di Tokyo. Una percentuale ancora più grande dei titoli giapponesi a bassa capitalizzazione sono liquidità netta.

L’altro grande “gigante economico asiatico”, l’India, non sembra aver dato prova della stessa resilienza e lo stress pandemico sta facendo emergere l’intrinseca fragilità del suo modello di sviluppo.

Buona lettura.

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Quando la Cina ha chiuso i battenti per il Capodanno lunare il 20 gennaio, Liu Haili ha chiamato a raccolta il gruppo dirigente della sua azienda di droni, la Hydrogen Craft Corporation.

Sebbene l’epidemia per un virus sconosciuto non fosse ancora diffusa a livello globale, Liu ha avuto la sensazione che avrebbe potuto diventare una crisi capace di minacciare la sua piccola azienda che commerciava droni per monitorare la pesca di frodo, l’inquinamento e i gasdotti.

Poiché l’Asia è avanti settimane nello sviluppo della pandemia di coronavirus, le aziende del continente possono dare al resto del mondo qualche speranza che l’adattamento e la sopravvivenza sono risultati che si possono ottenere, con i giusti finanziatori e un buon bilancio.

Ho capito che avremmo dovuto adattarci per sopravvivere”, dice Liu, che ha fondato la Hydrogen Craft Corporation nel 2017, vicino a Hangzhou; “durante una crisi come questa, il focus nazionale sarebbe stato sul virus, per questo devi spostare la tua azienda in linea con questa priorità” [non fare il contrario, come Confindustria qui da noi e in genere in tutto l’Occidente, ndr].

La Hydrogen Craft Corporation ha quindi aggiustato il tiro, nel giro di due settimane. Liu e il suo gruppo hanno convinto il governo di Pingdu, nella provincia orientale dello Shandong, a diffondere gli ordini per la quarantena in aria, usando degli speaker montati sui suoi droni.

L’azienda ha esaminato anche la possibilità di usare i droni per spruzzare disinfettante, ma ha deciso che dei carrelli che usano radiazioni ultraviolette di tipo C sarebbero stati più pratici per pulire aeroporti e stazioni.

I carrelli non sono il nostro prodotto di punta, ma sono il prodotto che ci ha salvato la vita”, dice Liu, che prevede di ricavare 8 milioni di RMB (1.1 milioni di dollari US) dall’iniziativa – sufficienti a far sopravvivere l’azienda.

Lars Faeste, a capo delle operazioni della Boston Consulting Group nella “Grande Cina”, dice che le sfide logistiche potrebbero presto sopraffare le aziende e rendere difficile l’adattamento.

C’è il rischio di rimanere paralizzati, con i pensieri che si concentrano sui disinfettanti per le mani e sul fatto che le persone devono lavorare da casa”, dice, “ma devi spostare il flusso delle vendite online, diversificare l’assortimento dei prodotti, e sincronizzare il tuo marketing alla nuova realtà”.

L’auto-aiuto, comunque, non va molto distante. In Asia le aziende che hanno resistito hanno spesso dovuto far affidamento su azionisti, proprietari di immobili e impiegati “comprensivi”.

Wu Zhenzhong ha una catena di sette fast food e ristoranti di barbecue a Nanjing. Durante le vacanze del Capodanno lunare, la stagione migliore che porta più famiglie a mangiar fuori, l’epidemia lo ha costretto a chiudere i ristoranti.

I profitti dell’anno precedente, che dovevano essere ripartiti fra i comproprietari, sono rimasti all’azienda. I proprietari dei locali hanno rinunciato all’affitto per due mesi e hanno offerto riduzioni per il futuro. I lavoratori rimasti in città hanno ricevuto uno stipendio minimo e posti letto gratis.

Le grandi compagnie potrebbero avere problemi a muoversi velocemente. Feaste della BCG suggerisce di rimpiazzare le normali strutture di management con una “camera di reazione”, in cui un gruppo di dirigenti senior valuta e risponde ai cambi di situazione con cadenza quotidiana.

Questo vale anche per chi sta beneficiando dalla crisi. Con una grossa percentuale dei 1.4 miliardi di cinesi confinati in casa, JD.com, rivenditore online, ha registrato a febbraio una crescita del giro di affari nel settore alimentare del 260% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Per Tang Yishen, che è a capo di quel dipartimento, la sfida è stata procurarsi sufficienti prodotti agricoli pur con il blocco dei trasporti e della distribuzione in tutto il Paese.

I macelli di carne e pollame, i commercianti di frutta, produttori di pesce e gamberi… dopo la quarantena di Wuhan, noi dovevamo ridurre il nostro rischio. Volevamo quei rifornimenti nei nostri magazzini il prima possibile”, dice Tang, “a volte i nostri fornitori non riuscivano a recuperare nessun camion, così noi abbiamo mandato i nostri camion a prendere i loro rifornimenti per portarli ai magazzini JD”.

Sia che siano stati vittime o beneficiari della crisi, sia che siano grandi o piccole imprese, la caratteristica unificante che permette a molte aziende in asia di prendere tempo è la disponibilità di liquidità.

La Samsung Electronics, il più grande produttore al mondo di chip per computer, smartphones e schermi, ha dovuto interrompere la sua produzione sia in casa che in India, Brasile ed Europa, mentre i negozi in Canada e Stati Uniti sono stati chiusi.

La Hyundai, che insieme all’affiliata KIA è la quinta industria mondiale di automobili, ha dovuto chiudere gli impianti in Corea del Sud e Cina, e le sue vendite in febbraio sono state le peggiori degli ultimi 10 anni.

Tuttavia, secondo gli analisti, i due gruppi sono ricchi di liquidità e ben messi per sopravvivere anche alcuni trimestri prima di essere costretti ad affrntare ingenti adeguamenti, come vendere alcuni rami delle aziende.

La loro posizione riflette il vantaggio di aver rifiutato numerose richieste di riacquisto delle azioni e di vertiginosi aumenti dei dividendi, provenienti da  investitori stranieri negli ultimi 5 anni, incluso il fondo speculativo Elliott Management.

Avere una riserva di liquidità fa una grossa differenza”, dice Jeong Min Pak, un analista della Fitch Ratings.

Questo è ancora più vero in Giappone. Al momento, il 53% delle azioni nell’indice Topix escludendo i titoli del settore finanziario sono liquidità netta, contro rispettivamente il 15% e il 13% dei titoli europei e americani, secondo Nicholas Smith, un analista alla CLSA di Tokyo. Una percentuale ancora più grande dei titoli giapponesi a bassa capitalizzazione sono liquidità netta.

John Vail, chief global strategist alla Nikko Asset Management, crede che sia necessario forzare la mano contro gli attivisti.

Avete probabilmente visto il picco di attivismo in Giappone”, dice, aggiungendo che pur essendoci ancora pressione per il consolidamento, gli azionisti chiedono il riscatto delle azioni e la maggior pressione sfumerà per un po’.

Smith di CLSA dice “solo alcune settimane fa gli investitori si erano scaldati, con legittima indignazione, perché le aziende giapponesi non stavano usando le loro riserve di liquidità per ricomprare più azioni. Ora, quelle riserve di liquidità sono quello che resta fra loro e una crisi di liquidità“.

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