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“Cari compagni!” di Andrej Končalovskij e il “disgelo” antioperaio khruščëviano

A scanso di commenti sarcastici, dico subito che il film non l’ho visto e, sopratutto, non essendo un critico e nemmeno un intenditore, anche se lo avessi visto, sicuramente non oserei avventurarmi in un commento estetico. Mi limito quindi a fornire una sintetica ricostruzione degli eventi di cui si parla nel film.

La pellicola di Andrej Končalovskij “Cari compagni!” (“Dorogie tovarišči!”), in concorso al festival di Venezia (l’uscita nelle sale russe è prevista per novembre) intende ripercorrere gli avvenimenti del 1-2 giugno 1962 nella città di Novočerkassk, nella regione meridionale russa di Rostov, allorché una manifestazione di protesta degli operai fu repressa con l’intervento di polizia e esercito. Il risultato fu di 26 manifestanti uccisi, un centinaio feriti e 7 persone, ritenute “istigatori” delle proteste, fucilati con l’accusa di “banditismo”.

Non mi sarei avventurato nella questione di uno dei tanti “florilegi” khruščëviani, se non fosse stato (per rimanere in tema, ricorro ironicamente a un’espressione con cui, nel tardo periodo sovietico, si introducevano nuove misure politiche o economiche, buone o cattive che fossero) per le “numerosissime richieste dei lavoratori”, desiderosi di conoscere un po’ meglio la questione, prima che la canea antisovietica, anche a trent’anni dalla fine dell’URSS, ne faccia l’abituale uso “obiettivamente imparziale”. Notoriamente malfidati come siamo, diamo per scontato che accadrà proprio questo.

Il critico Anton Dolin scrive su meduza.ru che, oltre alle indubbie “consistenza artistica e valenza storica”, tra gli spunti più “preziosi e acuti di “Cari compagni!“, forse il più notevole è il fatto che Končalovskij non guardi al potere sovietico come a un sistema burocratico astratto e amorfo, ma… colpisca l’obiettivo centrale”; e cioè che “l’unico vero soggetto di potere nel nostro Paese (sì, sì, e anche oggi) sia il KGB“. Chiamatelo come volete – ČeKa, GPU, NKVD o FSB – la sostanza non cambia. “Cari compagni!” è un film appassionatamente e conseguentemente anti-GäBäšnyj”, anti-KGB.

Pochi dubbi che, parlando del film, “l’obiettiva imparzialità” nostrana batterà proprio su quel tasto: il potere sovietico, così come la Russia di oggi – chi andrà a dirgli che non hanno proprio nulla in comune? – non è stato altro che un immenso “GULag”, in cui nemmeno gli operai, nel nome dei quali si diceva di governare, erano risparmiati dalla morsa di un potere poliziesco assoluto e incontrollato.

E in questo caso, i nostri “obiettivi imparziali” non staranno certo a sottilizzare tra Stalin e Khruščëv: importante, qui, è attaccare il potere sovietico in quanto tale; tanto meglio se anche le fucilate antioperaie khruščëviane passano sullo schermo per “frutti dello stalinismo sovietico”, o del socialismo in quanto tale.

Dal breve trailer disponibile, traspare indubbiamente tutt’altra professionalità e raffinatezza politica rispetto, ad esempio, al serial televisivo “Zulejka apre gli occhi”, di cui diciamo più avanti. In “Cari compagni!“, Končalovskij fa “aprire gli occhi” alla protagonista, Ljudmila Sëmina, all’inizio del film convinta funzionaria di partito, interpretata da Julija Vysotskaja (originaria proprio di Novočerkassk), brava attrice, nonché moglie di Končalovskij, nota anche per le ricette di cucina italiana che in passato illustrava dal canale “Mangiamo a casa”, con ambientazioni spesso riprese nella villa maritale in Toscana.

Ancora Anton Dolin, così generoso di elogi, scrive che “La prima caratteristica del film che viene in mente è: antisovietico“. E, a tal proposito, proprio il 9 settembre, il Primo ministro russo Mikhail Mišustin, distribuendo i premi governativi per la cultura, ha assegnato una delle palme proprio a Guzel’ Jakhina, autrice del libro “Zulejka apre gli occhi”, da cui è tratto l’omonimo serial e che la scrittrice definisce “un romanzo sulla tragedia della dekulakizzazione”.

Ambientato nelle campagne del Tatarstan, racconta degli ameni valori della tradizionale vita dei contadini agiati, circondandoli di un’aureola mistica per come sabotano le fattorie collettive, con assassinii di responsabili di soviet e di partito, stragi di bestiame, imboscamento di scorte cerealicole, ecc., in un crescendo di luoghi comuni sulla “vendetta comunista”, con deportazione dei kulaki (in realtà: 1,5% della popolazione contadina che, oltretutto, già dal 1932 cominciavano a tornare ai villaggi d’origine), cinismo dei funzionari e inverosimili crudeltà dei NKVDäšnyki. L’anno prossimo la palma governativa toccherà forse a Končalovskij?

Venendo al tema trattato in “Cari compagni!”, le manifestazioni del 1-2 giugno 1962 contro l’aumento dei prezzi di alcuni prodotti alimentari (la crescita “temporanea del 25-30% del prezzo di carne e burro”, era stata presentata davvero dalla Pravda il 31 maggio come risposta alle “numerosissime richieste dei lavoratori” e come “ulteriore avanzata verso il comunismo“!) e il contemporaneo aumento di vari indicatori di produzione, con relativa riduzione salariale, sono più o meno parallele al varo della famigerata riforma economica Liberman-Kosygin che – insieme alla riduzione da 30 a 9 del numero di indicatori stabiliti dal piano per le industrie – prevedeva che, al posto della produzione lorda quale criterio di efficienza, subentrassero la redditività e gli indicatori della produzione venduta. In soldoni: prezzi più alti invece che più pezzi prodotti.

E si deve ricordare anche come quella di Novočerkassk non fosse stata che una, tra le tante repressioni del disgelo khruščëviano, anche se, probabilmente, tra le ultime. In un sommario e incompleto ordine, l’avevano preceduta la repressione delle agitazioni nell’esercito, legate a congedi e licenziamenti di massa; quella delle manifestazioni pro-Stalin a Tbilisi nel 1956 e quelle della popolazione russa a Groznyj nel 1958; quelle per i prezzi a Temirtau, in Siberia, nel 1959, Donetsk, Kemerovo.

Un discorso a parte meriterebbero le quarantamila (si dice) vittime, tra morti e invalidi permanenti, dell’esperimento nucleare a Orenburg, nel 1954, di cui erano a conoscenza i soli Khruščëv e il suo Ministro della difesa, Georgij Žukov, fido complice nell’assassinio di Lavrentij Berija.

Ma, nel ventaglio degli interventi militari, si ricordano quelli contro le agitazioni nell’area delle terre vergini in Kazakhstan, gli scontri con ceceni e ingusci, i pogrom anti-ingusci nel 1960 a Džetygar, ancora in Kazakhstan; la rivolta di Sumgait, in Azerbajdžan, il 7 novembre 1963.

Una nota che accomunava molte di quelle manifestazioni, come sottolineava nel 2017 Rustem Vakhitov su Sovetskaja Rossija, era quella del cosiddetto “stalinismo popolare“, o di un “ingenuo comunismo” e si trattò per lo più di rivolte locali e spontanee.

Secondo Vakhitov, dopo il XX Congresso, “le masse vedevano in Khruščëv un traditore del socialismo, e i deplorevoli risultati delle sue riforme, come pure la trasformazione della nomenklatura del partito in uno strato separato dal popolo, confermarono le masse nella convinzione che egli e gli alti funzionari fossero degenerati borghesi“.

I principali motivi di malcontento erano “difficoltà quotidiane, crisi alimentare, forte divario di benessere tra popolo e nomenklatura; ma c’erano anche conflitti etnici, riforme sconsiderate e, non ultima, la destalinizzazione, accolta ovviamente con entusiasmo da vertici del partito e intellighenzia, ma che aveva causato sconcerto e confusione tra il popolo”.

Anche a Novočerkassk, contro autoblindo e carri armati, manifestarono colonne di operai di diverse fabbriche, oltre a quelli della NÄVÄ (Novočerkasskij älektrovozostrojtel’nyj zavod: fabbrica di locomotrici elettriche, da cui erano partiti assemblea interna, sciopero e cortei del 1-2 giugno), portando bandiere rosse e ritratti di Lenin, distribuendo volantini in cui si accusava Khruščëv di essere un borghese degenerato, di aver abbandonato i principi leninisti e si ricordava come con Stalin i prezzi venissero ridotti, non aumentati.

Effettivamente, già prima della guerra e poi subito dopo, i prezzi dei beni di consumo di base venivano diminuiti pressoché annualmente; permettevano di farlo, scriveva nel 2012 ROTFront, nel 50° dei fatti di Novočerkassk, “l’introduzione di nuove tecnologie” e “la corretta organizzazione produttiva, incentrata non sul massimo profitto privato, ma sulla persona, sulla massima soddisfazione dei suoi bisogni materiali e culturali”.

I lavoratori, dunque, “ancora non disabituati alle annuali riduzioni di prezzi del periodo staliniano, intesero quella ‘misura temporanea’ di aumento dei prezzi nel suo autentico significato di ulteriore attacco ai propri diritti, al proprio tenore di vita”.

Tanto più che la misura era “accompagnata da una diminuzione dei livelli salariali di 1/3 in tutto il paese”, anche se condotta gradualmente, per categorie professionali.

All’interno della stessa NÄVÄ, i livelli erano stati diminuiti nei diversi reparti, in tempi diversi. L’ultimo reparto a subire i tagli, proprio in contemporanea con l’annuncio dell’aumento dei prezzi alimentari, era stato quello di fusione dell’acciaio: quelli furono i primi operai a muoversi.

Allo sciopero del reparto dell’acciaio, seguì subito quello dell’intera fabbrica e poi di tutta la città. La sparatoria (non è ancora del tutto chiaro se davvero ai soldati fosse stato detto che i proiettili erano a salve, mentre erano pallottole vere) avvenne il giorno successivo, 2 giugno, allorché i manifestanti si approssimarono all’edificio del Comitato cittadino del partito.

E andò bene, che il generale Šapošnikov, “Eroe dell’Unione Sovietica” durante la guerra, si rifiutasse di sparare sulla folla: fu estromesso dall’incarico, congedato nella riserva, espulso dal partito e poi accusato di propaganda antisovietica.

In generale, già a partire dal 1953, Khruščëv aveva messo mano a quelle “riforme” di riduzione dell’industria pesante e tecnologia avanzata, di calo delle forniture obbligatorie dei kolkhozy allo stato e diminuzione delle tasse sugli appezzamenti privati, di liquidazione delle Stazioni di macchine e trattori: di fatto, il trionfo della piccola proprietà, nascosto dietro il paravento della “completa e definitiva vittoria del socialismo su un sesto della terra“, proclamata nel 1959 al XXI Congresso e seguita due anni dopo, al XXII Congresso, dall’annuncio che Stato e partito diventavano “di tutto il popolo”.

Ancora nel 1974, l’ex membro del Politbüro, ex presidente del Consiglio dei commissari del popolo ed ex Ministro degli esteri sovietico Vjačeslav Molotov dichiarava allo storico Felix Čuev: “contrappongono Stalin a Bukharin e a Dubček: sono i destri che lo fanno, i residui di kulak non liquidati. Khruščëv non è stato casuale. Il paese è contadino e la deviazione di destra è ancora forte. E’ pienamente possibile che tra pochissimo tempo vadano al potere gli antistaliniani, i bukhariniani. Le classi sfruttatrici non erano completamente debellate e questo si rifletteva nel partito”.

Ancora Vakhitov su Sovetskaja Rossija, ricordava che lo storico Vadim Damier, spiegando come Khruščëv fosse riuscito a sconfiggere leader di partito importanti come Georgij Malenkov, scriveva: “L’anello intermedio dell’apparato del partito è entrato sulla scena politica, temendo un ritorno alla situazione esistente sotto Stalin, quando ogni funzionario rischiava non solo il posto, ma anche la testa. Risultò che la maggior parte dei membri del CC, che comprendeva i leader di partito di repubbliche e regioni e altri esponenti della nomenklatura economica e statale, era dalla parte di Khruščëv“.

Così come lo storico Jurij Žukov spiega le lotte, i complotti, le epurazioni degli anni ’30, con la volontà dei dirigenti locali e intermedi di conservare i propri privilegi, contro il progetto di Stalin di separare il partito dall’apparato statale, così quegli stessi quadri intermedi, vent’anni dopo, riuscivano a mettere al sicuro le proprie posizioni privilegiate.

E, tra le “conquiste” del disgelo khruščëviano, si deve ricordare come una parte significativa dei reclusi politici del GULag fosse stata liberata non da Khruščëv, bensì da Lavrentij Berija: in base al cui decreto di amnistia, nel 1953 erano stati rilasciati circa 100.000 reclusi, detenuti ai sensi del famoso articolo 58 del CP. E invece, nel 1955, fu emanato un decreto, in base al quale venivano amnistiati oltre 150.000 collaborazionisti dei nazisti: polizei, vlasovisti, banderisti, ecc.

Infine, ricorda Vakhitov, fu proprio con Khruščëv che ebbe la massima applicazione l’articolo 70 CP (agitazione e propaganda antisovietica) della RSFSR e conobbe un’accelerazione la macchina della “psichiatria repressiva”.

Al tempo stesso, la nomenklatura del partito poteva rimanere tranquilla: Khruščëv l’aveva messo al riparo (familiari compresi) dalla sfera di azione del Ministero degli interni, del KGB e persino delle leggi sovietiche. Ecco perché, “tra l’altro, nelle dače del CC e nei lussuosi appartamenti delle ‘case staliniane’, si esprimevano spesso liberamente opinioni, per le quali un semplice proletario, kolkhoziano, studente o impiegato poteva finire in lager o in ospedale psichiatrico. Come hanno notato i pubblicisti dell’opposizione patriottica di sinistra, l’era di Khruščëv fu un disgelo solo per gli intellettuali del fronte liberale”.

La fine dell’URSS socialista e dell’ordine sovietico è passata anche per Novočerkassk e il disgelo anti-stalinista. Lo sappiano, gli italici “obiettivi imparziali” che scriveranno del film di Andrej Končalovskij.

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