Secondo il Centro per la Prevenzione ed il Controllo delle Malattie dell’Unione Africana il continente africano contava questa domenica 12 aprile 13814 casi confermati di Covid-19 e 747 decessi.
I Paesi più toccati restano l’Africa del Sud – la maggiore economia di tutto il continente, seguita da tre Stati Nord-Africani: Algeria, Egitto e Marocco ed il Camerun dell’Africa Centrale https://contropiano.org/news/internazionale-news/2020/03/31/lafrica-alla-prova-della-pandemia-2-0126009 .
L’Algeria è il Paese con il più alto tasso di mortalità e il livello del contagi sembra essere alquanto sotto-stimato a causa dello scarso numero dei test effettuati, dai cento ai duecento dal 20 marzo circa.
La situazione in questo Paese del Maghreb https://contropiano.org/news/internazionale-news/2020/04/02/il-maghreb-alla-prova-del-coronavirus-0126137 sembra piuttosto critica visto tra l’altro l’insufficienza delle strutture sanitarie che contraddistingue la stragrande maggioranza dei Paesi Africani.
Lo scorso venerdì le autorità algerine avevano annunciato che il numero dei decessi erano pari a 256 – un terzo del totale del continente africano – e 1761 i casi confermati.
Il Paese conta solo 450 letti per la rianimazione per una popolazione totale di 42 milioni di abitanti.
La recessione africana e la trappola del debito
Ai timori per l’emergenza pandemica si sommano le preoccupazioni per le possibili conseguenze economiche dovute anche a fattori macro-economici specifici come un bassissimo prezzo del petrolio https://contropiano.org/news/news-economia/2020/04/13/accordo-globale-sul-petrolio-ma-piu-di-unincognita-0126722 ed un alto valore del dollaro.
La Banca Mondiale ha prefigurato lo scorso mercoledì una recessione per il continente – la prima in 25 anni – con una contrazione – a seconda degli scenari – tra il 2,1 al 5,1%, cioè una perdita economica tra i 37 e i 79 miliardi di dollari.
Nigeria, Angola e Sud Africa sarebbero le economie più colpite.
Una contrazione che dovrebbe essere attorno al 7% per i produttori petroliferi e l’8% per i produttori di metalli.
Si affaccia il pericolo di impossibilità del pagamento del debito con un gap di risorse che la banca Goldman Sachs ha stimato essere pari a 75 miliardi di dollari.
La Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Africana per lo Sviluppo si stanno adoperando per configurare attraverso strategie bilaterali di salvataggio delle linee di credito emergenziali che potrebbero risolversi in una pesantissima ipoteca per il futuro del continente costretta a ricorrere ai finanziamenti delle istituzioni finanziare internazionali per cercare di gestire la crisi pandemica e allo stesso non vedere soffocare le proprie economie.
Secondo l’agenzia di valutazione finanziaria Moody’s 21 Stati africani sono esposti in “Eurobond” ed un quinto del debito totale contratto dai Paesi africani sarebbe nei confronti della Cina,mentre ammonterebbe a 115 miliardi il debito sovrano posseduto dal settore privato africano.
Domenica l’Unione Africana ha annunciato che il presidente in esercizio, Cyril Ramaphosa, ha nominato 4 inviati speciali, incaricati di mobilitare la comunità internazionale per un aiuto economico all’Africa.
Si tratta dell’anziano ministro delle finanze della Nigeria Ngozi Okonjo-Iweala, dell’anziano presidente ruandese della Banca Africana dello Sviluppo Donald Kareruka, del banchiere franco-ivoriano Tidjane Thiam e dell’anziano ministro sud-africano del Commercio Trevor Manuel.
L’iniziativa è tesa a «sollecitare un sostegno concreto e rapido come promesso dal G20, l’Unione Europea e altre istituzioni finanziarie internazionali».
Uno dei leader africani che si è più esposto per chiedere un’azione coordinata ed una leadership interazionale nella battaglia contro il Covid-19 – sotto l’egida di un ruolo rafforzato dell’Organizzazione mondiale della Sanità e del G20 – è stato il primo ministro etiope e premio Nobel per la Pace Abiy Ahmed.
Il premier etiope, come altri si è espresso per una “sospensione” dei debiti contratti dai Paesi Africani e la creazione di un «fondo globale per prevenire il collasso dei sistemi sanitari in Africa».
La questione del debito rischia di essere un vero e proprio “cappio al collo” a cominciare da quei Paesi che si erano fortemente indebitati per finanziarie ambizioni progetti infrastrutturali come lo Zambia che ha avviato una “ristrutturazione del debito” o l’Angola che deve ancora ripagare i debiti per la sua “ricostruzione” dopo la fine della guerra civile nel 2002.
Zambia
Lo Zambia che è esposto per 11,2 miliardi di dollari di debito con l’estero è un esportatore di rame che si è fortemente indebitato con la Cina e che anche a causa delle dinamiche monetarie internazionali la sua valuta – il kwacha – ha perso il 22% del suo valore sul dollaro, con un conseguente drastico abbassamento dei suoi bond connessi alla valuta statunitense che hanno perso più della metà del loro valore.
Una dinamica che potrebbe avere un effetto domino su sistemi-paesi simili.
Angola
L’Angola è la terza economia africana, quasi totalmente dipendente dalla rendita petrolifera, che aveva recentemente emesso a novembre dell’anno scorso una ingente quantità di Bond ad un rendimento molto “convincente” per gli investitori: 8% per quelli a 10 anni e 9,125% per quelli a trenta.
L’anno precedente aveva ricevuto il pacchetto di finanziamento più cospicuo mai concesso ad uno paese africano dal Fondo Monetario Internazionale.
Si è trattato di “credit facility” per 3,7 miliardi di dollari, con cui il FMI aveva sostenuto il “nuovo corso” del presidente Joao Lourenço.
L’Angola ha uno stretto rapporto con la Cina che ha di fatto “ripagato” la sua ricostruzione attraverso il debito. Circa la metà del debito del Paese africano è infatti nei confronti della Cina: 21,5 miliardi di dollari nel 2017. Sul suo territorio sono presenti circa 50 aziende di Stato della Repubblica Popolare e circa 400 aziende private cinesi. Il Paese Asiatico è il destinatario principale del greggio angolano che ha nell’Angola il suo maggior fornitore dopo la Russia.
In sintesi l’Angola ripaga in greggio il debito che contrae con la Cina, ma anche per questo ha scarse riserve di valute estere.
I due mesi di contrazione dell’economia cinese prima e l’abbassamento del prezzo del petrolio poi hanno fortemente influenzato quindi l’economia angolana.
Si ha detto per inciso, l’Angola ha ricevuto recentemente una squadra medica cubana composta da 214 unità – di cui 170 medici – per fronteggiare l’epidemia che colpisce soprattutto Luanda rafforzando quel legame intessuto con l’isola caraibica dai tempi della lotta per l’indipendenza coloniale contro il dominio portoghese https://contropiano.org/documenti/2020/03/27/cuba-un-esempio-per-gli-stati-uniti-0125904 .
Nigeria
Anche la Nigeria che guidava l’ambizioso progetto della costruzione di una comunità economica regionale africana nord-occidentale con una stessa moneta, rischia di fronteggiare la sua seconda recessione in 5 anni.
Il paese di 200 milioni di abitanti ha conosciuto un numero relativamente basso di casi – poco più di 250 – e solo qualche decesso.
Ha richiesto un pacchetto di 3,4 miliardi di dollari al Fondo Monetario Internazionale, di cui 82 milioni destinati per il rafforzamento delle proprie strutture sanitarie.
Rispetto ai paesi occidentali ha un ristretto margine di manovra per varare misure in favore della propria economia, meno dell’1% rispetto al 10% di altre economie ed ha dovuto modificare le possibilità di spesa per l’anno corrente di un -15% a causa dell’abbassamento prezzo del petrolio e della contrazione della domanda del greggio.
Il suo budget era stato calcolato l’altro anno su un valore di 55$ al barile, con la sua produzione che ammontava a 2,1 milioni di barili al giorno contro quella di 1,7 attuale.
L’analista McKinsey ha stimato una contrazione dell’economia del Paese tra il 2,5% e l’8,8% nello scenario peggiore.
Le sue prime 10 banche secondo alcuni analisti finanziari corrono un “rischio severo”.
Il governo è stato costretto ad una svalutazione che aveva rifiutato in precedenza per le ripercussioni che avrebbe avuto sulle 87 milioni di persone che vivono in uno stato di estrema povertà.
La moneta locale è scambiata a 360 contro il dollaro rispetto alle 305 precedenti, 415 al mercato nero.
Inoltre è stata abolito il sussidio petrolifero che calmierava il prezzo del carburante a 145 Naria al litro.
Sud Africa
Il Sud Africa è l’economia più industrializzata del continente e sta affrontando una doppia minaccia. Da un lato la pandemia che la vede essere uno dei paesi africani più colpiti con 2.272 contagi e meno di una trentina di decessi, poco più di 400 persone ricoverate e ben 83.663 test effettuati stando ai dati forniti dal Ministero della Salute https://sacoronavirus.co.za/ .
Dall’altro la probabile depressione economica in una situazione pre-pandemica già stagnate, ed un esercito di “lavoratori informali” – 3 milioni secondo le statistiche ufficiali – che a causa del confinamento assai restrittivo imposto per tre settimane a partire dall’ultimo venerdì di marzo sono i soggetti più vulnerabili.
L’azione del governo e della banca centrale è stata piuttosto risoluta sia in direzione della salvaguardia economica che delle garanzie sociali, nonostante la pressione degli agenti economici internazionale che vorrebbero mettere un “cappio al collo” al Paese.
Il giorno della proclamazione del lockdown in Sud Africa l’agenzia di valutazione finanziaria Moody’s ha rimosso dalla propria lista – l’ “investement-grade credit rating” – i titoli di Stato sud-africani passati da “negativi” a “spazzatura”. Si è allineata alle altre due agenzie (S&P e Fitch Ratings) che avevano espresso una analoga valutazione già dal 2017.
La possibile fuga di capitali stimata di investitori esteri si aggira sui 15 miliardi di dollari.
La strategia è chiara: prosciugare il Paese di importanti risorse finanziarie e costringerlo ad un “pacchetto d’aiuti” a condizione di imporre drastiche riforme alla propria economia.
Come altre valute di Paesi Emergenti, la moneta sudafricana ha perso circa un quarto del suo valore dall’inizio dell’anno.
Mercoledì della settimana di questa nuova valutazione di Moody’s, la banca centrale su-africana (SARB) aveva proceduto all’acquisto dei titoli di Stato, cioè come ha dichiarato un analista di Intellidex che si occupa di Sud Africa: «ha attraversato il Rubicone».
Una manovra che insieme ai prestiti garantiti alle imprese – ma senza attuare il corrispettivo del Quantitative Easing mantenendo un tasso di sconto del 5,25% – vuole tutelare il sistema economico e mantenere un certo livello di liquidità.
Il Governo ha deciso di tutelare il lavoro nei settori formali con un differimento delle tasse e un fondo per la disoccupazione e vuole aumentare gli aiuti alla parte più vulnerabile della popolazione – la disoccupazione ufficiale è al 30% – che fino ad ora copre 18 milioni di persone di cui 12,5 minori che compongono per 4/5 quei gruppi familiari dell’esercito dei lavoratori informali.
Un pezzo di welfare importante a dispetto di altri “Paesi Emergenti”.
Appare chiaro come la leadership è intenzionata ad usare tutti i margini di manovra per non lasciarsi mettere in bancarotta dall’azione criminale di chi orienta il mercato internazionale, affrontando al meglio la pandemia anche con mezzi coercitivi vista la presenza dell’esercito nelle strade delle grandi periferie metropolitane.
Unione Europea, Cina, Stati Uniti in competizione sull’Africa
In questo contesto l’azione della Repubblica Popolare assume un profilo significativo, non solo per la diplomazia della “via della seta della salute”, ma per lo scontro geo-politico in corso in tutto il continente che vede USA e soprattutto UE ad un impasse evidente.
Come ha affermato la cellula della Presidenza francese che si occupa di prospettiva strategica: «la partita non è solo sviluppare una contro-narrazione, ma è potersi appoggiare ad un bilancio eloquente».
Un bilancio fino ad ora assai magro: Bruxelles – stando agli annunci di mercoledì 8 aprile – si è limitata a finanziare con 3,25 miliardi di Euro dei programmi già in corso ma non completati verso il continente, mentre la Francia ha stanziato sempre la scorsa settimana 1,2 miliardi di Euro tramite l’Agenzia francese per lo Sviluppo per 19 Paesi tra cui Senegal, Burkina Faso, Guinea a Madagascar. Si tratta di un miliardo di prestiti circa e solo 150 milioni di donazioni, altri 500 dovrebbero destinati alla cure di varie malattie infettive.
La Cina sta giocando un ruolo a tutto campo https://contropiano.org/news/internazionale-news/2020/04/12/la-pianificazione-socialista-cinese-relativa-al-covid-19-0126705 .
Le donazioni di Jack Ma attraverso due fondazioni – una omonima l’altra dell’azienda di cui è stato fondatore – a 54 Stati Africani distribuite dal “braccio sanitario” dell’Unione Africana attraverso la piattaforma di Alibaba: “Electronic World Trade Platform” con il supporto degli aerei della compagnia etiope Ethiopian Airlines, si affiancano a quelle del gigante Huawei. La compagnia cinese ha infatti donato controllori termici e sistemi per video conferenza a Tunisia, Africa del Sud, Zambia e Kenya.
Le video-conferenze organizzate con Paesi africani e del Medio Oriente per condividere le esperienze maturate nella Repubblica Popolare il 18 e il 26 marzo sono un altro tassello del concreto aiuto di Pechino.
Ma questo passaggio non è che l’ultimo della “via della seta della salute”.
Stando all’agenzia stampa cinese Xinhua dagli Anni Sessanta alla fine del decennio scorso sarebbero stati 20 mila il totale del personale medico cinese inviato in Africa che avrebbe prestato cure a 200 milioni di persone.
È stato il contributo contro l’Ebola – che ha mietuto più di 11 mila vittime tra il 2013 e il 2016 – ha costituire il passo decisivo per la Cina in questo senso che ha inviato 1.200 professionisti della salute in Guinea, Liberia e Sierra Leone.
E l’attuale contributo cinese è riconosciuto a cominciare dagli alti livelli dell’Unione Africana.
John Nkengasong, virologo direttore del Centro che è il “braccio sanitario” dell’UA afferma: «la Cina è perfettamente mobilitata. Il suo sostegno è cruciale e salvifico».
Bisogna ricordare che la Cina aveva appoggiato nel 2017 la candidatura dell’attuale direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’etiope T.A. Ghebreyesus – ex ministro della salute e degli esteri del Paese più volte bacchettato da Trump.
Ed in Africa de Sud – epicentro continentale della pandemia – è lo stesso Ministro della Salute Zweli Mkhize – che ha organizzato il 3 aprile una video-conferenza tra Shangai ed i responsabili del contrasto della pandemia nel proprio Paese – ha dichiarare che si appoggia su Cina e su Cuba, quest’ultima già presente da tempo con proprio personale sanitario nello Stato.
Gli fa eco il comandante delle Forze Armate – il generale Solly Shoke – che durante una cerimonia di consegna di aiuti cinesi afferma: «non c’è che la Cina al nostro fianco».
In generale i rapporti tra Cina ed Africa si sono intensificati e la Repubblica Popolare ha già dimostrato nel corso dell’altr’anno con il Camerun ed il Congo di essere più “morbida” rispetto ai propri competitor occidentali rispetto alla condizione di pagamento del debiti contratti nei suoi confronti che ammontano ad un totale di 133 miliardi di Euro per tutto il Continente.
Alcune cifre danno l’idea dell’impennata dell’interscambio sino-africano.
Tra il 2013 e il 2018 l’interscambio commerciale sino africano è aumentato di 11 volte ed era pari a 170 miliardi di euro, mentre gli investimenti cinesi in Africa sono aumentati di ben 7 volte attestandosi ai 5,4 miliardi di dollari.
In Africa vivono più di un milione di cinesi e 50 mila studenti africani studiano in Cina, 25 volte quelli che erano presenti nella Repubblica Popolare nel 2003.
È chiaro che anche per il continente africano potrebbero mutare gli equilibri geo-politici in seguito alla gestione della Pandemia e delle sue conseguenze economiche “sganciandolo” ancora maggiormente dai tradizionali attori ex e “neo-coloniali” e dalla comunque importante influenza statunitense.
Tutto questo in continuità con una relazione – non bisogna mai dimenticarlo – maturata durante gli anni della lotta contro il colonialismo in cui la Cina maoista era uno dei fari – insieme all’Unione Sovietica e alla Cuba rivoluzionaria – dei popoli oppressi.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa
antonio
a completamento..
tenere conto delle contraddizioni interimperialiste,non appiattire..ma stare anche molto attenti a rilevare le caratteristiche omogenee del capitalismo(di stato o meno..),all’interno delle singole FES e all’esterno
https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2020/04/13/cina-razzismo-africani-coronavirus
Wuhan, 10 aprile 2020. (Aly Song, Reuters/Contrasto)
CORONAVIRUS
In Cina la paura alimenta il razzismo contro gli africani
Pierre Haski, France Inter, Francia
13 aprile 2020
FacebookTwitterEmailPrint
La scena è stata immortalata dalle telecamere: l’ambasciatore cinese in Nigeria, convocato dalle autorità del paese più popoloso d’Africa, è stato costretto a guardare alcuni filmati su un cellulare. In questo modo il presidente del parlamento nigeriano ha voluto mostrargli le immagini che hanno sconcertato il continente. A Canton, nel sud della Cina, alcuni africani sono stati cacciati dalle loro abitazioni e obbligati a dormire in strada per il sospetto che fossero affetti da covid-19, mentre all’entrata di un centro commerciale sono stati affissi alcuni cartelli in inglese per indicare un divieto d’ingresso “per i neri” per ragioni di salute pubblica.
È bastato che cinque nigeriani fossero risultati positivi al virus per produrre un riflesso anti-africano nella città cinese che conta il maggior numero di migranti di origini africane. Molti di loro, non tutti regolari, portano avanti attività commerciali in Cina, e alcuni sono si sono sposati nella loro terra adottiva. Oggi un milione di cinesi vive nel contiene africano. Meno risaputo è il fatto che decine di migliaia di africani abbiano seguito la rotta inversa verso la Cina.
Finora questa convivenza non aveva creato grossi problemi, ma il virus emerso inizialmente in Cina rende tutti più nervosi. La Cina teme una “seconda ondata” di contagi, e le autorità insistono sul fatto che i nuovi casi siano “importati” dall’Europa, dagli Stati Uniti, dalla Russia – di recente una città di frontiera nel nord della Cina stata messa in quarantena – e appunto dall’Africa.
La paura del ritorno dell’epidemia, ora che la Cina tenta un rilancio dell’economia, trasforma ogni straniero in un sospetto
La paura del ritorno dell’epidemia, proprio nel momento in cui la Cina tenta una riapertura e un rilancio della sua economia, trasforma ogni straniero in un sospetto, con tanto di deriva razzista a Canton.
La ricerca del capro espiatorio
Purtroppo la ricerca di un capro espiatorio è molto frequente quando si verifica una catastrofe inspiegabile. È senz’altro il caso del virus Sars-cov-2.
Il paradosso delle scene viste a Canton è che nelle prime settimane dell’epidemia le vittime di episodi di razzismo erano stati proprio i cinesi e più in generale le persone di origine asiatica. Ricordiamo tutti le aggressioni in Europa o negli Stati Uniti contro gli asiatici, invitati a “tornare a casa loro” a causa del virus.
Negli Stati Uniti Donald Trump si è prestato a questa stigmatizzazione definendo il Sars-cov-2 un “virus cinese”, nonostante a livello internazionale sia proibito collegare una malattia a un paese, a un gruppo etnico o a una minoranza sessuale.
In questo modo c’è il rischio di creare un circolo vizioso di rappresaglie. Le immagini che arrivano da Canton hanno suscitato reazioni molto forti nei paesi d’origine dei migranti. In Kenya è stata lanciata una campagna con lo slogan “China go home”, “la Cina deve andarsene”. Evidentemente è una brusca inversione di rotta dopo i gesti di solidarietà cinese con l’invio in Africa di attrezzature sanitarie per combattere il virus.
Altrove sono stati indicati capri espiatori diversi, e i social network hanno veicolato questa ostilità. Il finanziere statunitense di origine ungherese Georges Soros, per esempio, è diventato il bersaglio di una campagna dai toni antisemiti. Tra le vittime della rabbia indiscriminata ci sono anche i migranti rinchiusi nei disumani campi profughi della Grecia. La paura dell’“altro”, collettivo e astratto, non ha mai portato a niente di buono. Soprattutto in tempi di pandemia.
(Traduzione di Andrea Sparacino)