“Sotto la crisi cui è in preda il mondo si possono scoprire gli indizi di una logica all’opera e questo ci permette di conservare fiducia nello sviluppo futuro”
Figure dell’immanenza. Una lettura filosofica del I Ching, François Jullien
Pubblichiamo la traduzione dell’articolo: Crisi in Europa: l’audace offerta di von der Leyen per nuovi poteri, apparso nella sezione “the Big Read” del prestigioso quotidiano economico finanziario britannico “Financial Times”.
Si tratta di un articolo, scritto a “sei mani” dai tre corrispondenti del giornale a Bruxelles, che ricostruisce l’attuale dibattito nei centri decisionali dell’Unione Europea rispetto alla politica economica da adottare.
Un momento topico, quello che sta attraversando l’UE, che rischia di mettere in discussione le sue aspirazioni, o come si esprime un anonimo funzionario intervistato dai giornalisti: “una questione di sopravvivenza per il mercato interno e il progetto europeo”.
Il contributo fa emergere tra le righe lo stile di lavoro della presidente della Commissione Europea, mostrandoci quale sia il reale processo decisionale nelle “stanze dei bottoni” a Bruxelles. In un passaggio preceduto da ciò che i latini avrebbero definito captatio benevolentiae – “procurarsi la simpatia” – i giornalisti ci informano che:
“Tuttavia, questa attenzione ai dettagli è stata affiancata da ciò che alcuni critici vedono come una mancanza di coordinamento politico ai vertici della commissione e una dipendenza eccessiva da un piccolo gruppo di consulenti di fiducia – alcuni dei quali sono venuti con lei da Berlino – per condurre un gruppo amministrativo di 32.000 membri.”
Un anonimo funzionario è più esplicito: “Penso che il problema più grande sia che lei si circondi di due a tre persone e non ascolti nessun altro“.
Due/tre persone che decidono delle sorti di un edificio politico continentale, è un bel salto in avanti nel processo di “centralizzazione politica” – una bella delega in bianco ai tecnocrati – ed il fatto che alcuni dei siano venuti da Berlino non sembra proprio un dato secondario della volontà della Germania di tenere bene in mano le redini.
Se qualcuno se lo era dimenticato, ci ha pensato la Corte Suprema a ricordare che la Germania Europea è innanzitutto una Europa Germanica.
Se i giornalisti tendono a spostare l’asse del ragionamento sulla “rappresentazione” scarsamente unitaria data all’esterno della Commissione, il cuore della questione rimangono le “faglie politiche e geografiche che attraversano i massimi livelli della commissione”. In soldoni gli interessi divergenti tra i Paesi in un sistema strutturalmente basato sulla competizione e non sulla cooperazione tra Stati.
Difficile trovare una “mediazione accettabile” già in tempi normali, impossibile quando non si parla di business as usual, a meno che…
Di fatto com’è apparso chiaro da martedì è l’asse franco-tedesco che prova a rideterminare un piano politico oltre l’impasse evidente registrato fino ad ora, tentando di rilanciare il processo di integrazione europea, ridisegnandone in parte i connotati per adeguarsi alla condizione concreta, ma senza stravolgerne – ma anzi rafforzandone – le gerarchie interne, e soprattutto le soggiacenti catene del valore economico-produttivo.
In questo senso tutto sarà come, o peggio, di prima.
Si tratta di porre le basi affinché l’Unione Europea sia un attore politico globale in grado di rivaleggiare con gli altri competitor, facendo sì che le fessure apparse fino ad ora non diventino “crepe strutturali” tali da far crollare l’edificio lungo le linee di faglia geografiche e politiche, già vistose in fase pre-pandemica a causa di una stagnazione che stava volgendo in recessione.
Senza una chiara direzione di marcia, una ferrea governance dei processi e mezzi adeguati, l’Unione Europea rischia la “marginalizzazione”; il che comporterebbe il declino sia per la Germania che per la Francia, impossibilitate a sfruttare la proiezione di potenza che offrirebbe loro un polo come la UE in tutti i campi: economico, politico, militare e anche “culturale”.
L’Unione Europa costituisce l’unica proiezione strategica per l’establishment di questi Paesi, non certo per le sue classi subalterne ed ancora meno i ceti popolari del continente, specie delle sue zone periferiche.
Potremmo dire che o l’Unione Europa sarà una Europa neo-carolingia o non sarà.
Rimangono comunque sul tappeto una serie di questioni geo-politiche di non poco conto, in particolare rispetto al proprio “giardino di casa” in Africa ed in Medio Oriente, e ai rapporti con USA e Cina.
Anche gli “europeisti” più accaniti sono ben consci di quanto stia cambiando le scenario internazionale e le priorità che un normale approccio social-democratico – che ovviamente non ci appartiene – dovrebbe sviluppare.
Rimangono comunque tre “scogli” principali per proseguire in questo senso, raggiungendo un nuovo compromesso di partenza che si risolva nel trovare tre differenti punti di equilibro.
Il primo è quello tra una progettualità ad ampio raggio ed a lunga scadenza e gli interessi divergenti di tre “aree” piuttosto litigiose, che a stento sanno guardare al di là del proprio naso. Sarà impegnativo trovare un compromesso tra il mix di politiche “monetarie” e politiche “fiscali”, così come tra “sovvenzioni” e “prestiti” per la manovra che si annuncia. Ma è questa la conditio sine qua non, o come si esprimono gli autori: “anche dopo un decennio in cui l’UE è rimbalzata da una crisi all’altra, dalla minaccia della Grexit alla realtà della Brexit, le decisioni che si prenderanno nelle prossime settimane saranno un momento che definirà il progetto europeo”.
Per fare questo si scontrano “tre gruppi”, tre Europe che dovranno trovare una sintesi: “mentre le nazioni del sud vogliono che la maggior parte del denaro nel fondo di recovery fund sia consegnato in sovvenzioni non rimborsabili, gli stati del nord si oppongono alla consegna di grandi quantità di denaro preso in prestito senza l’obbligo di rimborsarlo. Per quello che li riguarda, invece, i paesi orientali che dipendono dai programmi di sviluppo regionale dell’UE temono che le spese vengano dirottate verso il travagliato sud dell’Europa”.
Su questa linea di frattura, forse il parere più autorevole l’ha rilasciato Guido Salerno Aletta.
La strada sembrerebbe quella – ma il condizionale è d’obbligo – di un temporaneo “allentamento” della cintura dell’austerity verso un pragmatismo dettato dalla non proprio peregrina ipotesi del collasso di intere economie, sullo sfondo di una situazione di incertezza dove il virus non è affatto sconfitto. Anzi.
“La commissione ufficiale che si occupa dei colloqui del fine settimana afferma che nel “punto d’arrivo”, che sarà probabilmente proposto dalla commissione, la quota di sovvenzioni sarà maggiore di quella dei prestiti, dato che il pacchetto da 540 miliardi di euro recentemente concordato dall’UE era stato composto interamente da prestiti agli Stati membri”.
C’è un però. Questi sono i piani delle oligarchie che, dopo una gestione disastrosa, hanno comunque imposto una ripresa dell’attività produttiva “costi quel che costi”. La storia può prendere pieghe strane soprattutto se “il mondo di sotto” sviluppa coscienza della natura parassitaria del “mondo di sopra” e del distillato di idiozie che hanno spacciato come dogmi, in primis sull’Unione Europea.
Se anche un commentatore autorevole come Lucio Caracciolo dice che “il vincolo esterno è il nome gentile della soluzione finale”, noi, che l’abbiamo spesso ripetuto dal punto di vista della nostra classe, cosa dovremmo dire?
Dovrebbe essere un’ovvietà, ma spaventa molti deboli di cuore: rompere la gabbia dell’Unione sarà un processo durissimo, ma restarci è una condanna a morte per il nostro disastrato sistema-paese e le classi subalterne che lo mandano avanti ogni giorno.
Buona Lettura
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Ursula von der Leyen ha consegnato un duro messaggio ai commissari dell’UE al loro primo incontro “in presenza”, giovedì sera, dopo molte settimane. Ha detto ai suoi colleghi, in distanziamento sociale, che avevano l’opportunità di creare un piano di ricostruzione praticabile per un’economia europea devastata dalla crisi del coronavirus. Ma avevano poco tempo prezioso a loro disposizione e un solo tentativo da azzeccare.
Un dettaglio importante era apparentemente assente dalla presentazione privata del presidente della Commissione, in una stanza senza finestre del palazzo Berlaymont di Bruxelles: la questione estremamente divisiva della portata del recovery fund che lei dovrà proporre a breve.
La Von der Leyen sta pianificando un’audace offerta per avere nuovi poteri, cercando di mettere la sua istituzione al centro degli sforzi per rianimare l’economia Europea, chiedendo agli Stati membri una libertà di manovra senza precedenti per raccogliere fondi sui mercati. Ma l’ex ministro della Difesa tedesco affronta la maggiore prova della sua breve presidenza cercando di colmare le amare divisioni all’interno dell’UE sul piano.
I governi dell’Europa meridionale stanno spingendo affinché l’UE riceva una nuova potenza di fuoco di oltre 1500 miliardi di euro per far fronte alla crisi. Ma i paesi del Nord sono scettici su queste alte ambizioni.
Dopo le teleconferenze con più di 20 leader durante il fine settimana, la signora von der Leyen ha identificato la proposta di un “punto d’arrivo” sulle dimensioni del recovery fund – o “strumento”, nel linguaggio UE – ha detto al Financial Times domenica sera un funzionario della Commissione che ha familiarità con le trattative.
Mentre voci precedenti suggerivano che la Commissione avrebbe chiesto in prestito di circa 320 miliardi di euro per finanziare lo strumento di recupero, il funzionario ha affermato che la cifra sarebbe “considerevolmente più grande” di questa, con la maggior parte dei finanziamenti distribuiti sotto forma di sovvenzioni, piuttosto che di prestiti.
“Questa è una costruzione completamente nuova che stiamo realizzando – è di enorme importanza“, afferma la von der Leyen in un’intervista al Financial Times. “Prima dell’ultima riunione del Consiglio europeo [di aprile], quando avevamo questo compito, non c’era nulla là fuori che potesse fornire una risposta, tenendo conto di tutte le opinioni opposte.”
Anche dopo un decennio in cui l’UE è rimbalzata da una crisi all’altra, dalla minaccia della Grexit alla realtà della Brexit, le decisioni che si prenderanno nelle prossime settimane saranno un momento che definirà il progetto europeo.
La crisi del coronavirus ha aumentato le divisioni economiche e politiche tra nord e sud, che hanno a lungo minacciato di lacerare l’UE. In particolare, l’umore in Italia è cambiato bruscamente negli ultimi tre mesi, con persino alcune voci fortemente europeiste che mettono ora in discussione il futuro a lungo termine del paese all’interno dell’UE.
Secondo i piani della signora von der Leyen per ricostruire l’Europa dopo il crollo indotto dal coronavirus, che dovranno trovare il sostegno di tutti i 27 stati membri dell’UE, la commissione sarebbe autorizzata a emettere un debito di centinaia di miliardi di euro per finanziare il recovery fund. L’obiettivo è favorire la crescita in paesi le cui finanze pubbliche sono state devastate dalla crisi.
È una sfida personale spaventosa per il presidente della Commissione: costruire una proposta che non sia immediatamente respinta da vaste aree dell’Europa – specialmente dopo un inizio incerto, durante il quale l’UE è stata accusata di non riuscire a cogliere rapidamente l’enormità della crisi.
La signora von der Leyen, che è entrata in carica il 1 ° dicembre, ha faticato a reprimere le divisioni tra i suoi stessi commissari, mentre alcuni funzionari sostengono che lei e il suo piccolo e affiatato gruppo di consulenti principali abbiano trovato difficoltà a far fronte alla complessa macchina burocratica da lei guidata.
“La consegna di questo piano di risanamento sarà il momento della verità per questa Commissione europea; il momento che determinerà il suo destino“, afferma Pascal Lamy, un ex capo dell’Organizzazione mondiale del commercio, che era capo gabinetto di Jacques Delors quando era alla Commissione, dal 1985 al 1995.
“Stanno parlando di consentire in via eccezionale all’UE di prendere in prestito e far correre un deficit per finanziare la ripresa. Questo sarebbe davvero attraversare il Rubicone per gli Stati membri.“
Intervento fiscale
Da quando la crisi è scoppiata, a marzo, la natura della risposta economica comune dell’Europa è stata al centro di furiose recriminazioni tra gli Stati membri. Gli stati del sud, compresa l’Italia, hanno accusato la Germania e i suoi alleati di non dimostrare sufficiente solidarietà. Nel frattempo, i “parsimoniosi” stati del nord si sono scontrati contro le richieste di emissione su larga scala di debito comune.
I rendimenti dei bond sovrani sono stati tenuti sotto controllo dalla Banca centrale europea, che è in procinto di acquistare circa 900 miliardi di euro extra di bond, quest’anno; e i ministri dell’economia hanno concordato un pacchetto da 540 miliardi di euro come misure di soccorso d’emergenza, tra cui potenziali linee di credito dal Meccanismo europeo di stabilità (Mes).
Ma Christine Lagarde, presidente della banca centrale, ha insistito sul fatto che la risposta alla crisi non può basarsi solo sulla politica monetaria. Una sentenza molto controversa sulla politica della BCE da parte della Corte Suprema tedesca ha sollevato nuove domande sulle prospettive della politica monetaria e ha intensificato le richieste di una convincente risposta fiscale da parte degli Stati membri.
Paolo Gentiloni, commissario europeo per l’economia, ha dichiarato al Financial Times di temere che la crisi possa aggravare la divergenza economica all’interno del blocco, date le diversità di disponibilità fiscale tra i diversi Stati membri.
“Questa crisi comune rischia di avere conseguenze sempre più diseguali, e ciò comporta rischi per la parità di condizioni degli Stati membri e per la convergenza economica, in particolare nell’area dell’euro“, afferma Gentiloni. “Alla Commissione viene chiesto di formulare una proposta in grado di colmare diverse posizioni e raggiungere un consenso – che è facile a dire, ma non è molto facile a farsi“
A un vertice di fine aprile, i leader europei hanno convenuto che invece di istituire un fondo su misura per alimentare la ripresa, avrebbero reso la commissione protagonista, conferendole nuove capacità di prestito e collegando la spesa al bilancio dell’UE per il 2021-2027 – noto come il quadro finanziario pluriennale (MFF).
“Ci siamo resi conto che abbiamo bisogno di un principio unificante – e l’unico strumento affidabile a disposizione, stabilito e provato è il MFF (Multiannual Financial Framework, quadro finanziario pluriennale, ndt)”, afferma la von der Leyen. “Il fondo di recupero discusso all’epoca era stato contestato – alcuni lo volevano e un’altra parte non lo voleva affatto. E per me la preoccupazione principale era che non avevamo ancora un MFF.“
Secondo le idee della Commissione, gli Stati membri avrebbero garantito di prendere in prestito centinaia di miliardi di euro sul mercato aperto. Poi distribuirà il denaro sotto forma di prestiti a basso costo, oltre a sovvenzioni e garanzie, per incoraggiare gli investimenti in progetti e per le imprese.
Questo denaro verrebbe iniettato negli Stati membri attraverso un MFF radicalmente rivisto, ma collegare il recovery fund ai colloqui sul bilancio rappresenta una scommessa, visto che sono rimasti in fase di stallo da oltre due anni.
Mentre le nazioni del sud vogliono che la maggior parte del denaro nel fondo di recovery fund sia consegnato in sovvenzioni non rimborsabili, gli stati del nord si oppongono alla consegna di grandi quantità di denaro preso in prestito senza l’obbligo di rimborsarlo. Per quello che li riguarda, invece, i paesi orientali che dipendono dai programmi di sviluppo regionale dell’UE temono che le spese vengano dirottate verso il travagliato sud dell’Europa.
La commissione ufficiale che si occupa dei colloqui del fine settimana, afferma che nel “punto d’arrivo” che sarà probabilmente proposto dalla commissione, la quota di sovvenzioni sarà maggiore di quella dei prestiti, dato che il pacchetto da 540 miliardi di euro recentemente concordato dall’UE era stato composto interamente da prestiti agli Stati membri.
Nel frattempo, gli Stati membri si stanno preparando per un dibattito complesso su come e quando rimborsare il debito. La commissione sta pianificando di chiedere agli Stati membri di concederle nuovi flussi di entrate – le cosiddette “risorse proprie” – per aiutarla a servire i suoi prestiti, ad esempio una tassa sulla plastica; ma questa sarà una proposta difficile da far accettare ai ministeri del tesoro nazionali.
Le capitali dovranno stabilire le regole che determinano la modalità di distribuzione del denaro tra gli Stati membri, nonché le condizioni di riforma associate alle sovvenzioni dell’UE.
La signora von der Leyen deve anche coinvolgere il Parlamento europeo e negli ultimi giorni ha tenuto colloqui intensi con i leader politici. Ha dichiarato, dopo il vertice di aprile, di volere almeno 1.000 miliaridi di euro di potenza di fuoco a sua disposizione, ma la scorsa settimana il Parlamento l’ha avvertita di non usare “magie finanziarie e moltiplicatori dubbi” per ottenere una dimensione apparentemente impressionante.
Mancanza di coordinamento
La signora von der Leyen ha avuto poco tempo per prepararsi alla sfida politica che sta avvenendo. È stata catapultata inaspettatamente alla presidenza della Commissione lo scorso anno, dopo che un controverso dibattito in Europa non è riuscito a creare consenso intorno a figure come il leader di centro-destra del Parlamento europeo, Manfred Weber, che era stato candidato per la carica.
Diversi funzionari e diplomatici hanno affermato che lei ha avuto problemi all’inizio della crisi perché aveva poca esperienza delle strutture dell’UE ed è stata immediatamente gettata in un’emergenza che coinvolgeva competenze dagli Stati membri, in particolare quelle della salute e della sicurezza delle frontiere.
“All’inizio era molto traballante, principalmente perché la crisi ha colpito nelle aree in cui la commissione non ha competenze“, dice un funzionario.
Von der Leyen adotta un approccio pragmatico per il suo ruolo, in contrasto con il precedente presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, auto-proclamatosi delegato. Von der Leyen presiede le riunioni operative quotidiane sulla risposta di Bruxelles, che coinvolgono non solo i capi politici istituzionali, ma anche i funzionari pubblici che lavorano su progetti prioritari chiamati a fornire aggiornamenti sugli avanzamenti.
Tuttavia, questa attenzione ai dettagli è stata affiancata da ciò che alcuni critici vedono come una mancanza di coordinamento politico ai vertici della commissione e una dipendenza eccessiva da un piccolo gruppo di consulenti di fiducia – alcuni dei quali sono venuti con lei da Berlino – insufficiente per condurre un gruppo amministrativo di 32.000 membri.
“Penso che il problema più grande sia che lei si circondi di due a tre persone e non ascolti nessun altro“, afferma un funzionario dell’UE.
I diplomatici nazionali esprimono frustrazione per l’impossibilità di accedere agli ultimi documenti che descrivono i progetti di piano di commissioni, nonché per i lunghi tempi di attesa che seguono le richieste di informazioni, sebbene il dialogo sul bilancio sia aumentato notevolmente nelle ultime settimane.
Di recente, problemi sono stati sollevati dalla decisione della Commissione di indagare seriamente sulla scomparsa di documenti interni, compresi i progetti per il piano di risanamento. Un diplomatico dell’UE afferma che la stretta ha interrotto il normale metodo di lavoro di Bruxelles, in base al quale le perdite equivalgono a “consultazioni” informali su proposte con delegazioni nazionali. Un altro lo descrive come una “caccia alle streghe”.
La settimana scorsa un portavoce della Commissione ha insistito sul fatto che “non ci fosse assolutamente niente di eccezionale” sull’indagine della commissione sulle perdite. Ma un altro diplomatico sostiene che le indagini indichino frustrazione da parte della von der Leyen per non essere in grado di affermare un controllo della sua istituzione dall’alto verso il basso.
I funzionari notano che la von der Leyen non è mai stata un primo ministro, il che la mette in una posizione diversa rispetto a Juncker, che si era seduto al tavolo del vertice dell’UE con altri leader dagli anni ’90 come primo ministro lussemburghese.
Lei spesso ha lottato per assicurare un messaggio unitario da parte della sua squadra, che includeva forti critici politici tra cui Gentiloni, un ex primo ministro italiano, che con il commissario francese Thierry Breton ha presentato piani distinti in aprile per la creazione di un fondo europeo appositamente costruito per l’emissione di debito.
Il risultato è stato un errore nelle aspettative su ciò che l’UE farà e una maggiore visibilità delle faglie politiche e geografiche che attraversano i massimi livelli della commissione.
La von der Leyen ha sottolineato l’enorme volume di lavoro svolto dall’istituzione sotto la sua guida – la commissione ha adottato più di 260 misure in risposta alla crisi, tra cui 140 approvazioni per gli aiuti di Stato nazionali, un regime di autorizzazione per le esportazioni mediche, orientamento su chiusure delle frontiere e un allentamento delle norme dell’Eurozona per i bilanci nazionali.
Uno dei suoi programmi di punta, una strategia Europea da 100 miliardi di euro a sostegno del lavoro nazionale di breve durata, è stato sottoscritto dai governi venerdì, appena un mese dopo la sua proposta.
“Laddove abbiamo la prerogativa, siamo stati in grado di agire più rapidamente di chiunque altro“, afferma von der Leyen. Senza i primi passi come la sospensione delle regole di bilancio del blocco e l’allentamento dei requisiti in materia di aiuti di Stato, aggiunge, “nessuno degli Stati membri sarebbe al punto in cui si trova oggi. Ne avevano bisogno disperatamente e lo abbiamo portato a termine a tempo di record.”
Contributi maggiori
La sua più grande sfida, comunque, la attende. La presidente e il commissario per il bilancio, Johannes Hahn, hanno in programma di firmare il piano di risanamento il 27 maggio, dopodiché l’attenzione si sposterà sul presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e sugli Stati membri, che devono negoziare il pacchetto di bilancio e di recupero proposto dalla Commissione.
Angela Merkel, la cancelliera tedesca, ha inviato segnali di essere pronta a intensificare in modo significativo i contributi di Berlino alla risposta comune dell’UE, il che dà ad alcuni osservatori la speranza che una svolta sia possibile. Ma se la Commissione giudicasse sbagliate le sue proposte e queste venissero accolte male dalle capitali nazionali, si avvelenerà il terreno.
Un vertice sul MFF a febbraio ha mostrato quanto siano sfaccettate le divisioni tra gli Stati membri, mentre i colloqui sul bilancio si sono interrotti senza evoluzioni a seguito di colloqui durante la notte. I limiti durante questi colloqui – come l’insistenza degli Stati del Nord nel mantenere gli sconti di bilancio – non sono stati cancellati.
“Spero che tutti capiscano che non ci sono dubbi sul fare una sorta di apparente modesta proposta di compromesso“, afferma un alto diplomatico dell’UE. “Questa è una questione di sopravvivenza per il mercato interno e il progetto europeo“.
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