Menu

Le grandi imprese farmaceutiche pronte a speculare sul Coronavirus

Diversi gruppi farmaceutici e multinazionali di “Big Pharma” hanno recentemente promesso di offrire milioni di dosi di clorochina, uno dei trattamenti attualmente studiati contro il Covid-19. Ma bisognerebbe fortemente dubitare dei gesti filantropici – al momento soltanto ipotizzati e non concretizzati – di queste imprese, date le loro scelte degli ultimi anni nell’ambito della ricerca e sviluppo su medicinali e trattamenti.

Si sono infatti concentrate sui prodotti farmaceutici potenzialmente più redditizi e profittevoli, anteponendo un’analisi “costi-benefici” e il prospetto dei profitti a quello che dovrebbe essere un interesse primario collettivo, come la cura e la prevenzione della popolazione.

La ricerca per un vaccino contro il Covid-19 sta sempre più assumendo i caratteri di uno scontro globale dai forti contorni geopolitici, una competizione internazionale dove i soggetti interessati – quelli che investono miliardi in biotecnologie e farmaceutica – mirano ad accaparrarsi un primato strategico decisamente rilevante. Una logica spesso basata sul partenariato pubblico-privato dove a beneficiarne alla fine è soltanto il secondo.

In questo senso, diverse aziende farmaceutiche puntano a trovare rapidamente un trattamento o un vaccino da mettere in maniera relativamente facile sul mercato, sconfiggendo la concorrenza e stabilendo un prezzo di monopolio.

Ma chi fa analisi e ricerca biostatistica e sperimentale, soprattutto nell’ambito di malattie infettive, sa bene che i tempi per i test non possono sottostare interamente alle dinamiche di mercato; questo almeno se si vuole avere una certa affidabilità e sicurezza sull’efficacia dei farmaci testati in laboratorio.

In una lettera inviata al direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il Presidente del Costarica, Carlos Alvarado Quesada, chiede di mettere in campo a livello internazionale l’impegno a “condividere i diritti sulle tecnologie utili per l’individuazione, la prevenzione, il controllo e il trattamento della pandemia di Covid-19”.

Un intento oltremodo ambizioso, con la speranza i potenziali trattamenti per il Covid-19, i prodotti necessari per i test di screening e il possibile futuro vaccino siano accessibili in tutti i Paesi e non detenuti esclusivamente per interessi privati.

La proposta avanzata dal Costarica sembra voler ambire ad una “socializzazione globale” della produzione di trattamenti contro il Covid-19, o almeno di garantire una produzione sufficiente a un prezzo accessibile, attraverso un meccanismo di mutualizzazione in cui l’OMS si impegni a ridistribuire i diritti di licenza o i segreti commerciali ad altri produttori dove vi è bisogno. I

l rischio è che l’accesso a farmaci e vaccini dipenda in misura significativa dalla capacità finanziaria dei singoli pazienti o degli Stati.

Quanto proposto dal Costarica non ha precedenti storici. Tuttavia, i singoli Stati potrebbero optare per licenze “d’ufficio” o “obbligatorie”. In tal caso, qualora un laboratorio si rifiutasse di distribuire volontariamente le licenze per consentire ad altri produttori di fornire trattamenti generici, lo Stato potrebbe rimuovere il monopolio legato all’esclusività del brevetto e permettere ad altri di produrre il farmaco, stabilendo che l’accesso a questi farmaci sia nell’interesse pubblico.

Una possibilità che ha già avuto luogo, ad esempio, nel Brasile del 2007, quando l’allora Presidente Lula decise di annullare il brevetto di Merck sull’antiretrovirale Efavirenz.

Pubblichiamo la traduzione della prima parte dell’inchiesta avviata da BastaMag, la quale fornisce degli elementi interessanti circa il quadro della ricerca farmaceutica intrapresa dalle aziende farmaceutiche negli ultimi anni e recentemente di fronte all’epidemia da Covid-19.

*****

Ad oggi è uno dei trattamenti studiati contro il coronavirus, insieme alla clorochina o alcuni farmaci antiretrovirali. Il Remdesivir è un antivirale prodotto dalla società farmaceutica Gilead, basata in California. Non è mai stato commercializzato prima d’ora. Il 20 marzo scorso, la Food and Drug Administration, l’organismo di regolamentazione dei farmaci negli Stati Uniti, gli ha concesso lo status di “trattamento per malattia rara”.

Per essere classificato come “farmaco orfano” (orphan drug in inglese), la malattia in questione non deve colpire più di 200.000 persone negli Stati Uniti al momento della presentazione della domanda. Questo era ancora il caso al 20 marzo per il Covid-19, con alcune decine di migliaia di casi confermati negli Stati Uniti.

Eppure, una settimana prima, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva dichiarato il Covid-19 una pandemia globale. Di conseguenza, Gilead ha richiesto e ottenuto lo status di “trattamento per malattia rara” nell’ottica di curare una malattia epidemica che oggi colpisce 200 paesi e costringe una gran parte della popolazione mondiale al confinamento.

Sette anni di esclusività sulle vendite e crediti d’imposta per gli studi clinici

Il Remdesivir è stato inizialmente sviluppato contro il virus Ebola, alcuni anni fa, con finanziamenti pubblici. Non è mai stato approvato o autorizzato, nemmeno contro l’Ebola. È rimasto allo stadio di molecola di ricerca”, spiega Patrick Durisch, responsabile delle questioni sanitarie per l’ONG svizzera Public Eye. “L’hanno testato contro l’Ebola, hanno visto che non era del tutto perfezionato, così l’hanno messo da parte. Ecco, Gilead lo ritira fuori in occasione del Covid”.

A metà marzo, sembrava evidente che il Covid si stesse diffondendo ben più largamente. Perché i laboratori Gilead hanno richiesto lo status di “farmaco orfano”? Per motivi finanziari! “Questo status speciale conferisce al produttore sette anni di esclusività sulle vendite del trattamento, crediti d’imposta per la conduzione di studi clinici e approvazioni potenzialmente più rapide”, dice Juliana Veras, specialista di farmaci per la ONG Médecins du Monde.

Uno status che permette ai produttori di richiedere prezzi elevati

L’appellativo “farmaco orfano” conferisce una posizione di monopolio su un trattamento e la possibilità di venderlo ad un prezzo più alto. Per un’azienda farmaceutica, questo è soprattutto un vantaggio commerciale.

I trattamenti per le malattie rare sono generalmente più costosi di altri farmaci. Questo status controverso consente ai produttori di praticare prezzi elevati, con l’argomentazione che devono recuperare i costi di sviluppo e realizzare un profitto servendo popolazioni di pazienti relativamente piccole”, spiega Juliana Veras.

Soltanto che, da un lato, non c’è trasparenza nei prezzi e, dall’altro, sappiamo che nei costi di ricerca e sviluppo ci sono notevoli investimenti pubblici, in particolare nella ricerca di base”. Anche il Remdesivir è stato sviluppato con denaro pubblico.

Le pratiche del laboratorio di Gilead sono già state denunciate per i suoi farmaci contro l’epatite C, venduti a diverse decine di migliaia di euro a trattamento – una singola pillola, ad esempio, costa più di 600 euro per unità (si vedano gli articoli qui e qui). Di conseguenza, sono inaccessibili a molti pazienti e pesano sui conti dell’assicurazione sanitaria nei paesi in cui esiste un tale sistema.

L’impresa alimenta una rete di influenza nei circoli del potere negli Stati Uniti. Gilead “mantiene stretti legami con la task force istituita da Donald Trump per affrontare la crisi del coronavirus”, ricorda il sito di notizie The Intercept in un articolo pubblicato il 23 marzo.

Joe Grogan, membro di questa task force, è stato in precedenza lobbista per Gilead dal 2011 al 2017, in particolare per quanto riguarda le questioni legate al prezzo del farmaco [The Intercept, a fine febbraio, ha pubblicato un articolo sui potenziali conflitti di interesse all’interno della task force istituita da Donald Trump].

La crisi di Covid-19 come mezzo per massimizzare i profitti

Vi rendete conto che una società ha richiesto lo status di ‘farmaco per malattia rara’ nonostante si tratti di una pandemia!”, si indigna, quasi incredulo, Patrick Durisch di Public Eye.

La concessione di questo status ha portato rapidamente a proteste. Una coalizione di organizzazioni ha inviato una lettera all’amministratore delegato di Gilead, Daniel O’Day, il 25 marzo: “Siamo scioccati nell’apprendere che la vostra azienda ha fatto domanda alla Food and Drug Administration per ottenere lo status di “farmaco orfano” per il Remdesivir, uno dei pochi trattamenti attualmente in fase di studio per Covid-19. Si tratta di un completo abuso di un programma progettato per incoraggiare la ricerca e lo sviluppo di trattamenti per le malattie rare. Il Covid-19 è tutt’altro che una malattia rara. Alcune stime suggeriscono che metà della popolazione statunitense o anche più potrebbe contrarre la malattia”, scrivono.

Alla luce dell’incombente scandalo, Gilead ha alla fine rinunciato allo status di farmaco orfano per il Remdesivir. Ma l’episodio rimane come rivelatore. “Dimostra che anche un laboratorio come Gilead vede questa crisi come un modo per massimizzare i suoi profitti”, dice Patrick Durisch.

E Gilead non è la sola.

L’azienda farmaceutica svizzera Roche è una delle fornitrici di attrezzature per i test di screening per il Covid. È anche una delle aziende che sta testando alcuni trattamenti esistenti contro il Covid-19. Per Roche, si tratta dell’Actemra, un farmaco usato contro l’artrite reumatoide.

Sono allo studio anche gli antiretrovirali – molecole utilizzate per combattere l’HIV – tra cui il Kaletra della società statunitense AbbVie. E, naturalmente, la clorochina, un farmaco antimalarico prodotto da diverse aziende, tra cui la francese Sanofi e la divisione dei medicinali generici dell’impresa svizzera Novartis.

Sanofi, Novartis, Bayer hanno da tempo abbandonato la ricerca sui virus respiratori

Nessuna nuova molecola è in fase di sviluppo. La stragrande maggioranza dei trattamenti studiati oggi contro il Covid-19 sono trattamenti esistenti che vengono riposizionati, cioè sono già sviluppati per altre indicazioni e vengono testati per vedere se sono efficaci anche contro Covid”, spiega Patrick Durisch. “Il vantaggio è anche quello di poterli immettere sul mercato più rapidamente”.

Sanofi si è dichiarata pronta ad offrire alle autorità francesi milioni di dosi di Plaquenil, la marca della sua molecola. Anche Novartis ha annunciato l’intenzione di donare clorochina. Anche l’azienda farmaceutica e chimica tedesca Bayer ha annunciato la ripresa della produzione di clorochina, che è stata interrotta l’anno scorso.

L’immagine del gigante chimico dall’altra parte del Reno si era deteriorata dopo l’acquisizione della Monsanto, che produce in particolare glifosato. La Bayer ha ora messo a disposizione delle autorità sanitarie decine di macchine automatiche e personale per effettuare altri test di depistaggio del Covid a Berlino. Tutto ciò per rafforzare la sua reputazione.

Ciò che queste grandi aziende farmaceutiche si guardano bene dallo spiegare è perché abbiano abbandonato la ricerca sui trattamenti o sui vaccini contro i virus respiratori per diversi anni. Il mondo ha infatti nel frattempo sperimentato altre due epidemie di questo tipo dall’inizio degli anni 2000: con la SARS (sindrome respiratoria acuta severa) nel 2002-2003 e con il MERS (sindrome respiratoria mediorientale da Coronavirus) che è comparso nel 2012. Entrambi erano già dei coronavirus.

I grandi gruppi farmaceutici non sono interessati alle malattie infettive o ai vaccini

Va bene che la Bayer fornisca attrezzature per lo screening. Sarebbe stato ancora meglio se l’azienda avesse fatto più ricerca di base a monte. Al contrario, ha rinunciato a sviluppare trattamenti e vaccini contro le malattie infettive e respiratorie”, afferma Marius Stelzmann, portavoce del Coordinamento contro i pericoli della Bayer, un’associazione che da oltre 30 anni esamina le attività della multinazionale tedesca.

Nel 2004, la Bayer ha venduto il suo dipartimento di ricerca sulle malattie respiratorie. “La Bayer si è concentrata su prodotti più lucrativi. Questa è una tendenza generale tra i gruppi farmaceutici. Cercano di ottimizzare la loro produzione per aumentare la redditività. Non si possono pianificare le epidemie, e poi queste passano. Una volta finite, le aziende farmaceutiche smettono di fare ricerca”.

All’epoca della SARS, erano state avviate ricerche su trattamenti e vaccini. Poi sono state abbandonate. Vediamo l’ultima edizione dell’Access to Medicines Index, che esamina i progetti di ricerca e sviluppo delle venti maggiori aziende farmaceutiche del mondo. Le aziende stanno lavorando a numerosi progetti nel campo del cancro e del diabete, i cui trattamenti, una volta commercializzati, sono estremamente redditizi.

L’indice elenca anche più di 20 progetti di ricerca sulla tubercolosi e l’HIV, alcuni contro la febbre dengue, una manciata di progetti sui vaccini contro la Zika, l’HIV, l’Ebola, la malaria…

Quanti progetti sono stati realizzati nel 2018 da queste aziende sui coronavirus, tra cui SARS e MERS? Assolutamente nessuno. Né sui vaccini, né sui trattamenti.

Nei suoi rapporti annuali, Sanofi spiega il suo contributo alla lotta contro le malattie infettive come la tubercolosi e la malaria (uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU). Tuttavia, non si parla di ricerche sui coronavirus.

Se il nuovo virus è stato menzionato nell’ultimo rapporto presentato all’Autorité des marchés financiers il 5 marzo, lo è stato per spiegare ai suoi azionisti che questo espone Sanofi “al rischio di un rallentamento o di una sospensione temporanea della produzione dei suoi principi attivi, delle materie prime e di alcuni prodotti” e che l’epidemia “avrebbe l’effetto di ridurre le sue vendite a causa di una riduzione della spesa sanitaria per la cura di altre malattie”.

Possiamo chiederci come sia possibile che 17 anni dopo l’epidemia di SARS non abbiamo né un trattamento né un vaccino contro i coronavirus, e nemmeno un buon candidato o un prototipo pronto al momento della crisi”, si domanda Patrick Durisch. “Ciò dimostra che le grandi aziende farmaceutiche non sono interessate alle malattie infettive o ai vaccini. Perché sono molto meno redditizie delle malattie non trasmissibili come il cancro e il diabete, che sono anche trattamenti che i pazienti devono prendere per tutta la vita”.

L’azienda svizzera Novartis ha venduto il suo reparto vaccini nel 2014 alla società britannica GSK. L’anno scorso, la GSK ha abbandonato la ricerca su un possibile vaccino contro l’Ebola quando una nuova epidemia di febbre emorragica ha colpito la Repubblica Democratica del Congo.

Se non si cambia nulla, saremo nuovamente molto impreparati per la prossima epidemia

I vaccini non sono così redditizi come la commercializzazione, ad esempio, della terapia genica Zolgensma, un trattamento destinato ai bambini con atrofia muscolare spinale, che Novartis vende per 2 milioni di euro a iniezione. Zolgensma, che è stata lanciata l’anno scorso, “è stata inizialmente sviluppata dall’Inserm [l’istituto nazionale francese per la salute e la ricerca medica, un’istituzione pubblica], e poi sviluppata con il finanziamento del Telethon, cioè attraverso donazioni esentasse, cioè indirettamente con il denaro delle tasse”, ricorda Jérôme Martin, ex presidente di Act Up-Paris e co-fondatore l’anno scorso dell’Osservatorio per la trasparenza nelle politiche farmaceutiche.

Alla fine, ci ritroviamo con un composto acquistato da Novartis, che lo vende per due milioni di euro senza mai giustificarne il prezzo, anche se in origine si trattava di denaro pubblico”.

Lo stesso amministratore delegato di Novartis Vasant Narasimhan lo ha detto alla fine di gennaio, quando il Covid-19 ha iniziato ad espandersi al di fuori della Cina: “Quando scoppia un’epidemia, tutti vogliono fare qualcosa, ma quando è finita, quasi nessuno se ne preoccupa più. La questione è come mantenere l’investimento durante questo periodo”, ha detto al canale d’informazione finanziaria CNBC.

La domanda potrebbe anche essere formulata come segue: come possiamo far sì che le aziende farmaceutiche sviluppino trattamenti che giovano alla salute di tutte le persone, e non esclusivamente al portafoglio dei loro azionisti?

Oggi si spende molto denaro pubblico per la ricerca sul Covid. Ma anche questa epidemia finirà. Se non cambiamo le cose, saremo di nuovo molto impreparati quando arriverà la prossima”, avverte Marius Stelzmann del Coordinamento contro i pericoli della Bayer.

Come si possono cambiare le cose per rispondere meglio alle future crisi sanitarie? Di fronte al Covid-19, come possiamo garantire che i trattamenti e i vaccini futuri siano accessibili a tutti, in tutto il mondo?

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *