Il 10 dicembre la politica estera dell’amministrazione statunitense uscente sembra avere incassato un altro successo diplomatico nella sua opera di normalizzazione delle relazioni tra Israele e alcuni Stati arabi.
In una perfetta logica di scambio, il riconoscimento da parte degli USA della sovranità marocchina sui territori meridionali rivendicati dal popolo Saharawi è stata la premessa per l’ennesimo tradimento da parte delle élite arabe reazionarie.
Il Marocco – importante cliente del complesso militare-industriale statunitense -, dopo il Bahrein, gli Emirati Arabi Uniti ed il Sudan, con tale decisione certifica il processo di avvicinamento, tenendo conto che le relazioni tra il Regno e l’entità sionista si erano già da tempo sviluppate su più piani.
Rabat era riuscita fino ad ora a mantenere una doppiezza diplomatica evidente: da un lato presunto paladino della “causa palestinese” e dall’altro, uno dei Paesi Arabi con più legami con Israele.
Sono circa un milione i cittadini israeliani di origine marocchina, una delle componenti della popolazione che è stata uno storico bastione della destra del Likud, che generavano – prima della pandemia – un flusso turistico nel Paese del Maghreb di oltre 40 mila persone all’anno, contribuendo a sviluppare una delle industrie di punta marocchine.
Di fatto, il processo di “avvicinamento” tra i due era stato pubblicamente interrotto circa un ventennio fa, con lo scoppio della “Seconda Intifada” che aveva mostrato al mondo come la condizione dei palestinesi non fosse affatto migliorata con gli Accordi di Oslo (inizio Anni Novanta) e la nascita dell’Autorità Nazionale Palestinese, e che dunque il tentativo di riassorbire la contraddizione principale nel quadrante medio-orientale era di fatto fallito.
In realtà, i precedenti rapporti tra il regime reazionario marocchino ed il Mossad, nella logica dello scambio di favori, permettevano al Regno di tutelarsi dai propri oppositori – ferocemente repressi o fisicamente eliminati nel silenzio complice dell’Occidente, fino alla recente insorgenza del Rif – e a Israele di evitare che molti paesi arabi agissero da retroterra della resistenza palestinese.
La legge “il nemico del mio nemico è mio amico” era del resto la base del confronto tra i due Paesi, accomunati dal vedere nell’Algeria indipendente uno Stato da osteggiare: perché storico bastione della causa palestinese dall’inizio degli Anni Sessanta e difensore, allo stesso tempo, delle rivendicazioni del popolo Saharawi.
L’avvio di questo accordo diplomatico, a detrimento sia dei palestinesi che dei Saharawi, apre una contraddizione tra una parte della popolazione marocchina filo-palestinese e la monarchia. Lunedì una manifestazione palestinese nella capitale è stata impedita “manu militari” e due dei i suoi principali organizzatori allontanati dalla piazza.
Allo stesso tempo cronicizza probabilmente la recente ripresa di ostilità sul piano bellico tra l’esercito marocchino ed il Fronte Polisario, allontanando una risoluzione politica pacifica basata sulla scelta per referendum del popolo Saharawi, prevista dall’ONU già da trent’anni e a cui non è mai stato dato seguito.
Lo sfruttamento delle risorse nella regione sono state fin qui la moneta di scambio tra la monarchia e l’Unione Europea, insieme al ruolo di gendarme del Marocco nella gestione del flusso dei migranti verso il Vecchio Continente, sui cui abusi si chiude volentieri un occhio.
Non da ultimo, l’accordo rischia di ampliare la presenza israeliana nella regione.
Questo complica la risoluzione concordata, tra i vari soggetti interessati, in particolare su due dossier: la lotta contro il “jihadismo” nell’area e il futuro della Libia.
D’altro lato rimette al centro un’alleanza che la sinistra palestinese aveva perorato da tempo come centrale, quella tra il popolo palestinese e quello Saharawi.
Per questo abbiamo tradotto un articolo pubblicato su Le Monde che fa una panoramica ampia dello sfondo storico e geo-politico in cui si è sviluppato quest’accordo.
Buona lettura.
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L'”affare” di Donald Trump tra Marocco e Israele
Il presidente americano “riconosce” la sovranità del Marocco sul Sahara occidentale in cambio dell’impegno di Rabat a “riprendere” le relazioni con Israele.
Il Marocco, a sua volta, dondola. L’attivismo diplomatico di Donald Trump, che mirava ad arruolare un massimo di Paesi arabi nella normalizzazione delle loro relazioni con Israele, ha ottenuto, giovedì 10 dicembre, un nuovo successo convincendo il regno cherifiano a fare il passo sulla scia degli Emirati Arabi Uniti, del Bahrein e del Sudan.
Le voci circolavano da settimane, ma gli sforzi della Casa Bianca sembravano inciampare in pesanti esitazioni a Rabat. Ci è voluto il presidente americano alla partenza per abbattere la mappa del Sahara occidentale per strappare finalmente l’assenso di re Mohammed VI.
Questo è l'”affare” annunciato dal signor Trump in due Tweet quasi simultanei: il primo annuncia il “riconoscimento” da parte di Washington della “sovranità marocchina” sul Sahara occidentale; il secondo accoglie come “un passo storico” la conclusione di un “accordo” tra Marocco e Israele volto a “normalizzare completamente” le loro relazioni.
Un comunicato del gabinetto reale di Rabat ha rapidamente confermato l’informazione, annunciando una “ripresa dei contatti ufficiali” e “relazioni diplomatiche il più presto possibile”. Sahara occidentale contro Israele: un caso da manuale della diplomazia transazionale di Trump.
In Marocco, la stampa presenta l'”affare” principalmente dal punto di vista di una vittoria diplomatica per il Marocco sul dossier saharawi. La rottura a metà novembre di un cessate il fuoco trentennale nel Sahara occidentale, in seguito agli incidenti tra l’esercito marocchino e il Fronte Polisario (Frente Popular de Liberacion de Saguia el Hamra y Rio de Oro), aveva aumentato agli occhi di Rabat la posta in gioco strategica intorno alle sue “province del sud”.
“Il Marocco gioca in serie A”.
La partenza nel 1976 dell’ex colonizzatore spagnolo di questa regione aveva portato ad un conflitto tra i combattenti indipendentisti del Polisario saharawi – sostenuti dall’Algeria – e Rabat, che rivendica la “marocchinità”.
Un referendum di autodeterminazione sul futuro del Sahara occidentale era stato promesso da una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu del 1991, ma il Marocco ha continuato ad opporsi, usando la sua influenza nelle capitali occidentali.
Il gesto di Trump non fa altro che rafforzare un equilibrio diplomatico di potere sempre più favorevole a Rabat, soprattutto nella sua storica rivalità con l’Algeria. La controparte [alla normalizzazione diplomatica con Israele] è enorme”, commenta la politologa Khadija Mohsen-Finan, professore all’Università di Parigi-I.
“La controparte [alla normalizzazione diplomatica con Israele] è enorme”, dice. E‘ economico e strategico. E ora posiziona il Marocco come potenza regionale che gioca in serie A. “Le relazioni militari tra Washington e Rabat, dove il 91% degli acquisti di armi straniere proviene dagli Stati Uniti, sono già molto profonde.
Una tale vittoria diplomatica sul Sahara occidentale, una causa patriottica molto popolare in Marocco, permetterà di ottenere una corrente influente di opinione filopalestinese per sostenere l’altra parte dell'”accordo” di Trump, cioè la concessione sui legami con Israele? In agosto, il primo ministro marocchino Saad-Eddine Al-Othman, del Partito islamista per la giustizia e lo sviluppo (Pjd), ha denunciato una “normalizzazione con l’entità sionista”.
Manterrà la sua posizione? Per risparmiare sensibilità, il re Mohammed VI, che è anche il presidente del Comitato Al-Quds, creato dall’Organizzazione per la cooperazione islamica (OIC) per lavorare per la conservazione del patrimonio di Gerusalemme, ha voluto sottolineare le “posizioni equilibrate” del regno sulla questione palestinese, ricordando in particolare il suo sostegno alla “soluzione dei due Stati”.
A Gerusalemme, dove ha acceso la prima candela davanti al Muro del Pianto per la festa religiosa di Hanukkah, il primo ministro Benyamin Netanyahu ha accolto con favore un accordo “storico”, pur indicando che i due Paesi andranno avanti con cautela. Israele e il Marocco prevedono di istituire semplici uffici di collegamento, ha detto, come primo passo prima di stabilire relazioni diplomatiche complete e aprire collegamenti aerei diretti.
A Washington, il genero del presidente americano Kushner, Jared Kushner, l’architetto del riavvicinamento arabo-israeliano in corso, ha detto che i due Paesi intendono approfondire le relazioni commerciali come primo passo.
Un premio di consolazione per Jared Kushner…
Per la squadra di Kushner, questo accordo sembra essere un successo, certo, ma anche un premio di consolazione, poiché l’Arabia Saudita è riluttante a seguire le orme degli Emirati Arabi Uniti e del Bahrein, che a settembre hanno intrapreso la normalizzazione dei loro rapporti con Israele, seguiti con molta cautela da uno Stato cliente, il Sudan, che è sull’orlo del collasso.
Riyadh ha espresso il suo disappunto a metà novembre, dopo che un incontro sul suo territorio tra il principe ereditario Mohammed Ben Salman e Netanyahu è stato reso pubblico in Israele. L’Arabia Saudita potrebbe conservare questa carta per facilitare le sue relazioni con la futura amministrazione democratica.
Ma il Marocco, dal canto suo, aveva interesse ad andare avanti: sarebbe stato difficile per lui estrarre la concessione del Sahara occidentale dall’amministrazione Biden. L’amministrazione Biden si trova ora vincolata a una questione che non le è prioritaria. Potrebbe non aprire il consolato americano che la squadra di Trump è promettente a Dakhla, nel Sahara occidentale. Ma sarà difficile per loro tornare completamente indietro su questo accordo.
Secondo il giornalista israeliano Barak Ravid, vicino al team Kushner, lo Stato ebraico non ha preso parte ai negoziati tenutisi negli ultimi mesi con il ministro degli Esteri marocchino Nasser Bourita. Che importa: questo “affare” avrà una forte risonanza con la comunità ebraica di origine marocchina (700.000 persone), una delle principali minoranze di Israele.
Dagli anni Settanta, questa comunità ha costituito la base dell’elettorato del Likud, il partito di Netanyahu. La svolta diplomatica in Marocco arriva al momento giusto per rimobilizzare la sua base, mentre il suo governo vacilla e una nuova campagna elettorale potrebbe aprirsi tra qualche settimana.
I rapporti tra Israele e Marocco sono di lunga data: i loro servizi segreti cooperavano già negli anni Sessanta, con il re Hassan II che si spinse fino a far registrare al Mossad il vertice della Lega Araba di Casablanca nel 1965, due anni prima della guerra arabo-israeliana del 1967.
Secondo il giornalista Ronen Bergman, nello stesso anno il Mossad aiutò i servizi marocchini a localizzare l’avversario Mehdi Ben Barka, ucciso a Parigi nell’ottobre 1965. Gli agenti israeliani avrebbero fatto sparire il suo corpo nella foresta di Saint-Germain-en-Laye.
Droni e spyware
Successivamente, Rabat fu un intermediario di buona volontà per Israele: fu in Marocco, alla presenza di Hassan II, che il generale Moshe Dayan parlò con il vice primo ministro egiziano nel settembre 1977 per preparare gli accordi israelo-egiziani di Camp David. La firma degli accordi israelo-palestinesi di Oslo negli anni Novanta permetterà di iniziare a formalizzare questo rapporto, con l’inaugurazione di una rappresentanza diplomatica israeliana a Rabat, alla presenza del Primo Ministro Yitzhak Rabin.
La seconda Intifada chiuderà i battenti nei primi anni 2000. Ciò non impedisce al regno di accogliere oggi più di 40.000 visitatori israeliani ogni anno e di ottenere droni e spyware dallo Stato ebraico.
Per lo specialista dell’intelligence del quotidiano Haaretz Yossi Melman, questa assistenza è destinata ad approfondire in un contesto di sicurezza teso nel Sahara occidentale: “Possiamo stimare, sostiene, che Israele abbia dato il suo consenso ad assistere il Marocco militarmente e in termini di intelligence nella sua lotta contro il Fronte Polisario. Con questo nuovo asse Israele-Marocco in fase di cristallizzazione, l’equilibrio strategico regionale sta subendo grandi cambiamenti.
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