Menu

Il coronavirus in Russia

Come cominciava la tolstoiana Anna Karenina? “Tutte le famiglie felici si somigliano l’una con l’altra. Ogni famiglia infelice, lo è a modo suo”. Oggi, tutti i paesi capitalisti si somigliano: soprattutto nella infelicità di chi deve affrontare l’epidemia nelle condizioni del lavoro dipendente e della sanità “ottimizzata”.

L’epidemia è arrivata tardi un Russia e, forse anche grazie alle pronte misure di isolamento adottate, sembra per ora mantenere un profilo basso. Già un mese fa, chiunque rientrasse da paesi come Francia, Italia, Germania, Spagna, ecc. era in ogni caso, anche se non contagiato, costretto a due settimane di quarantena in casa.

Secondo le ultime informazioni della TASS, tra il 10 marzo e l’8 aprile, il numero di casi di coronavirus in Russia è di 10.131 contagiati, 698 guariti e 76 deceduti, con una concentrazione impressionante (si fa per dire: se confrontata coi numeri italiani) nell’area di Mosca e, comunque, nelle regioni più popolate.

A rafforzare le misure di isolamento decretate a due riprese da Vladimir Putin (ora coprono tutto il mese di aprile), lo scorso 6 aprile il Patriarca Kirill ha percorso l’intera enorme circonvallazione esterna della capitale con l’icona della vergine, per liberare Mosca dall’epidemia.

Vladimir Vladimirovič, in collegamento video con i governatori regionali, li ha esortati ad adottare ogni misura affinché, nella crisi economica e sanitaria, vengano conservati i posti di lavoro e vengano assicurati salari e sussidi. Alle piccole e medie imprese che non licenzieranno, viene assicurato l’esonero dalle tasse per sei mesi.

Si è comunque vietato il fermo dei mezzi di trasporto pubblico. A tutti i medici viene aumentato lo stipendio per tre mesi da 25.000 a 80.000 rubli e vengono assicurati a spese del bilancio: già, i medici in Russia, epidemia permettendo, hanno stipendi di 25.000 rubli (320 euro), appena un po’ più alti dei loro colleghi insegnanti.

Ma le imprese non hanno fretta di mantenere i posti di lavoro. Secondo ROTFront, già prima dello scoppio dell’epidemia (già incombeva la crisi del petrolio) il 29% delle imprese aveva obbligato i lavoratori a prendere ferie a proprie spese; il 49% ha ridotto la giornata lavorativa, riducendo i salari; il 20%, più avanti coi programmi, ha ridotto i salari, senza accorciare l’orario di lavoro; il 16% delle ditte ha cominciato a licenziare.

Di contro, produttori e fornitori di prodotti alimentari, già incalzano il governo per un aumento dei prezzi del 15-20%; i produttori agricoli chiedono anche il fermo dell’importazione di prodotti esteri meno cari.

Ma, come ogni paese capitalista che si rispetti, in tempo di crisi epidemiche, è il settore sanitario che manifesta i florilegi della “ottimizzazione”. ROTFront riporta i dati dell’Alta scuola di economia, secondo cui ancora nel 2002, gli stanziamenti sanitari in Russia erano di 298 dollari per abitante, contro, ad esempio, i 1.800 della Gran Bretagna.

Il bilancio statale non pagava più operazioni e medicinali speciali: tutto a carico dei pazienti; non erano rari i casi di medici che ricorrevano a secondi lavori, come portieri o magazzinieri. Poi, cominciarono ad arrivare apparecchiature estere, finanziate dal bilancio statale; si aprirono molte cliniche private, anche straniere; sono rimasti pochi i medicinali di produzione nazionale.

Gli stipendi dei medici, però, rimanevano (e rimangono) comunque molto bassi. Gli stanziamenti per la sanità rimangono limitati; gli ospedali sono passati alla cosiddetta “autosufficienza”: quanto guadagnano, tanto incassano, senza contare sul bilancio statale. E’ così che molti ospedali sono stati chiusi, ritenuti non “produttivi”. Si riducono i posti-letto, se il loro numero non è redditizio; si chiudono interi dipartimenti.

In particolare, erano stati di molto ridotti i reparti per malattie infettive (con significativa crisi per gli specialisti) dato che, al di fuori di un epidemia, tali dipartimenti rimangono vuoti e dunque non redditizi. Gli ospedali riducono il personale, aggravando il carico di lavoro su chi rimane. Crisi pesante, sempre dovuta alla cosiddetta “autosufficienza”, anche per la formazione universitaria in medicina.

Ma, insomma, non c’è bisogno di continuare: tutte cose ben conosciute, dato che “le famiglie infelici si somigliano l’una con l’altra”.

Per far quadrare il conto, non possono mancare le azioni di volontariato, come quella di “Noi insieme”, per portare aiuto alle persone anziane e ai cittadini con disabilità autoisolati. Dunque, si raccolgono confezioni di prodotti alimentari donati dai cittadini, e squadre di volontari si occupano della loro distribuzione alle famiglie più bisognose.

Bisognosi: un vocabolo, questo, praticamente sconosciuto in epoca sovietica, quando l’insorgere del solo sospetto di una epidemia di vaiolo, mobilitava squadre sanitarie che riuscivano a fermare l’espandersi del contagio in pochi giorni.

Era l’epoca della medicina sovietica.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *