Menu

I nuovi “eroi” dell’Ucraina golpista

Mentre a Kiev, militari ucraini, britannici, statunitensi, canadesi, lituani celebrano congiuntamente la conclusione delle esercitazioni di Stato maggiore per adeguare l’esercito ucraino agli “standard NATO”, quello stesso esercito continua a martellare il Donbass con mortai e armi pesanti e gli osservatori OSCE testimoniano che bersaglio dei bombardamenti continuano a essere i civili del Donbass.

Testimonianze scomode, per Kiev, tanto che, secondo informazioni diffuse dalle milizie della Repubblica popolare di Donetsk, guastatori della 36° Brigata ucraina avrebbero posato mine anticarro lungo il percorso della missione di monitoraggio OSCE nell’area del villaggio di Vodjanoe. Parallelamente, la 14° Brigata meccanizzata ucraina ha ammassato mezzi blindati a ridosso di agglomerati civili nell’area di Novoajdarsk, nella LNR.

Nonostante ciò, lo scorso 14 novembre il Presidente ucraino Vladimir Zelenskij ha rivolto l’ennesimo video-appello in cui, tra le altre cose, ha parlato anche dell’apertura di un nuovo punto di controllo-passaggio verso il Donbass, accusando ovviamente le Repubbliche popolari di bloccare l’attività di tali punti di controllo.

Zelenskij si è rivolto in russo agli abitanti del Donbass, “ai nostri cittadini, agli ucraini che si trovano nei territori temporaneamente occupati. Voi stessi lo vedete”, ha detto Zelenskij, “per voi l’Ucraina è aperta in tutti i sensi. Voi lo sapete, chi è che blocca i punti di controllo dall’altra parte, chi è che ci divide”.

E ha concluso con “oggi l’Ucraina fa di tutto perché questo finisca. Non penso solo ai punti di controllo, ma a ciò che avviene ormai da sette anni. Io so che la guerra finirà e non avremo più bisogno di alcun punto di controllo-passaggio”.

Il messaggio di Zelenskij è arrivato il giorno immediatamente successivo alle dichiarazioni dell’ex Presidente Leonid Kravčuk, oggi capo-delegazione al Gruppo di contatto trilaterale alle trattative di Minsk. A proposito dell’amnistia per i miliziani delle Repubbliche popolari, prevista dagli accordi di Minsk, l’ex presidente ha dichiarato che coloro che, secondo Kiev, hanno commesso “crimini di guerra“, dovranno essere chiamati a rispondere, oppure lasciare il territorio ucraino.

Chi è venuto da fuori, i mercenari, devono essere disarmati e ritirati dall’Ucraina. Se sono criminali, se hanno ucciso, violentato, derubato, commesso crimini di guerra, crimini contro l’umanità, allora dovranno essere puniti. Coloro che hanno solo preso parte alle ostilità, se sono stranieri, mercenari, dovrebbero essere ritirati dal territorio. I locali, si limiteranno a consegnare le armi”.

Sembrava proprio che Leonid Kravčuk parlasse, avendo in mente le formazioni nazionaliste e neo-naziste, ucraine e straniere, che, in Donbass, hanno ucciso, torturato, depredato la popolazione civile delle Repubbliche popolari; quegli stessi nazionalisti e neo-nazisti che, pochi giorni fa, alla presenza di autorità locali, civili e religiose, nel villaggio di Žiznomir, nella regione di Ternopol, hanno inaugurato una lapide dedicata a Aleksej Babij, uno dei boia di Babij Jar (dove i nazisti, il 29 e 30 settembre 1941, massacrarono 34.000 ebrei) e poi, dal 1943, inquadrato nella Divisione SS “Galičina”. Uno dei nuovi “eroi” d’Ucraina

Poca meraviglia che nelle Repubbliche popolari nutrano “qualche dubbio” sulle motivazioni che muovono i golpisti di Kiev.

Di seguito, l’integrazione alla nota del Ministero degli esteri della Repubblica popolare di Lugansk, anticipata da Contropiano il 30 ottobre scorso.

******

Majdan: crack della statualità ucraina o logico epilogo

Nota del Ministero degli esteri della LNR

La guerra civile in Ucraina non è affatto una casualità. Da molto tempo e in modo mirato il paese era stato preparato a una tale svolta degli eventi.

Già durante la perestrojka, soprattutto nella sua fase conclusiva, avevano cominciato a riemergere dalla clandestinità vari rimasugli di nazionalisti a suo tempo non completamente sopraffatti. All’inizio, sotto le sembianze della lotta per la democrazia e la glasnost, poi per la creazione di uno stato indipendente, varie formazioni nazionaliste e i loro rappresentanti avevano iniziato a insinuarsi attivamente negli organi statali dell’Ucraina, a quel tempo ancora sovietica.

L’incompetenza della leadership sovietica, sfociata in tradimento diretto degli interessi del paese e del suo popolo, insieme a ben noti fattori esterni, aveva portato a dolorose conseguenze: nell’agosto 1991 l’URSS crollò. Giunse così l’ora dei nazionalisti ucraini: ricevettero un paese con infrastrutture di trasporto sviluppate, settori industriali avanzati, un enorme potenziale scientifico, popolazione istruita. All’inizio del 1991, l’Ucraina occupava l’undicesimo posto mondiale in termini di sviluppo economico. Il tutto, coronato da moderne forze armate.

Sembrava che di più non si potesse desiderare. Sviluppa ulteriormente il settore economico, adattalo alle nuove condizioni, eleva il benessere dei cittadini e, con ciò stesso, rafforza l’autorità internazionale del paese. Ma no! Il complesso “di inferiorità” richiedeva di ricercare un nemico esterno, nella lotta contro il quale i “padri dell’indipendenza” vedevano il senso stesso dell’esistenza del paese.

Nel sostenere la giustezza impeccabile di tale idea un ruolo non certo secondario venne svolto dai Servizi segreti stranieri e dalla diaspora. Tra l’altro, entrambi questi soggetti perseguivano due obiettivi tra loro collegati: eliminare un concorrente economico e dar vita a una costante minaccia per la Federazione russa, sotto forma di uno stato nazionalista russofobo.

Con ciò, non si pensava affatto allo sviluppo della democrazia, dell’economia, o a elevare il livello di vita delle persone. Semplicemente, manipolando parole e concetti, puntando sul patriottismo dei semplici cittadini, i soggetti a ciò interessati fecero tutto quello che volevano col destino del paese. Le forze interne e esterne, in maniera mirata, condussero il paese a una tragica svolta.

Sin dai primi giorni dell’indipendenza, i suoi dirigenti fecero di tutto per “condurre l’Ucraina verso l’Occidente”, impersonato in primo luogo dagli USA. Considerati i secolari legami di sangue dei popoli russo e ucraino, ciò venne portato avanti in maniera graduale, non immediatamente avvertibile alla maggioranza dei cittadini, incuneando man mano nelle coscienze la ferma convinzione di una ostilità patologica della Russia verso l’Ucraina e tutto quanto fosse ucraino.

A ogni tappa della costruzione dello Stato nazionalista, vennero posti e metodicamente perseguiti precisi obiettivi. Tra essi: cambio di simboli e inno, ostinata introduzione della lingua ucraina in tutte le sfere della vita sociale e statale, inganno diretto della popolazione, manipolazione di termini e concetti, dispregio dei risultati dei referendum, sia di quello sovietico del 17 marzo 1991, sia di quello del 27 marzo 1994 in Donbass.

Ricordiamo che il referendum del 17 marzo 1991 poneva una sola domanda: “Ritenete necessaria la conservazione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche come rinnovata federazione di repubbliche sovrane con parità di diritti, in cui vengano garantiti in piena misura diritti e libertà degli individui di ogni nazionalità?”. Su 185,6 milioni di cittadini dell’URSS con diritto di voto, presero parte al referendum 148,5 milioni (79,5%) e di essi 113,5 milioni (76,43%) si espressero per la conservazione dell’URSS.

Il 27 marzo 1994 si svolsero poi le elezioni per la Rada suprema ucraina. Parallelamente, nelle regioni di Donetsk e di Lugansk si tenne il referendum (definito ufficialmente “sondaggio consultivo”) con cui doveva definirsi l’atteggiamento del Donbass sull’attribuzione alla lingua russa dello status di seconda lingua di stato e il suo uso nelle pratiche amministrative; sulla struttura territoriale dell’Ucraina (vale a dire la federalizzazione del paese) e sulla integrazione euroasiatica nell’ambito del SNG (Sodružestvo Nezavisimykh Gosudarstv: Comunità degli Stati Indipendenti – CSI; ndt): questioni formulate in 4 quesiti.

L’affluenza al “sondaggio consultivo” del 27 marzo 1994 fu del 72% nella regione di Donetsk e del 75% in quella di Lugansk. La condivisione per ciascuno dei quesiti variò nelle due regioni dal 80 al 90%. Risultati chiaramente non entusiasmanti per Kiev.

Dunque, l’allora leadership ucraina, guidata da Leonid Kučma, fece di tutto per cancellare dalla memoria delle persone quell’evento, a dir poco significativo. Ma non ci riuscì: anche dopo 20 anni, nel maggio 2014 dal Donbass uscì il medesimo risultato, per di più consolidato dal reale desiderio e capacità del popolo di prendere il destino nelle proprie mani.

Tuttavia, coloro che si erano attribuiti il ruolo di dirigenti del paese, si rivelarono categoricamente contrari a quella scelta! Come sosteneva all’inizio del XX secolo lo storico ucraino, presidente della Rada centrale della UNR (Ukrajnskaja Narodnaja Respublika; ndt), Mikhail Gruševskij: “La disgrazia dell’Ucraina consiste nel fatto di essere governata da coloro che non sanno di che farsene di essa”.

Tali profetiche parole non hanno perso di attualità. Tutti coloro che in passato – ma anche ora – ambiscono a dominare l’Ucraina, lo fanno nascondendosi dietro le mentite spoglie della lotta per la sua indipendenza; una lotta che viene condotta a prezzo dell’Ucraina stessa e del suo popolo, di cui essi si ricordano solo in ultima istanza. Come dire, “per forza di cose”.

La meschinità, l’egoismo, l’avidità e le morbose ambizioni di potere, in Ucraina hanno sempre trasformato una causa giusta in una farsa, che si conclude con una sanguinosa tragedia. Chi ha diretto il paese nell’ultimo quarto di secolo? Gli ex partitocrati i quali, per effimere ricchezze materiali, sono pronti a tradire non solo i propri ideali, ma anche la propria madre; i cosiddetti oligarchi, che hanno saccheggiato la ricchezza nazionale all’inizio degli anni ’90 e accumulato così il capitale originario.

Ancor oggi, essi vivono alla giornata, guidati dal noto slogan di Ludovico XV “Dopo di me il diluvio!”. E infine i nazionalisti, oggi ufficialmente definiti patrioti d’Ucraina. Si tratta di una categoria particolare, che continua a ragionare con dogmi ideologici invecchiati e fandonie geopolitiche; oltretutto, la maggior parte di essi, non conosce nemmeno gli eventi chiave della storia del proprio paese, ma, nonostante ciò, riesce a usare abilmente diversi slogan patriottici per coprire le proprie attività apertamente criminali.

Tutta questa “élite del paese” è stata deliberatamente addestrata per adempiere ben precisi compiti tesi a mandare in rovina l’Ucraina. I curatori esterni della “Indipendente” hanno realizzato con la più autentica diabolica pedanteria l’obiettivo postosi.

Come risultato, sono stati portati al potere individui senza principi, dal passato dubbio, disposti per soldi a qualsiasi crimine; e, cosa più importante, limitati, in grado di ragionare solo a livello di istinti primari, con patologica presunzione, e dei quali ci si potesse facilmente e senza problemi sbarazzare non appena necessario, trasformandoli in capri espiatori. Molti di quegli individui credono tuttora ingenuamente di essere arrivati al vertice grazie ai propri sapere e abilità, ai propri tratti caratteriali.

In realtà, i padroni, dietro le quinte, hanno creato le condizioni appropriate per consentire l’arrivo al potere di individui dai parametri richiesti. E tutto ha avuto l’apparenza di un processo perfettamente naturale: operazioni riuscite, credito a condizioni agevolate, concorrenti rovinati, inatteso avanzamento di carriera, “felici coincidenze” che hanno permesso di evitare di esser chiamati a rispondere per affari loschi, ecc. Tutto questo non si è affatto verificato casualmente!

Nel preparare il paese agli eventi imminenti, non ci si è scordati dell’istruzione, che, con il pretesto di venire adeguata agli standard mondiali d’avanguardia, è stata trasformata in un servizio (spesso a pagamento) fornito dalle università.

Il risultato è stato una crescita repentina del numero di specialisti, che è molto difficile definire tali. Invece di conoscenze sistemiche, si ha una percezione frammentaria delle cose, a causa della quale i giovani non sono capaci di stabilire relazioni elementari di causa-effetto tra vari fenomeni, il che li rende facili prede dei manipolatori del potere.

La situazione è stata ulteriormente aggravata dagli insistenti richiami dei media agli istinti animali degli individui. Ricordiamo tutti i famosi slogan reclamistici quali “tu sei degno di questo”, “vivi qui e ora” e simili, che hanno inculcato e continuano a inculcare il culto degli oggetti, del profitto, della mancanza di ideali e del primitivismo.

Soprattutto tra i giovani che si distinguono per le proprie ambizioni e la mancanza di esperienza di vita. Il risultato, sono individui immersi nei piaceri materiali, che costituiscono un gruppo di organismi individualizzati, che vivono collettivamente solo nella misura in cui ciò è strettamente necessario. In generale, un “egemone” già pronto o una forza trainante per tipi diversi di rivoluzioni colorate.

L’importante è solo convincere il contingente individuato, che sta vivendo male, indicargli i responsabili di tale situazione e promettere totale impunità. E, naturalmente, una vita paradisiaca dopo la vittoria. Ed è tutto! Lo Stato verrà distrutto con le mani dei suoi cittadini, come accaduto in Ucraina nel febbraio 2014.

Il paradosso consiste nel fatto che la leadership stessa di Kiev, giunta al potere con il colpo di stato, ha creduto alla menzogna, con cui ha così insistentemente persuaso il proprio popolo.

L’esperto finanziario americano John Moldin e il direttore dell’ente di intelligence analitica “Stratfor”, George Friedman, nell’articolo di analisi dedicato alla situazione nella “Indipendente”, avanzano un tale pronostico: “L’Ucraina si comporta oggi più o meno allo stesso modo in cui si comportava la Polonia negli anni ’30, allorché decise che l’avessero accolta volentieri nell’amichevole famiglia dei popoli europei e fossero disposti a trattarla su un piano di parità. Addirittura, anche coi territori, con le colonie e con pezzi di Cecoslovacchia. Fino alla fine dell’agosto 1939 a Varsavia non si credeva che la si stesse semplicemente utilizzando. La presa di coscienza fu terribile e, purtroppo, tardiva.

L’Ucraina ha ancora davanti la scelta: vivere con l’Occidente come un figliastro, cui si promette solo un’adozione che non verrà mai, oppure tornare in famiglia. Una famiglia forse non ricca, ma la propria famiglia. Finché non verrà la presa di coscienza, gli ucraini continueranno a credere che i buoni zietti dei quartieri ricchi intendano ammetterli alle loro case lussuose. Ma perché tanta ingenuità?”, chiedono Moldin e Friedman.

Quindi, dopo un’accurata preparazione del materiale umano, è stata la volta del potere statale.

Non è un segreto per nessuno, che le rivoluzioni colorate siano il prodotto di tecniche perfezionate. Dunque, esse non avvengono per caso, di per sé, nemmeno quando sia veramente maturata una situazione rivoluzionaria, l’essenza della quale era stata enunciata da Lenin nella formula, universalmente conosciuta, secondo cui “le classi inferiori non vogliono vivere come prima, mentre le classi dominanti non possono spadroneggiare e governare come prima”.

In ogni singolo paese in cui sia avvenuta una rivoluzione colorata, si perseguiva in realtà un preciso obiettivo. In Ucraina, scopo principale della rivoluzione arancione del 2004 era stato quello di minare l’autorità, screditare il potere statale agli occhi dei cittadini ucraini e della comunità internazionale. E anche, naturalmente, provare la disponibilità della società ucraina, a tutti i livelli, alla liquidazione del paese. Per questo, venne imbastito il majdan e venne inscenata la farsa assolutamente illegale del “secondo turno” per le elezioni presidenziali.

Tra l’altro, in quel momento, non tutta la popolazione era pronta a seguire i principi dell’opportunità rivoluzionaria (leggi: illegalità). Ancora una volta, il Sudest del paese si distinse per la propria unicità. Per questo, già allora i suoi abitanti vennero rabbiosamente additati come accaniti controrivoluzionari, schiavi, cui era estranea ogni ricerca della vera libertà. Ovviamente, si è poi tenuto conto di questa “spiacevole circostanza”.

Parallelamente all’accresciuta propaganda russofoba, Primo ministro e Presidente misero mano alla liquidazione dell’autorità dello Stato e dei organi di potere. Per meglio consolidare nelle menti delle persone un’immagine negativa dello Stato ucraino, lo associarono nella coscienza di massa a vivaci personaggi di un Presidente apicultore e di una donna con la coda. A giudicare da tutto, Viktor Juščenko e Julija Timošenko sono tutt’oggi completamente sicuri di aver agito, in quel periodo, guidati esclusivamente da propri motivi e aspirazioni.

In realtà, essi furono usati con un obiettivo ben preciso, dopo di che furono gettati tra i rifiuti politici come materiale di scarto.

Tra la stragrande maggioranza della popolazione, il periodo degli arancioni è ricordato per la brusca caduta del livello di vita. Il che costituiva uno degli elementi chiave di preparazione ai futuri sanguinosi eventi.

Per quanto storici, politologi, esponenti della cultura, cerchino di presentare l’individuo moderno come una sorta di umanista civilizzato, la pratica mostra tutt’altra cosa. Purtroppo, un determinato numero (abbastanza significativo) di rappresentanti del genere umano misurano il livello della propria felicità e del proprio benessere su una scala di valori molto concreta, sulla quale un ruolo chiave è occupato dai beni materiali.

Questo, mentre i valori spirituali rivestono un ruolo ausiliario, secondario e qualche volta non necessario. Limitate un tale soggetto nella realizzazione dei propri istinti consumistici e quello, da individuo all’apparenza del tutto onesto, si trasformerà in un autentico animale.

È per loro che viene allestita la cosiddetta “vetrina”; l’essenza della quale consiste in ciò: all’inizio viene elevato il livello di vita generale. L’individuo viene fatto assuefare all’accessibilità di determinati beni materiali: dai piccoli gingilli, alle automobili, dagli appartamenti, alla possibilità di viaggiare, ecc.

Quando l’individuo è completamente dipendente dai consumi e abituato a un determinato tenore di vita, “inaspettatamente” sopravvengono la crisi e il crollo repentino della moneta nazionale, attribuiti all’incompetenza dei dirigenti del paese.

Quindi, l’indignazione dei cittadini, data “semplicemente dalle azioni delittuose” del governo o del presidente, attraverso una pura serie associativa viene abilmente reindirizzata contro lo Stato ucraino e i suoi organi. Il risultato è un atteggiamento negativo dei cittadini nei confronti del proprio paese.

Un ruolo preciso nel minare la fede degli ucraini nel proprio Stato fu giocato dai continui cambiamenti nella Costituzione. Era diventata una sorta di tradizione: le forze politiche vittoriose, di volta in volta modellavano “su di sé” la Legge fondamentale. La qual cosa suscitava giusta indignazione tra i semplici cittadini, anche se questa non si trasformava mai in una forma aperta di protesta.

Ricordiamo anche soltanto la Costituzione del 2004. Essa era stata il risultato di un compromesso (un accordicchio) tra i sostenitori di Viktor Juščenko e quelli di Viktor Janukovič. Il secondo, temeva particolarmente l’accentramento di estesi poteri presidenziali nelle mani del suo opponente. La cosa avrebbe potuto arrivare fino alle repressioni politiche.

Per questo, la Legge sulle modifiche costituzionali (Riforma politica) prevedeva il passaggio dalla forma di potere presidenziale-parlamentare a parlamentare-presidenziale: vale a dire, la formazione del governo sarebbe stata prerogativa non del Presidente, bensì della “coalizione delle frazioni parlamentari”.

Con la stessa legge veniva anche prolungato a 5 anni il mandato della Rada suprema che, sino ad allora, in base alla Costituzione del 1996, era di 4 anni.

Dopo che Viktor Fëdorovič (Janukovyč; ndt) e compagni riuscirono in qualche modo ad arrivare al potere, cominciò il processo inverso: a metà del 2010, “252 deputati” (della frazione «Partito delle regioni» e loro alleati in Parlamento) indirizzarono alla Corte costituzionale ucraina il quesito con la richiesta di annullamento della “Riforma costituzionale”.

Il 30 settembre 2010 la Corte costituzionale sentenziò che la Legge N° 2222 di modifica costituzionale (adottata dalla Rada l’8 dicembre 2004 e nota come “Riforma costituzionale”) era stata adottata con violazione delle procedure e, precisamente, prima del voto vi erano state apportate modifiche che non avevano superato l’esame della Corte costituzionale.

Su questa base, il 30 settembre 2010, la Corte costituzionale annullò la validità della Costituzione secondo la redazione del 2004. Il paese, tornava così alla Legge fondamentale del 1996, cioè alla Repubblica presidenziale-parlamentare, con ampi poteri conferiti al Capo dello stato. Su questo, i diretti partecipanti all’azione denominata “riforma costituzionale” si calmavano, temporaneamente. Cosa che non si può dire della gente, a cui, di questo clamore, rimaneva un retrogusto molto sgradevole.

Tenendo conto del carattere a lungo termine del programma di trasformazione dell’Ucraina in colonia, giocò un proprio ruolo in questo processo anche il presidente Janukovič, meglio conosciuto nell’Ucraina attuale come “dittatore sanguinario”.

In ogni fase della tragedia, i personaggi in scena, senza nemmeno saperlo, stavano interpretando un ruolo rigorosamente definito. Anche Viktor Fëdorovič aveva avuto una parte di rilievo in questo processo. Solo che ora, data la sua morbosa inclinazione all’avidità, il discredito delle istituzioni statali veniva attuato in modo un po’ diverso.

La sfacciata spremitura, da parte di Janukovič, di tutte le imprese più o meno in attivo del paese, provocò la tempestosa reazione degli oligarchi, che andarono a costituire gli sponsor principali delle proteste distruttive. In fondo, un pretesto si trova sempre! Tanto più che, a quel punto, le persone erano già state adeguatamente preparate.

Oggi, il “majdan” di Kiev, noto a livello mondiale, è divenuto l’apoteosi di oltre vent’anni di lavorio USA per la “democratizzazione” dell’Ucraina. In tutto questo tempo, i principali protagonisti hanno dimostrato una disarmante incomprensione delle cause e del senso degli avvenimenti: d’altronde, nemmeno si pretendeva così tanto da loro!

Rinfrancati dagli slogan della lotta contro l’inviso dittatore, che non permette ai pudici ucraini di andare in Europa, i “pacifici dimostranti” assaltano e poi, con entusiasmo rivoluzionario, distruggono gli edifici istituzionali a Kiev e in altre città, aromatizzano l’aria bruciando copertoni, nella forsennata ricerca dei colpevoli mutilano se stessi e i poliziotti. E poi, con ogni evidenza, per farsi ancora più coraggio, non mancano di infamare gli abitanti del sudest dell’Ucraina, accusandoli praticamente di ogni possibile peccato mortale.

Come si è saputo un po’ più tardi, la maggior parte dei cosiddetti “pacifici dimostranti” era composta di ben addestrati attivisti, che non si preoccupavano nemmeno di nascondere i propri orientamenti di estrema-destra nazionalista. La loro attività, a dir poco distruttiva era ben pagata. Non è un segreto che, insieme agli sponsor stranieri, nella faccenda abbiano giocato un ben preciso ruolo i patrii oligarchi, scontenti dell’imperdonabile accaparramento di beni da parte di Janukovič e figli.

Difficile dire, chi e in che misura abbia preso parte al processo della “nobile vendetta”. Impossibile trovare tali informazioni nelle fonti accessibili. Una cosa si può però dire con sicurezza: gli oligarchi ucraini sono stati “serviti” a puntino. E tutti senza eccezione: sia quelli che avevano sponsorizzato majdan, sia quelli che si rallegravano in sordina, osservando in disparte gli avvenimenti.

Gli oligarchi, allevati con cura da Kučma, che, come bambini, si rallegravano per come fossero riusciti a depredare il proprio popolo e subordinare lo Stato ai propri interessi, non sospettavano nemmeno che la felicità non sarebbe durata a lungo.

Occupando le posizioni chiave nell’economia e nella politica del paese, regolandosi sugli individuali interessi mercantili, essi non ammisero estranei alla spartizione dei beni nazionali. Si capisce: che piacere c’è a spartire con i concorrenti?!

Con tale impostazione della questione, non erano tuttavia d’accordo le multinazionali, i cui interessi sono rappresentati, a nome di tutti, dai politici americani. I beni dell’Ucraina, sebbene completamente fatti a pezzi negli anni della “Indipendenza”, rappresentano tuttavia un enorme interesse per le multinazionali.

Era dunque necessario mettere le mani su di essi pagando il minimo prezzo (l’ideale: regalati). Un obiettivo molto facile da raggiungere quando nel paese c’è il caos, o ancor meglio, un conflitto armato. In tal caso, il valore sia dei beni statali che di quelli privati, diminuisce di decine di volte, il che li rende facile preda delle multinazionali.

È d’altro canto necessario “rientrare” in qualche modo dei 5 miliardi spesi per civilizzare l’Ucraina e rendere i suoi abitanti veri europei! Per questo, si è scatenato un conflitto armato nell’est del Paese. O, più precisamente, quanto detto è stato uno dei motivi della sanguinosa tragedia verificatasi.

Dopo la vergognosa fuga di V. Janukovič e l’arrivo al potere dei putschisti nelle regioni occidentali del paese, ebbe inizio la parata dei tumulti del popolo “risvegliatosi”, che si espresse nel sequestro delle amministrazioni. In quelle azioni, gli attivisti costrinsero gli amministratori locali a mettersi in ginocchio e chiedere perdono al popolo insorto, oppure presentare per iscritto le proprie dimissioni.

Parallelamente, con le armi trafugate dagli arsenali delle Forze armate ucraine, si procedette all’armamento degli elementi radicali. E dunque? Niente! Tutte queste azioni vennero appoggiate dalla autoproclamatasi leadership del paese.

Furono quindi intrapresi passi precisi per impedire che si perseguissero a livello giudiziario i partecipanti ai disordini. Così, il 21 febbraio 2014, venne adottata la legge N° 743-VII “Sulla non ammissibilità del perseguimento giudiziario e della condanna per gli eventi che hanno avuto luogo durante i raduni pacifici e sulla perdita di efficacia di alcune leggi dell’Ucraina”. Proprio “grazie” alle norme di tale legge, molti partecipanti ai disordini di Kiev riuscirono a evitare la meritata condanna.

E invece, la protesta autenticamente pacifica degli abitanti del Sudest, contro l’arbitrio dilagante nel paese, sollevò una fragorosa reazione negativa a Kiev, che si trasformò in aggressione militare, chiamata ufficialmente ATO (Anti-Terrorističeskaja Operatsija; ndt).

Il 14 aprile 2014, il facente funzioni di Presidente, Aleksandr Turčinov firmò il tristemente noto Ukaz presidenziale N° 405/2014 “Sulla decisione del Consiglio di sicurezza nazionale e difesa d’Ucraina del 13 aprile 2014 “Sulle misure urgenti per por fine alla minaccia terroristica e conservare l’integrità territoriale ucraina”.

Con ciò, Turčinov dichiarò che il Consiglio di sicurezza nazionale e difesa d’Ucraina aveva adottato la decisione di impiegare le Forze armate nelle operazioni nell’est dell’Ucraina, dando avvio a un’operazione antiterroristica su vasta scala. L’ATO, nei piani dei suoi ideatori, avrebbe dovuto impedire la spaccatura dell’Ucraina.

In pratica, però, portò al risultato diametralmente opposto! O più precisamente: al risultato propostosi. Per assopire la vigilanza degli oligarchi, nella fase iniziale dell’ATO, fu loro consentito di partecipare a redditizie forniture di equipaggiamento militare nelle zone di combattimento, riparare e produrre mezzi militari, creare e finanziare vari tipi di battaglioni volontari e perfino “appropriarsi” di beni dei nemici dell’Ucraina democratica.

Tuttavia, nell’ardore della lotta per il “ripristino della giustizia”, i proprietari di fabbriche, giornali, naviglio ucraini, si resero conto, improvvisamente e inaspettatamente, che il valore delle loro proprietà si era drasticamente deprezzato.

Ma questa era solo una metà del danno. La cosa principale era che, nelle nuove condizioni di gestione del “business civilizzato”, adottate sotto i dettami dell’Unione Europea (Accordo di Associazione), per il business della maggior parte di loro sarebbe presto arrivata la fine.

Ecco che allora entrano in scena le multinazionali che, uscendo dall’ombra, mettono mano attivamente alla realizzazione del proprio perfido piano, facendo man bassa per pochi soldi, dei beni del paese e degli oligarchi, ormai deprezzati. Chi si provava a resistere, veniva abbattuto con misure economiche.

Parallelamente, si procedette al cambio di “padrone” dei deputati della Rada suprema. Nonostante la resistenza, gli oligarchi cominciarono gradualmente a cedere le proprie posizioni alle multinazionali. Era facile pronosticare come una tale penetrazione, silenziosa ma metodica, del capitale straniero nel massimo organo legislativo del paese dovesse trasformarlo (lo ha trasformato) in strumento di riduzione in schiavitù del popolo ucraino, dato che le leggi sarebbero state adottate esclusivamente nell’interesse delle multinazionali.

A quel punto, avvertendo qualcosa di stonato, una determinata parte di rappresentanti del grosso business ucraino spera in un cambiamento di leadership del paese. In questo modo, pensano quelli, andrà tutto di nuovo a posto. Tuttavia, è impossibile bagnarsi due volte nello stesso fiume. Nelle nuove circostanze, la Russia non sosterrà più lo stato russofobo ucraino con prezzi di dumping su prodotti energetici e materie prime.

Bisognerà dunque adattarsi a queste molto spiacevoli condizioni di business onesto. Chi non si adatta, perderà. Sono queste le condizioni del capitalismo e ad esse non si sfugge.

C’è da dire che, insieme alla leadership governativa, agli oligarchi, ai nazionalisti, un ruolo assolutamente non secondario nel tragico scatenamento del conflitto in Ucraina è stato giocato dalle forze armate.

Per cominciare, diamo uno sguardo alle relative disposizioni della Costituzione, che soldati e ufficiali ucraini sono tenuti a conoscere. Dunque, il terzo paragrafo dell’art. 17 della Legge fondamentale recita che “le Forze armate d’Ucraina e altre formazioni militari non possono essere utilizzate da alcuno per limitare diritti e libertà dei cittadini, o allo scopo di rovesciare l’ordine costituzionale, eliminare gli organi di potere o ostacolare la loro attività”.

I militari possono naturalmente richiamarsi, come pretesto, al regolamento e alla disciplina militari; tuttavia, se ricordiamo l’art. 60 della Costituzione, vediamo che tali scuse sono assolutamente prive di fondamento, dal momento che “Nessuno è obbligato a eseguire disposizioni o ordini chiaramente criminali. Impartire ed eseguire una disposizione o un ordine chiaramente delittuosi comporta responsabilità giudiziaria”. Questo, perché, giusto l’art. 68, “Ognuno è tenuto a rispettare tassativamente la Costituzione d’Ucraina e le leggi d’Ucraina, non violare diritti e libertà, onore e dignità di altri. L’ignoranza delle leggi non esonera dalla responsabilità giudiziaria”.

Cionondimeno, l’ignoranza della legge rappresenta solamente una delle ragioni del comportamento, a dir poco illecito, del personale delle forze armate ucraine: al pari di altri settori della società ucraina, le Forze armate erano state preparate in modo mirato a adempiere la propria parte, nella missione demolitrice dello stato.

Dopo la fine dell’Unione Sovietica, alla “Ukraïna indipendente” andarono in eredità alcune Regioni militari dell’URSS che, sia quantitativamente che qualitativamente, costituivano una forza, per quei tempi, moderna e considerevole. E, dopo la suddivisione della Flotta del mar Nero, l’Ucraina acquisì anche una discreta flotta militare, in grado, in caso di necessità, di difendere il paese.

Tuttavia, i politici portati al potere a Kiev, ritennero che il paese non avesse bisogno di un tale esercito. Col pretesto plausibile di dar vita a un esercito professionale e moderno, si procedette a un’autentica spartizione delle proprietà militari: in contemporanea con la riduzione del personale delle Forze armate, fu avviato un ordinario saccheggio di tutto ciò che potesse capitare sotto mano. E a questo processo parteciparono tutti: dai politici ai generali, ai soldati semplici, al personale a contratto. Con la sola differenza che, a ogni livello, i fortunati businessman in uniforme operavano in scala e importi diversi.

Gli insaziabili appetiti degli ideologi di tale originale “movimento pacifista”, li spingevano a sempre nuove iniziative per l’ottimizzazione quantitativa e qualitativa del personale delle forze armate. Come risultato dei bassi salari, della mancanza di elementari condizioni e garanzie sociali, militari professionisti si congedavano a frotte e al loro posto arrivavano specialisti a dir poco non del tutto competenti. E anche questi in misura minima; mentre lo Stato maggiore si riempiva di un’infinità di generali, la cui principale preoccupazione non erano la qualificazione operativa o la preoccupazione per i subordinati, bensì la carriera e l’arricchimento personale.

Tale sistema, tendeva a espellere gli individui onesti, retti e di principio, sinceramente preoccupati del destino della patria. Nessuna meraviglia, dunque, che i colonnelli e i generali da parquet allevati dalla “Indipendente”, non si facessero particolari “scrupoli”, allorché i putschisti impartirono loro l’ordine di sparare contro il proprio popolo.

Dopotutto, la guerra rappresenta un’ottima occasione per l’avanzamento di carriera e l’arricchimento personale. Il risultato del loro “comando semplicemente geniale” e del loro autentico “pensiero strategico” furono le clamorose disfatte a Ilovajsk e nella sacca meridionale, nell’area dell’aeroporto di Donetsk e a Lutugino, come anche in altre battaglie simbolo della campagna estiva del 2014.

E, tuttavia, la causa principale delle disfatte era costituita dalla mancanza, tra i soldati semplici, della preparazione morale alla guerra e alla sorte riserbata loro dall’auto-nominata leadership del paese.

Tra l’altro, questo fatto venne ammesso anche da Petro Porošenko, nel suo intervento all’Istituto militare dell’Università di Kiev “T. Ševčenko”, il 7 ottobre 2015. Secondo le sue parole, tale fattore era stato sfruttato dal nemico ed era stato la causa di un’intera serie di sconfitte. “Ora, lo posso dire apertamente: sotto l’influenza di uno spam informativo, interi reparti hanno alzato le mani e si sono arresi, nel momento in cui avremmo avuto la possibilità di tenere la difesa con assoluta tranquillità”.

Nonostante le profonde epurazioni dei quadri di comando e il sistematico “affondamento” dell’esercito negli ultimi venticinque anni, tra gli ufficiali delle Forze armate c’è anche chi ricorda cosa siano l’onore di un ufficiale e la parola di un comandante.

Purtroppo, di questi, con rispetto parlando “ultimi mohicani”, ne sono rimasti pochi: le Forze armate e i loro “gemelli consapevoli” controllano scrupolosamente gli umori nell’esercito; e, quando necessario, adottano le misure atte a eliminare dalle sue file gli elementi inaffidabili.

L’insieme dei problemi sin qui evidenziati è proprio quello che condusse le Forze armate ucraine alla disonorevole disfatta dell’agosto-settembre 2014 in Donbass. Il risultato di quegli eventi memorabili per l’Ucraina fu la resa dell’aeroporto di Lugansk, di Rodakovo e altri villaggi sulla direttrice di Alčevsk, come pure di tutto il territorio della regione di Lugansk fino al Severskij Donets.

Rendendosi conto dell’ulteriore inutilità della guerra, a partire dal settembre 2014 il governo ucraino sospese temporaneamente i tentativi di raggiungere i risultati voluti per via militare e passò alla tattica del blocco nei confronti dei territori da esso non controllati.

Fu allora che, il 5 settembre, a Minsk, fu sottoscritto il protocollo finale delle consultazioni del Gruppo di contatto trilaterale, riguardante i passi comuni da intraprendersi per l’implementazione del Piano di pace del Presidente ucraino Petro Porošenko e delle iniziative del Presidente russo Vladimir Putin: passato alla storia come Minsk-1. Con l’obiettivo di una de-escalation del conflitto, l’accordo impegnava le parti a:

assicurare l’immediata cessazione bilaterale dell’uso delle armi;

assicurare monitoraggio e verifica del non uso delle armi da parte del OSCE;

procedere alla decentralizzazione del potere, anche con l’adozione della Legge ucraina “Sulla procedura temporanea dell’autogoverno locale in alcuni distretti delle regioni di Donetsk e di Lugansk” (Legge sullo status speciale);

garantire l’effettivo monitoraggio permanente lungo la frontiera di Stato ucraino-russa e la verifica da parte del OSCE, con la creazione di zone di sicurezza nelle aree frontaliere di Ucraina e Federazione Russa;

immediata liberazione di tutti gli ostaggi e delle persone fermate illegalmente;

adottare leggi sulla non ammissibilità di perseguire e condannare persone per gli eventi verificatisi in alcuni distretti delle regioni ucraine di Donets e di Lugansk;

proseguire il dialogo inclusivo nazionale;

adottare misure per il miglioramento della situazione umanitaria in Donbass;

assicurare lo svolgimento di elezioni locali anticipate, in base alla Legge ucraina “Sulla procedura temporanea dell’autogoverno locale in alcuni distretti delle regioni di Donetsk e di Lugansk” (Legge sullo status speciale);

allontanare formazioni armate illegali, mezzi militari, combattenti e mercenari dal territorio ucraino;

adottare un programma di rinascita economica del Donbass e di ripristino delle attività vitali della regione;

fornire garanzie di sicurezza personale ai partecipanti alla consultazione.

Purtroppo, praticamente nessuno dei punti del protocollo (per gli accordi di Minsk; ndt) è mai stato rispettato, in particolar modo per colpa della parte ucraina, che ha approfittato della tregua per ripristinare e sviluppare le proprie forze armate. A un certo punto, alla leadership e ai comandi militari ucraini era parso di aver accumulato forze sufficienti per sconfiggere le milizie. Dopo una serie di provocazioni armate, il 18 gennaio 2015 l’esercito ebbe l’ordine di aprire un fuoco massiccio sul nemico. Quel giorno, praticamente Minsk-1 cessò di operare.

E allora venne il tempo dell’ennesima vergogna per l’esercito ucraino, nella sacca di Debaltsevo e la firma, il 11-12 febbraio 2015, del Complesso di misure per l’adempimento degli accordi di Minsk (Secondo accordo di Minsk). Esso comprende 13 passi conseguenti per la normalizzazione della situazione in Donbass.

Tra essi: immediato e completo cessate il fuoco; arretramento dei mezzi bellici pesanti; dialogo per l’indizione di elezioni locali in LNR e DNR; garanzia di indulto per i combattenti; scambio di ostaggi; fornitura di assistenza umanitaria alle aree colpite; ripristino dell’assistenza sociale, compreso il pagamento delle pensioni e degli altri benefici sociali; ripristino del controllo sulle frontiere da parte del governo ucraino; ritiro delle formazioni armate straniere; riforma costituzionale (entro la fine del 2015). Con ciò, che i passi della leadership ucraina nella sfera legislativa avrebbero dovuto essere coordinati con i rappresentanti di LNR e DNR.

Purtroppo, anche l’adempimento di questi accordi viene sabotato da parte ucraina. Parallelamente, “l’Indipendente” schiera metodicamente in Donbass i propri raggruppamenti militari e si fanno più frequenti i tentativi di far fallire gli accordi di Minsk.

Evidentemente, non possono proprio darsi pace! E invece, dovrebbero davvero!

Nemmeno le Repubbliche popolari, ricordando la lezione dell’inverno 2015, hanno perso tempo. Le milizie vengono trasformate in due potenti corpi d’armata, forti di eccellenti rifornimenti. E le stesse LNR e DNR non sono più regioni insorte, come un anno prima, bensì, di fatto, due Stati a tutti gli effetti, capaci di mobilitarsi per respingere il nemico.

Tutto questo, sullo sfondo dell’inizio del disfacimento e del caos in Ucraina, non lascia alla sua leadership chances alcuna di successo.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *