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Ucraina: poche soddisfazioni per Zelenskij dal viaggio in USA

Al Presidente dell’Ucraina nazi-golpista, Vladimir Zelenskij, è toccato il turno meno opportuno per la visita negli Stati Uniti: in questi giorni, a Washington tutto hanno da pensare meno che ai problemi di Kiev, nonostante la “ucrainicità” dell’amministrazione Biden, tra affari di Burisma holding e francesismi nulandiani.

Alla vigilia del viaggio, il Presidente ucraino Vladimir Zelenskij aveva messo nell’agenda della discussione anche le questioni di Crimea, Donbass e sicurezza nell’area del mar Nero e del mar d’Azov. Questo perché, aveva detto con una discreta dose di presunzione nazionale, «gli USA sono nostro partner strategico e sostenitori della nostra sovranità e integrità territoriale».

Tra i temi di valenza sovranazionale, oltre al ritornello del coinvolgimento americano nella “soluzione pacifica” del conflitto in Donbass, Zelenskij ha ovviamente chiesto agli USA garanzie per la cosiddetta “sicurezza energetica” ucraina e la situazione che verrà a determinarsi nel bilancio dopo l’entrata in funzione del “North stream 2”. In altre parole, nuove sanzioni contro Mosca.

Il riferimento è all’accordo del luglio scorso tra Joe Biden e Angela Merkel, secondo cui, «nell’interesse dell’Ucraina e dell’Europa», il transito del gas russo attraverso l’Ucraina dovrebbe continuare anche dopo il 2024, e Berlino si impegna per sanzioni contro la Russia se questa «userà l’energia come arma contro i paesi europei».

Ancora a proposito di bilancio, Zelenskij ha presentato a Washington un “Piano di trasformazione dell’Ucraina” da 277 miliardi di dollari: questo, secondo l’ufficio presidenziale ucraino, perché Kiev vede se stessa, nei prossimi 5-10 anni, quale «avamposto di sicurezza e hub digitale, infrastrutturale e agricolo».

Prima della foto ricordo di Zelenskij con Biden, la delegazione ucraina ha avuto una serie di incontri: con la Segretaria all’energia Jennifer Granholm e il Segretario alla difesa Lloyd Austin, con cui ha firmato un accordo in ambito militare fino al 2026. Incontri anche con il capo della NASA Bill Nelson e il presidente della Banca mondiale David Malpass.

Ma lo smacco d’immagine a Vladimir Zelenskij, al terzo giorno di soggiorno americano, lo ha appioppato mercoledì scorso proprio “sleeping Joe”, allorché la Casa Bianca ha rifiutato il consueto briefing a due, limitandosi alle foto di rito.

All’origine di tutto pare ci siano “incomprensioni” sulla fornitura di ulteriori 60 milioni di dollari da parte del Pentagono, tanto che anche l’incontro con Lloyd Austin non sembra essere andato oltre una tradizionale dichiarazione «sui fondamenti strategici di partenariato nel campo della difesa”, ennesime garanzie di «sostegno all’Ucraina e sul percorso verso l’adesione alla NATO», condanna della «aggressione della Russia nell’Ucraina orientale e in Crimea».

L’unico dettaglio concreto riguarda una possibile nuova fornitura di lanciarazzi anticarro “Javelin” (una miseria, in confronto a quelli semplicemente “abbandonati” dagli USA nella loro fuga dall’Afghanistan) ma, anche questi, in base alle condizioni stabilite da Washington, da non usarsi in operazioni offensive, bensì solo negli addestramenti al poligono di Javoriv, presso L’vov.

Ben più sostanziose, ma per gli USA, le cifre discusse al Ministero per l’energia: si tratterebbe di non meno di 30 miliardi di dollari, per la realizzazione quattro blocchi energetici alle centrali nucleari di Khmelnitskij e Rivne da parte della Westinghouse Electric.

Il relativo memorandum è stato firmato dai direttori di Energoatom e Westinghouse, sotto la “supervisione di Zelenskij”, il che ha dato la stura a moltissime battute in rete: «È questo l’aspetto di un presidente indipendente. Un presidente, da cui nulla dipende»; «Nella foto, gli adulti stanno firmando dei documenti, e lui, come un bimbo, come se lo avessero messo in castigo»; «Alla presenza di Zelenskij: c’è un ragazzo della servitù che aspetta qualcosa, mentre gli adulti firmano documenti importanti»; e via di questo passo.

Stando alla TASS, l’unico momento in cui, alla Casa Bianca, Zelenskij ha potuto dire qualcosa a Biden, è stato quando gli ha comunicato di aver consegnato al suo ufficio presidenziale un elenco di 450 «prigionieri ucraini in Donbass, Crimea e Russia», con la preghiera di esaminare «quale appoggio gli USA possano prestare» per la loro liberazione.

Ciò, in barba a uno dei punti chiave degli accordi di Minsk sul Donbass, che prevede lo scambio di prigionieri secondo la formula “tutti per tutti”. Gli ultimi scambi di prigionieri tra Kiev e le Repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk si erano avuti a dicembre 2019, aprile 2020. Resta però tuttora irrealizzato l’obiettivo di scambiare “tutti per tutti”.

Dunque, Zelenskij sembra aver ricavato poche soddisfazioni dalla trasferta americana, soprattutto per il proprio apprezzamento interno. L’ex deputata della Rada ed ex Jeanne d’Arc del battaglione neo-nazista “Ajdar”, Nadežda Savčenko, riferendosi in particolare al memorandum con la Westinghouse, ha spiattellato che Zelenskij «può riportare dagli USA solo un tradimento economico. Tutto è estremamente semplice» ha detto, «l’Ucraina prende prestiti dall’America e li spende per l’acquisto di prodotti americani, sollevando così l’economia statunitense».

Da parte russa, il portavoce presidenziale Dmitrij Peskov, ha lamentato gli obiettivi anti-russi della vicinanza Kiev-Washington e dei piani di assistenza militare USA: «Riteniamo che ciò potrebbe dar luogo ad azioni imprevedibili da parte ucraina, per risolvere con la forza il conflitto interno ucraino nel sud-est» del paese, ha detto Peskov.

Nei giorni della visita americana di Zelenskij, The National Interest ha addirittura pubblicato un intervento di Ted Carpenter, del Cato Institute, che costituisce un’ennesima presa di distanze da Kiev da parte di settori yankee.

Secondo Carpenter, il fatto che «l’Ucraina sia considerata un “alleato” degli Stati Uniti dovrebbe destare crescente preoccupazione a Washington. La leadership americana dipinge il paese come una pacifica democrazia occidentale che cerca di difendere il proprio territorio e l’indipendenza da una Russia a suo dire predatrice». Ma Kiev è tutt’altro che un’alleata: «È una mantenuta, che dipende dagli USA per la propria sicurezza, anche con un rapporto decisamente ostile con la Russia», annunciando di voler «riconquistare la Crimea e i territori del Donbass orientale controllati dai “separatisti” sostenuti dal Cremlino».

E gli obiettivi di Kiev, lamenta Carpenter, «sembrano non solo che retorici. Nella primavera scorsa, Kiev ha iniziato il trasferimento di truppe e carri armati verso la Crimea per esercitazioni militari. La Russia ha risposto con spostamenti di truppe su larga scala e ne è divampata una crisi militare che avrebbe potuto coinvolgere USA e NATO».

Appena una settimana prima del volo transoceanico, Zelenskij aveva presieduto il vertice della cosiddetta “Piattaforma di Crimea” – un «evento anti-russo ed estremamente ostile», l’ha definito Dmitrij Peskov – un incontro a Kiev coi rappresentanti di quarantasei paesi, per cercare di aumentare la pressione internazionale sulla Russia e rafforzare il sostegno diplomatico all’Ucraina, accampando che la “annessione” della Crimea non è solo un problema ucraino, ma «mette in dubbio l’efficacia dell’intero sistema di sicurezza internazionale».

Il continuo appoggio USA alle «irrealistiche ambizioni territoriali dell’Ucraina» scrive Carpenter, è «imprudente e pericoloso, mentre il sostegno alla candidatura di Kiev per l’adesione alla NATO… è ancora più avventato… L’unica cosa peggiore di un cliente debole e vulnerabile in termini di sicurezza è un cliente debole e vulnerabile che cerca di perseguire politiche aggressive che non può supportare con le proprie risorse militari, e invece si aspetta sostegno dal suo potente benefattore».

Per la cronaca, i partecipanti al vertice del 23 agosto per la “Piattaforma di Crimea”, hanno sottoscritto un documento in cui si ribadisce di mantenere pressioni su Mosca «per por fine all’occupazione temporanea della Repubblica autonoma di Crimea e della città di Sebastopoli e ripristinare il controllo dell’Ucraina su questo territorio».

In quella sede, è stato deciso di dar vita a una rete di contatto sulle questioni della Crimea nei dipartimenti diplomatici degli Stati membri della piattaforma e incoraggiare il coordinamento delle attività sulla Crimea tra i parlamenti nazionali, e nell’ambito delle assemblee interparlamentari.

Avevano annunciato la partecipazione al vertice ucraino del 23 agosto, 46 paesi e organizzazioni internazionali. Sono arrivati a Kiev 14 capi di Stato e di governo, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, tutti i paesi UE e NATO, i paesi del G7, del “Triangolo di Lublino” (Ucraina, Lituania, Polonia), del “Trio Associato” (Ucraina, Georgia, Moldova).

Per dire, della variegata composizione “internazionale” del summit, in cui Vladimir Zelenskij, infervorato per il di lì a breve incontro col padrino a stelle e strisce, sembrava voler ripetere le parole di Giovanni «Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre stesso mi ha mandato e mi ha comandato ciò che devo dire ed annunziare». Per tutti i credenti nella democrazia golpista.

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