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Ucraina: nazismo all’interno e al fronte

Un intervento di Nina Išcenko

Continua il martellamento ucraino sulle aree del Donbass. Nella Repubblica popolare di Donetsk, colpite anche ieri con mortai da 82 e 120 mm, zone di Kominternovo e Leninskoe, sulla direttrice di Mariupol, e Vesëloe e Jakovlevka, sulla direttrice di Donetsk.

All’interno, dopo le sfilate a Kiev del 1 gennaio scorso in onore di Stepan Bandera, divenute una tradizione nell’Ucraina nazi-golpista, alle proteste di Israele si sono aggiunte quelle dell’ambasciatore polacco in Ucraina Bartosz Cichocki.

Varsavia, insieme ai Paesi baltici, è sempre la prima della classe a equiparare nazismo e comunismo; ma, nel caso specifico, i polacchi hanno ancora il dente avvelenato per le stragi perpetrare nel 1943 e 1944 da OUN-UNA filo-nazista anche contro la popolazione polacca della Volinja.

Evidentemente, se le bande di Stepan Bandera e Roman Šukhevic si fossero limitate a massacrare comunisti ucraini, ebrei, soldati sovietici, Varsavia non avrebbe avuto nulla da ridire. È questa la “morale europeista” di quei democratici, che si guardano bene dal proferire parola per il terrorismo di stato e i massacri che Kiev conduce ormai da sette anni contro una parte della propria stessa popolazione, formalmente ucraina: gli abitanti russi e russofoni del Donbass.

Una parte che, come scrive su Novorosinform Aleksej Toporov, all’interno della stessa Ucraina è fatta di «eroi solitari, oppositori intimoriti e borghesucci assopiti», di giovani russi che a Kiev non ragionano secondo gli schemi governativi, sono contrari alla guerra in Donbass e disgustati dalla russofobia ufficiale; giovani che, in barba allo squadrismo neonazista, a Kharkov, Odessa, Žitomir, Kiev, Ternopol, riversano vernice rossa sui monumenti a Bandera, alla Divisione SS “Galicina”, agli “eroi ucraini” in Donbass.

Giovani e meno giovani il cui numero sta crescendo, nonostante vengano vessati sui social network, picchiati, fatti inginocchiare per scusarsi di fronte alle telecamere. Mentre, di converso, diminuisce il numero dei fanatici di Bandera: alla fiaccolata del 1 gennaio a Kiev non c’erano più di mille persone.

«Quando gli “eroi del Donbass”» dice Toporov, che «fino a ieri erano pronti a fare a pezzi i “separatisti” e uccidere gli invasori russi, diventano acerrimi nemici del governo del majdan, questo è già un sintomo»: basti ricordare i nomi di Il’ja Kiva, Nadežda Savcenko, Alexandr Medinskij.

Molti «ancora dormono», scrive Toporov, «molti si stanno appena svegliando; ma molti si sono già svegliati, anche se hanno paura di parlare. Invece, alcuni non hanno paura; anche dopo l’omicidio di Oles Buzina, Oleg Kalašnikov, Pavel Šeremet,la strana morte di Irina Berežnaja, i non meno strani suicidi di Sergei Val’ter, Mikhail Cecetov, Stanislav Mel’nik, Alexandr Peklušenko, Kirill Arbatov».

Ecco che fanno sentire la propria voce Elena Berežnaja, madre di Irina, il blogger Alexandr Semcenko, i giornalisti Maks Nazarov, Ruslan Kotsaba, Dmitrij Skvortsov, l’avvocato e blogger Tatjana Montjan, il blogger e musicista Tarik Nezaležko, l’attivista e blogger Victoria Šilova, la conduttrice televisiva Snežana Egorova.

E questo non è che un elenco incompleto «di persone brillanti e coraggiose» che intervengono «contro la guerra e in difesa della lingua russa, contro l’oblio degli eroi della Grande guerra patriottica, contro la persecuzione dei simboli sovietici». Ora, conclude Toporov, «è necessario svegliare coloro che non si sono ancora svegliati. E dar forza a coloro che sono svegli, ma hanno paura».

Un ottimismo simile sembra condiviso anche da Andrej Ganža che, in vista dell’entrata in vigore, il prossimo 16 gennaio, dell’articolo 30 della legge che proclama l’ucraino lingua di Stato, scrive su iarex.ru della «catastrofe del “Homo legens” ucraino», constatando che «al momento, la tendenza dominante della lingua russa nella società ucraina non può essere “piegata”. Ma quello che non si piega, si tenta di spezzarlo».

Articolo 30, che fa il paio con l’art. 26, che obbliga la lingua di Stato nell’editoria e nella distribuzione, e impone in lingua ucraina il 50% di tutta l’editoria. Un’editoria che soffre di scarsità di titoli stranieri, con le edizioni russe, ad esempio, passate dai 14.500 titoli del 2018, ai 4.300 del 2019 e 2.900 del 2020.

È così che l’agenzia di ricerche “Info Sapiens” ha consultato un campione di 2.100 adulti e 1.800 bambini e ragazzi, suddivisi per classi d’età. Se nel 2018 l’11% degli adulti dichiarava di leggere libri tutti i giorni, nel 2020 sono stati solo l’8%; il 34% degli ucraini ha preso un libro in mano almeno una volta all’anno; mentre il 38% degli uomini e il 28% delle donne non legge nulla.

Tra i bambini “che leggono”, il 57% lo fa perché costretto. Riguardo la lingua: nel 2020 il 32% (+8% rispetto al 2018) dei lettori ha preferito libri in ucraino e il 27% (-1% rispetto al 2018) in russo, anche se, per lo scorno dei nazionalisti accaniti, ben il 41% ha detto di non dare alcuna importanza alla lingua in cui legge.

Ed è sempre stato così, sostiene Ganža, ricordando come, nel 2008, l’Istituto “Gallup” avesse condotto un’indagine sull’atteggiamento verso la lingua russa nei paesi post-sovietici e come in Ucraina l’83% si fosse espresso per il russo.

«E, a giudicare dalle preferenze linguistiche nel segmento ucraino di Google, la situazione non è cambiata”. Così che l’aumento di lettori di libri in ucraino «negli ultimi due anni può essere spiegato dall’assenza di un meccanismo di selezione dei libri. Il che, anche nell’indagine di “Info Sapiens”, viene indicato come uno dei principali ostacoli alla lettura». E ciò significa che, in realtà, è solo il «governo ucraino a far di tutto per escludere i lettori dalla produzione libraria in lingua russa e mondiale».

Più che logico, aggiungiamo per parte nostra, in uno scenario in cui il “l’autarchia intellettuale”, il “nazionalismo culturale” e la sottocultura d’avanspettacolo servono a cercare di instillare nelle menti, quali uniche “verità” ammesse: la fantomatica “aggressione russa”, la glorificazione delle “gesta” dei collaborazionisti filo-nazisti, l’esaltazione della guerra permanente e del terrorismo contro una parte della propria stessa popolazione.

Un tentativo, quello del governo ucraino, che forse, per fortuna, non è privo di oppositori, a giudicare dalle note di Aleksej Toporov e Andrej Ganža. Un tentativo, quello del governo ucraino, di escludere la popolazione del Donbass «dal consesso giurisdizionale» e di far sì che l’intero «popolo ucraino» sia d’accordo su ciò, che forse, per fortuna, non riscuote l’intera vantata approvazione degli ucraini e che fa dire alla scrittrice Nina Sergeevna Išcenko – il cui intervento riproduciamo sotto per esteso – che la «gente del Donbass non perde la speranza che in Ucraina, a dispetto della propaganda nazista e del suo proselitismo anche oltre le frontiere nazionali, sorgano forze in grado di operare» per la “umanizzazione dello spazio culturale” comune e pacifico».

In conclusione, constatiamo soltanto come l’odio di cui parla Nina non sia una categoria astratta, ma abbia un concreto contenuto di classe e, nel caso specifico, sia anche alimentato da precisi interessi geopolitici internazionali.

*****

Nina Sergeevna Išcenko (Lugansk, 1978), dottoranda in filosofia; esperta in scienze culturali; critica letteraria; redattrice del sito informativo-culturale “Oduvancik”; autrice di numerosi libri di critica letteraria, filosofica e di attualità; professore associato del Dipartimento di Arte musicale pop all’Accademia statale di arte e cultura di Lugansk “Matusovskij” (Repubblica popolare di Lugansk). Blog: ninaofterdingen.livejournal.com; Telegram: https://t.me/ninaofterdingen/

Un milite di «Azov» con in mano il «martello di Hitler»

Nina Išcenko

Secondo notizie riportate dal sito web Zabrona, l’11 dicembre 2020, a Kiev, al Palazzo della cultura nel quartiere Šuljavka, si è svolta la “Heretic Fest”. A differenza del passato, quando a iniziative simili intervenivano formazioni di diversi paesi, nel 2020, a causa delle misure di quarantena, hanno partecipato soltanto gruppi russi e ucraini.

Come scrive l’attivista Eduard Dolinskij, il clou del programma è stato il gruppo russo «М8L8ТKh» – il nome può essere decifrato come «Martello di Hitler» – il cui solista è il milite di «Azov» Aleksej Levkin, che ha preso parte ad azioni di guerra in Donbass.

Il russo Aleksej Levkin è una figura chiave della campagna lobbistica di «Azov» per la concessione della cittadinanza ucraina ai camerati stranieri dell’estrema destra (l’ucraina Strana.ua riproduce per intero la traduzione di un lungo servizio di Time, secondo cui i neonazisti di “Azov” si servono dei social network per reclutare adepti in tutto il mondo; ndt) che militano nelle sue file.

Egli è anche uno dei fondatori dell’organizzazione neonazista «Wotanjugend», i cui affiliati celebrano Adolf Hitler, eroicizzano i militanti di estrema destra, trasmettono in Ucraina l’ideologia dell’odio.

Il concerto di Kiev è la triste testimonianza di come l’ideologia dell’odio riesca a raccogliere sostenitori in tutto il mondo. Non si tratta di un evento isolato; il concerto si svolge su base regolare e riunisce persone di Ucraina, Russia e Europa che si riconoscono in valori comuni.

Questi valori comuni non rappresentano altro che dei simulacri dell’ideologia neonazista. Nel tempo libero, assistono a simili concerti cittadini comuni, impiegati, abitué dei social network, mostrando al mondo e a se stessi il proprio valore. Ad alcuni, semplicemente piace l’heavy metal, altri vedono nel forum una storia alternativa del mondo, d’Europa e della Russia, e partecipano al concerto per incontrarsi con chi la pensa come loro.

Cos’è che impedisce di considerare questo fenomeno una delle inevitabili conseguenze della varietà culturale del mondo moderno? C’è chi gioca a elfi e gnomi; qualcun altro a fare il vero ariano. Questo è un evento culturale musicale: cosa gliene importa agli altri?

Il fatto è che tali momenti di raccolta, messi in piedi sul principio della rete, con un nucleo centrale attivo e una periferia variabile di persone occasionali, svolgono tre funzioni importanti nella società. Sono fonti di diffusione dell’ideologia dell’odio, momenti di correzione della memoria storica e parte dell’opera di legalizzazione della violenza nella società. Tutti e tre gli aspetti sono interconnessi e si consolidano a vicenda. Una tale opera è particolarmente pericolosa in Ucraina.

L’ideologia neonazista è pericolosa non per la simbologia e la magia delle cifre. La caratteristica fondamentale dell’ideologia neonazista è costituita dalla deumanizzazione di un determinato gruppo della popolazione e dalla legalizzazione della violenza nei confronti di tale gruppo.

In Ucraina, un tale gruppo di popolazione deumanizzata è rappresentato dai russi e la violenza nei loro confronti legalizza tutti gli anni della guerra in Donbass. Come ha scritto il presidente dell’Unione degli scrittori della Repubblica popolare di Lugansk, Gleb Bobrov: «Il sangue versato da una parte dei cittadini ucraini per i principi di “sovranità e integrità territoriale” e simili “ArMoVir” (ArmjaMovaViraEsercitoLinguaFede: “L’esercito difende la nostra terra. La lingua protegge il nostro cuore. La Fede protegge la nostra anima”.

questo e il precedente erano due slogan coniati dall’ex presidente Petro Porošenko; ndt) costituiscono, s’intende, delle gravi rotture, ma non sono ancora la “caduta degli dei”.

La faglia nella civiltà comincia allorché la società raggiunge un consenso, una sorta di accordo interno secondo cui, come dire, questi e quei cittadini possono essere uccisi e derubati secondo questi o quei criteri e tutto ciò non è più considerato un crimine, una violazione delle regole di conduzione della guerra, o qualcosa di questo tipo, dal momento che, d’ora in avanti, quei cittadini non sono più considerati persone.

E i criteri possono essere qualsiasi: il passaporto, la visione del mondo, la lingua, la religione, il territorio, e così via. Il termine «uccidere» non è qui una figura sintattica. Si può uccidere in maniera conseguente e scientemente, individualmente e selettivamente, come è stato, ad esempio, per lo scrittore Oles Buzina (il giornalista, storico e conduttore televisivo Oles Buzina fu ucciso nell’aprile 2015 davanti al portone di casa, a Kiev e il suo assassino venne rimesso immediatamente in libertà, con gli squadristi di Pravij Sektor che assediavano il tribunale; ndt), per il giornalista di Mariupol, Sergej Dolgov e mille altri “dissidenti”, liquidati dimostrativamente, morti “in circostanze non chiarite”, oppure “scomparsi” o “sepolti” in innumerevoli posti ucraini.

E si può uccidere anche all’ingrosso, senza far distinzione di persone o sesso, come alla Casa dei sindacati di Odessa, o sotto i colpi indiscriminati delle armi da fuoco e delle artiglierie a reazione sulle città e i villaggi del Donbass. È possibile uccidere tutti questi cittadini, esclusi dal consesso giurisdizionale, per il settimo anno consecutivo, giacché il popolo ucraino, al proprio interno, si è accordato su questo».

In Ucraina, l’ideologia neonazista dell’odio, da gioco post-moderno coi simboli, si è trasformata in realtà; una realtà con due direttrici. L’Ucraina combatte in Donbass in tempo reale e opera per lo stravolgimento della memoria storica sulla Grande guerra patria.

Negli ultimi anni, con l’impegno del governo ucraino e delle organizzazioni pubbliche sono state private di valore e respinte ai margini della cultura, figure quali il soldato vincitore del fascismo, il partigiano sovietico, i combattenti nella clandestinità, e altre.

Tali figure sono confinate nell’ambito della memoria familiare, nella memoria storica di associazioni locali, mentre a livello ufficiale si eroicizzano i nazisti ucraini e i collaborazionisti Stepan Bandera, Roman Šukhevic (nel 2019 è stato inaugurato il museo a lui dedicato nella casa di famiglia a Tyškovtsy, nella regione di Ivano-Frankivsk; ndt) e altri.

Sullo sfondo della politica di Stato per l’eroicizzazione dei nazisti ucraini, un semplice concerto, all’interno di un club, appare alquanto innocente. Tuttavia, bisogna considerare che si tratta di un ulteriore momento della trasmissione dell’ideologia dell’odio e di un ulteriore elemento del sistema di legalizzazione della violenza nella società.

L’ideologia dell’odio lavora alla deumanizzazione di un qualunque gruppo della popolazione, selezionato secondo la razza, la lingua, la nazionalità. In Ucraina tale gruppo è costituito dai russi e dai russofoni.

La promozione dell’ideologia nazista nel paese sul cui territorio si svolsero aspre battaglie coi nazisti, è possibile solo con una significativa trasformazione della memoria storica; proprio su questo lavora conseguentemente da alcuni decenni la cultura ucraina, organizzando iniziative, pubblicando libri, producendo film che inculchino l’idea che, nei confronti dei russi, nella storia ucraina, è ammessa qualsiasi ingiustizia, discriminazione, violenza e persino l’assassinio.

Oggi, la legittimazione della violenza nei confronti di un gruppo della popolazione deumanizzato, è il successivo logico passo della società ucraina.

Non vorrei accrescere il significato di eventi così poco importanti come questo concerto ai margini della cultura. Simili cantanti e simili auditori esistono anche in altri paesi, Russia compresa. Tuttavia, è proprio in Ucraina che tale fenomeno ha ogni chance di trasformarsi da marginale in mainstream, poiché in Ucraina è divenuta politica di Stato l’educazione della società alla violenza nei confronti dello stesso gruppo etno-culturale che aveva svolto questo ruolo per Hitler e per i veri ariani del secolo scorso.

Il concerto a Kiev è un segnale d’allarme per la società ucraina, costituisce un ulteriore motivo per riflettere, un’ulteriore direzione di attività per la umanizzazione dello spazio culturale. La gente del Donbass non perde la speranza che, in Ucraina, sorgano forze in grado di operare in questo senso.

(Traduzione e premessa a cura di Fabrizio Poggi)

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