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«Non ci può essere una vera sovranità popolare senza potere»

E’ stupefacente quanto sia basso il livello della riflessione politica in questo paese. A destra è quasi obbligatorio che sia così, altrimenti non riuscirebbero a stare su piazza. Ma è così dappertutto, perché il sistema mediatico mainstream è tarato sulla propaganda di guerra (in senso stretto, geopolitico, tra aree del mondo, e in senso “di classe”, a difesa del prevalere del grande capitale nei confronti degli altri strati sociali).

La sinistra antagonista è quasi scomparsa da quando ha smesso di pensare autonomamente e ha preso ad utilizzare gli strumenti concettuali – inconsistenti, ma ripetuti ossessivamente – del “nemico”. Dunque è obbligatorio rimettere in moto qualche neurone, prima che l’inattività lo porti alla morte.

Pubblichiamo questo articolo di Jean-Luc Mélénchon, capo politico de La France Insoumise (quasi il 20% alle ultime elezioni presidenziali), perché mette al centro il concetto di potere. Un concetto che “a sinistra” viene usato come uno straccio senza struttura e senza logica.

Sul piano strettamente concettuale, la definizione di Mélénchon – molto “statalista” e profondamente “francese” – non ci convince appieno, ma ha il merito di nominare l’innominabile: come si cambia il mondo? a partire da dove? con quali strumenti e per quali scopi?

In concreto, non a chiacchiere…

E dunque propone obbiettivi politici antichi e attualissimi (la transizione ecologica, la giustizia sociale, ecc) nominando gli strumenti indispensabili per attuarli. Ossia, tra gli altri, nazionalizzazioni e pianificazione, che proprio le disgrazie della pandemia hanno messo in primo piano, quando tutti – nell’Occidente neoliberista – abbiamo scoperto che avevamo una sanità demolita, un’industria farmaceutica non in grado di affrontare le esigenze della popolazione (il privato vende al prezzo più alto, non cura), fino a mancare perfino delle mascherine a causa dell’eliminazione pressoché integrale dell’industria tessile (delocalizzare, per un “privato”, è un vantaggio e a volte persino una scelta obbligata).

Per realizzare il cambiamento sociale – ricorda con semplicità Mélénchon – bisogna disporre di un potere in grado di superare gli ostacoli che si trova davanti. Dev’essere – scandalo! – un potere sovrano, che in lingua italiana significa una cosa molto diversa da quella che viene propalata da Repubblica o il Corriere.

Citiamo dall’enciclopedia Treccani, per sicurezza: “Potere originario e indipendente da ogni altro potere“. Significato chiaro, dunque: sovrano non significa “nazionalista”, ma “senza poteri superiori” cui obbedire. Nella Storia sono stati sovrani i capi-tribù, i re, i papi, ecc. Oggi possono esserlo alcuni Stati (pochissimi), l’Unione Europea o “i mercati”.

Ma potere non equivale a governo. Come ha dovuto scoprire con durezza Syriza, nel 2015, in Grecia, si può “conquistare il governo” senza aver neppure sfiorato il potere. Se il potere, come in effetti è, non sta più (tanto) nei governi nazionali, ma in altre strutture sovranazionali (“i mercati”, ossia nel capitale multinazionale industriale e finanziario; oppure nell’Unione Europea, struttura para-statuale che sussume progressivamente il controllo della moneta e delle politiche di bilancio, fino alle “riforme strutturali”), allora si può benissimo arrivare a Palazzo Chigi e scoprire di non poter cambiare niente, se non l’arredamento.

Un po’ come diventare sindaco di un paesino col bilancio inchiodato dal “patto di stabilità”.

Da questo punto di vista, molto concreto, il potere è dunque una relazione tra diversi soggetti che permette, oppure no, di modificare l’esistente. Ed è ovvio che i soggetti che più guadagnano dalla situazione attuale non hanno alcun interesse a veder cambiare la situazione. Per quanto grandi possano essere il malessere e perfino la rabbia sociale.

Dunque, come si diceva una volta, la conquista del potere è qualcosa di più complesso, articolato, decisivo, del “semplice” ingresso al governo. Anche se fosse quello degli Stati Uniti, ormai…

E’ una rivoluzione che spazza via quei soggetti ed i relativi poteri, non una campagna elettorale ben gestita…

Buona lettura.

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Cos’è il potere? La capacità di fare e, se necessario, di non avere ostacoli. Il potere è in questo senso uno stato di sovranità del popolo. È l’attributo, oltre che il mezzo.

La sovranità si ottiene solo con potere senza ostacoli. E non c’è sovranità che non sia un atto di potere sull’ordine delle cose in cui si svolge.

Questi principi non sono così astratti come sembrano. Proclamano ciò che l’esperienza dimostra: la sovranità del popolo è una questione di equilibrio di potere. Non è mai dato, non è mai concesso. I potenti non si rassegnano mai a questo. La lotta per la sovranità del popolo consiste nel conquistare e poi mantenere il suo potere.

Questo è anche l’obiettivo iniziale della Rivoluzione Cittadina alla quale mi dedico. Avrà successo solo acquisendo i mezzi di potere del popolo che le consentano di superare gli ostacoli che l’hanno tenuta fuori dal potere nella sua storia.

Se vinciamo alle elezioni nel 2022, la linea di condotta del nostro governo potrebbe essere descritta come un programma di sovranità ampliata. Lavorerebbe per estendere il potere del popolo alle aree da cui è attualmente escluso e per rimuovere il dominio che lo limita ovunque.

Ripeto: la sovranità popolare si riferisce qui alla capacità del popolo di disporre liberamente di tutto ciò che riguarda la sua vita collettiva.

Capacità di agire

Per ottenere ciò, questi mezzi devono, pertanto, corrispondere alla volontà del popolo. Chi, come me, ha assistito ai governi dell’ondata democratica in America Latina per imparare da loro, sa che il deficit di potere è stato il principale ostacolo da superare.

Passiamo ora agli aspetti concreti che implicano le nostre concezioni. Affermiamo che i migliori programmi sono destinati a rimanere una lista dei desideri senza le capacità disponibili per realizzarli. Queste capacità sono la disponibilità popolare, la natura collettiva del processo decisionale, il livello di istruzione e qualificazione, il capitale industriale accumulato, la qualità dei servizi pubblici, la solidità dello Stato, le sue capacità di finanziamento o la sicurezza del territorio.

È impossibile ignorare questi elementi. Quanti governi di trasformazione sociale nei paesi che gli imperialismi avevano mantenuto in una forma di sottosviluppo hanno dovuto fare delle concessioni perché inciampavano davanti alla difficoltà di raccogliere i mezzi per portare a termine quanto deciso?

La Francia si trova in una situazione molto diversa. Siamo la sesta potenza economica del mondo. Il nostro livello di istruzione è molto elevato. I lavoratori, i tecnici e gli ingegneri francesi hanno qualifiche all’avanguardia, il risultato di uno straordinario accumulo di lavoro umano.

Lo Stato è antico e ben consolidato. Sa come riscuotere le tasse e far rispettare la legge. Il suo contesto e la sua rete geografica prevedono numerose politiche di lotta alla povertà o la rilocalizzazione delle attività economiche e agricole.

Tuttavia, dobbiamo anche essere consapevoli del declino della forza francese. È stato smantellato mattone dopo mattone dal neoliberismo per almeno 20 anni. I tagli ai servizi pubblici, al libero scambio, la de-industrializzazione e la concorrenza tra le imprese nazionali hanno seriamente compromesso le nostre capacità in molti settori.

Questa crescente impotenza si è cristallizzata nel collasso della salute. Per combattere l’epidemia, le autorità hanno fatto ricorso a soluzioni arcaiche basate sulla privazione della libertà. La prima ragione di tale debacle è stata la politica di tagli di bilancio che l’ospedale pubblico ha subito per anni.

Durante questa crisi, abbiamo anche scoperto che ora ci affidiamo principalmente alle importazioni asiatiche per l’80 per cento dei nostri medicinali. Sono passate settimane e settimane prima che avessimo abbastanza maschere, perché la nostra industria tessile era scomparsa, in parte, a causa delle delocalizzazioni, e perché il governo liberale stava requisendo ciò che ne rimaneva. L’elenco potrebbe essere esteso infinitamente.

Se raggiungeremo i massimi poteri, dovremo assumerci la responsabilità di ricostruire un po’ di potere nel settore sanitario, attraverso il settore dei medicinali pubblici, la fine del libero commercio di prodotti essenziali e i massicci investimenti negli ospedali. Senza questo, nessuno dei nostri obiettivi di salute pubblica sarà possibile

Potenza industriale e biforcazione ecologica

I parlamentari insoddisfatti hanno sintetizzato tutte queste richieste nella richiesta centrale di un ritorno alla pianificazione. Il fallimento del sistema della “mano invisibile del mercato” e l’equilibrio spontaneo basato unicamente sul segnale del prezzo, è evidente. Ha portato alla distruzione delle forze produttive e all’impotenza di soddisfare i bisogni sociali.

La pianificazione ha come obiettivo quello di riportare i campi della produzione, dello scambio e del consumo all’ovile democratico. Affida alla deliberazione il coordinamento tra le forze che contribuiscono alla produzione e alla distribuzione e l’anticipazione del futuro secondo obiettivi prefissati. Può essere vista come un’appropriazione collettiva del tempo.

La pianificazione è, quindi, lo strumento naturale della biforcazione ecologica, poiché si tratta proprio della viabilità del futuro. Ma non è niente se non può fare affidamento su un’industria forte, infrastrutture e competenze. Questi sono gli elementi che ci rendono potenti o impotenti.

Ad esempio, tra le principali opere da realizzare c’è il settore idrico. Il cambiamento climatico modifica e interrompe il ciclo dell’acqua. Ma è sostanziale per l’esistenza stessa delle società umane. Pertanto, deve essere al centro della nostra attenzione. Uno dei compiti è, ad esempio, rinnovare completamente la nostra rete di tubazioni. Attualmente si perde un litro su cinque. Però, ovviamente, per poter sostituire le tubazioni, bisogna prima fabbricarle.

A Pont-à-Mousson, in Francia, abbiamo una delle migliori fabbriche al mondo per questo. L’industriale che la possiede sta cercando di venderla. I cinesi e un fondo pensione americano si sono già messi in coda. È nazionalismo rifiutare questo trasferimento sotto controllo straniero, preludio alla delocalizzazione?

No, perché la conservazione di questo potere industriale è il presupposto per la pianificazione ecologica. Così come la cessione del ramo energetico di Alstom alla società nordamericana General Electric è stata una catastrofe, non solo dal punto di vista del capitalismo francese, ma soprattutto dal punto di vista delle grandi sfide nell’interesse generale del nostro popolo.

La libertà di agire per il bene comune

La nozione di potere ha molto a che fare con la nozione di indipendenza. Sono un convinto combattente per l’indipendenza francese. Non per nostalgia sciovinista, ma perché voglio che si rispettino le decisioni democratiche del popolo francese.

In primo luogo, questo significa eliminare ogni minaccia esterna che limita le tue decisioni o impedisce che si trasformino in azioni concrete. L’indipendenza, infatti, non è altro che la nostra libertà. Rimane sia una condizione di potere che un suo attributo. Ecco perché, a mio parere, anche le questioni di difesa sono centrali.

La nostra autonomia in materia militare, cioè la nostra capacità di difendere da soli l’integrità del nostro territorio, è una condizione essenziale per una democrazia effettiva. Questo implica una rottura con l’Alleanza Atlantica ma anche un’industria nazionale che sia diversa dai complessi americani o di altri stati.

Questo desiderio di indipendenza non deve essere confuso con bellicismo o nazionalismo. La libertà dei francesi può essere anche quella di agire per il bene comune. In mare, nello spazio, nel mondo digitale, la Francia può essere la voce del diritto civilizzatore contro la concorrenza bellica. Può difendere il non sfruttamento degli abissi marini o dello spazio, concepire i grandi ecosistemi oceanici o forestali come beni comuni dell’Umanità o provocare il ritiro delle pratiche del capitalismo di sorveglianza nelle reti digitali. Puoi farlo grazie al suo potere.

Oggi il potere è un obiettivo politico. Viene confiscato perché viene confiscato anche il potere popolare. Non verrà ripristinato senza una profonda alterazione delle priorità politiche del Paese e la ricostruzione di istituzioni capaci di rifare la sovranità popolare.

Questo è l’oggetto delle rivoluzioni cittadine che stanno scuotendo i nostri tempi. Contribuire a raggiungere questo obiettivo in Francia è stato il filo conduttore della mia lotta politica per più di 10 anni. Ancora una volta è l’orizzonte che mi pongo per le elezioni presidenziali del 2022.

Ma cosa significa veramente l’espressione “Rivoluzione Cittadina”? Non si tratta di far rivivere un folclore romantico che indicherebbe un radicalismo superficiale. Né cerca di collegare gli opposti per ridurre il carico simbolico di una parola in alcune menti. Offre sia il contenuto della nostra politica sia i suoi mezzi.

È una “rivoluzione”, poiché il suo programma cambia la natura della proprietà proponendo la logica dei beni comuni e del potere nell’agorà cittadina e nell’impresa.

Si chiama “cittadina” perché si fa democraticamente attraverso un processo costituente.

La sovranità popolare, l’altro nome della democrazia, è sia l’obiettivo che il mezzo della rivoluzione cittadina. Il suo progetto politico mira a generare la sua forza effettiva: l’armonia tra gli esseri umani e con la natura, ovvero, la filosofia generale proposta dal suo programma: “Il Futuro in Comune”.

* Segretario generale de La France Insoumise

https://www.lemondediplomatique.cl/no-puede-haber-una-verdadera-soberania-popular-sin-poder-por-jean-luc-melenchon.html

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«Il ne peut y avoir de réelle souveraineté populaire sans pou-voir»

Jean-Luc Mélenchon

Qu’est-ce que la pouvoir ? La capacité de faire et, le cas échéant, de faire sans qu’une entrave puisse l’empêcher. La pouvoir est, en ce sens, un état de la souveraineté du peuple. Elle en est l’attribut autant que le moyen. Il n’est de souveraineté accomplie que dans la pouvoir sans entrave. Et il n’est de souveraineté qui ne soit un acte de pouvoir sur l’ordre des choses au sein duquel elle prend place. Ces principes ne sont pas si abstraits qu’il y parait. Ils pro-clament ce que l’expérience montre : la souveraineté du peuple est une affaire de rapports de force. Elle n’est jamais octroyée, elle n’est jamais concédée. Les puissants ne s’y résignent jamais. Sans cesse recommencée, la lutte pour la souveraineté du peuple consiste à en conquérir, puis à en maintenir la pouvoir. C’est d’ailleurs l’objet initial de la Révolution citoyenne dont je me ré-clame. Elle ne triomphe qu’en acquérant les moyens de pouvoir du peuple qui lui permet de vaincre les entraves qui le retiennent hors du pouvoir sur son histoire.

Si nous sortons victorieux dans les urnes en 2022, on pourrait qualifier la ligne de conduite de notre gouvernement comme une programme de souveraineté élargie. Il travaillerait en effet à élargir le pouvoir du peuple aux domaines dont il est actuellement exclu et à lever partout la domination qui le limite. Je le répète : la souveraineté populaire désigne ici la capacité du peuple à disposer librement de tout ce qui concerne sa vie collective.

Capacité d’agir

À la volonté populaire, il faut donc faire correspondre les moyens de la réaliser. Ceux qui, comme moi, ont observé, pour en apprendre, les gouvernements de la vague démocratique en Amérique latine savent que le déficit de pouvoir fut le principal obstacle à surmonter.

Entrons donc à présent dans les aspects concrets que nos conceptions impliquent. Affirmons que les meilleurs programmes sont condamnés à rester une liste de vœux pieux sans les capacités disponibles pour les réaliser. Ces capacités sont la disponibilité populaire, le caractère collectif de la prise de décision, le niveau d’éducation et de qualification, le capital industriel accumulé, la qualité des services publics, la solidité de l’État, ses capacités de financement ou la sûreté du territoire. Il est impossible de faire l’impasse sur ces éléments. Combien de gouvernements de trans-formation sociale dans des pays que des impérialismes avaient maintenu dans une forme de sous-développement ont dû composer parce qu’ils trébuchaient face à la difficulté de réunir les moyens de réalisation d’une décision ?

La France est dans une situation bien différente. Nous sommes la 6ème puissance économique mondiale. Notre niveau d’éducation est très élevé. Les ouvriers, les techniciens, les ingénieurs français disposent de qualifications de pointe issues d’une extraordinaire accumulation de travail humain. L’État est ancien et bien établi. Il sait lever l’impôt et faire respecter la loi. Son armature et son maillage géographique permettent d’envisager bien des politiques de lutte contre la pauvreté ou de relocalisation des activités économiques et agricoles. Cependant, nous devons avoir conscience aussi du recul de la puissance française. Elle a été démantelée brique par brique par le néolibéralisme depuis au moins 20 ans. Saccage des services publics, libre-échange, désindustrialisation et mise en concurrence des entreprises nationales ont sérieusement entamé dans bien des domaines nos capacités. Cette impuissance croissante s’est cristallisée dans le faillite sanitaire. Pour lutter contre l’épidémie, le pouvoir a eu recours à des solutions archaïques reposant sur des privations de libertés. La première raison d’une telle débâcle réside dans les politiques de réduction budgétaire dont l’hôpital public a souffert pendant des années. Pendant cette crise, nous avons aussi découvert que nous dépendions désormais d’importations, principalement asiatiques, pour 80% de nos médicaments. Nous avons mis des semaines et des semaines avant d’avoir assez de masques car notre industrie textile a en partie disparue au fil des délocalisations et parce que le gouvernement libéral refaisait les réquisitions de ce qui en reste. La liste pourrait continuer encore longuement. Si nous arrivons au sommet, il nous faudra bien assumer la responsabilité de recons-truire une certaine puissance en matière sanitaire par le pôle public du médicament, la fin du libre-échange sur des produits essentiels, les investissements massifs dans l’hôpital. Sans cela, aucun de nos objectifs de santé publique ne sera possible.

Pouvoir industrielle et bifurcation écologique

Les parlementaires insoumis ont synthétisé toutes ces demandes dans la revendication centrale d’un retour à la planification. L’échec du système de la main invisible du marché et de l’équilibre spontané à partir du seul signal du prix est criant. Il a abouti à la destruction des forces productives et à l’impouissance à répondre aux besoins sociaux. La planification ambitionne de faire revenir les champs de la production, de l’échange et de la con-sommation dans le giron démocratique. Elle confie à la délibération la coordination entre les forces concourant à la production et à la distribution et l’anticipation sur le futur en fonction d’objectifs donnés. Elle peut se concevoir comme une appropriation collective du temps. La planification est donc l’instrument naturel de la bifurcation écologique puisqu’elle s’occupe précisé-ment de la viabilité de l’avenir. Mais elle n’est rien si elle ne peut s’appuyer sur une industrie forte, des infrastructures et des qualifications. Autant d’éléments qui font notre puissance ou notre im-puissance. Ainsi, dans les grands chantiers à mettre place, il y a par exemple celui de l’eau. Le changement climatique modifie et dérègle le cycle de l’eau. Mais il est consubstantiel à l’existence même des sociétés humaines. Il doit donc concentrer toute notre attention. L’une des tâches consiste, par exemple, à rénover en profondeur notre réseau de canalisations. Il laisse s’échapper un litre sur cinq actuellement. Mais bien sûr, pour pouvoir remplacer les tuyaux, il faut, avant cela, les fabriquer. Nous avons en France l’une des meilleures usines du monde pour cela, à Pont-à-Mousson. L’industriel qui la possède cherche à la vendre. Des chinois, un fond de pension américain sont sur la file d’attente. Est-ce du nationalisme que de refuser ce passage sous contrôle étranger, prélude à la délocalisation ? Non, car la conservation de cette puissance industrielle est le préalable à la planification écologique. Tout comme la vente de la branche énergie d’Alstom à l’américain General Electric fut une catastrophe non seulement du point de vue du capitalisme français mais surtout de celui des grands défis d’intérêt général de notre peuple.

La liberté d’agir pour le bien commun

La notion de pouvoir a beaucoup à voir avec celle d’indépendance. Je suis un indépendantiste français convaincu. Non par nostalgie chauvine mais parce que je veux voir respecter les décisions démocratiques du peuple français. En premier lieu, cela suppose de lever toute menace extérieure qui contraindrait ses décisions ou l’empêcherait de se transformer en actes concrets. L’indépendance n’est rien d’autre en fait que notre liberté. C’est encore à la fois une condition de la puissance et un attribut de celle-ci. C’est pourquoi à mes yeux les questions de défense sont aussi centrales. Notre autonomie en matière militaire, c’est-à-dire notre capacité à défendre seuls l’intégrité de notre territoire est une condition incontournable de la démocratie effective. Cela implique la rupture avec l’alliance atlantique mais aussi une industrie nationale dis-tincte des complexes américains ou d’autres États. Il ne faut pas confondre cette volonté d’indépendance avec du bellicisme ou du nationalisme. La liberté des français peut aussi être celle d’agir pour le bien commun. En mer, dans l’espace, dans le monde numérique, la France peut être la voix du droit civilisateur contre les compétitions guerrières. Elle peut défendre la non-exploitation des grands fonds ou des astres, la conception des grands écosystèmes océaniques ou forestiers comme bien communs de l’Humanité ou le recul des pratiques du capitalisme de surveillance sur la toile. Elle le peut grâce à sa puissance.

Aujourd’hui, la puissance est un objectif politique. Elle est confisquée parce que le pouvoir populaire l’est tout autant. Elle ne sera pas restituée sans un profond bouleversement des priorités politiques du pays ni sans la refondation d’institutions capable de reconstituer la souveraineté populaire. C’est l’objet des révolutions citoyennes qui agitent notre époque. Aider à son accomplissement en France est le fil rouge de mon combat politique depuis plus de 10 ans. C’est de nouveau l’horizon que je fixe pour l’élection présidentielle de 2022. Mais que signifie réellement l’expression Révolution citoyenne ? Elle n’est pas faite pour ranimer un folklore romantique qui signalerait une radicalité superficielle. Elle ne cherche pas non plus à marier les contraires pour amoindrir la charge symbolique d’un mot dans certains esprits. Elle donne à la fois le contenu de notre politique et son moyen. Il s’agit d’une « révolution » puisque son programme change la nature de la propriété en mettant en avant la logique des biens communs et celle du pouvoir dans la cité et dans l’entreprise. Elle dite « citoyenne » car elle se fait par la voie démocratique à travers un processus constituant. La souveraineté populaire, l’autre nom de la démocratie, est à la fois l’objectif et le moyen de la révolution citoyenne. C’est à sa puissance effective qu’est vouée son projet politique : l’harmonie entre les êtres humains et avec la nature, philosophie générale proposée par l’Avenir en Commun.

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1 Commento


  • Alfio Binagi

    Ma che potere?
    Si, “è proprio stupefacente quanto sia basso il livello della riflessione politica in questo paese”.
    Ma se invece di citare solo gli “obbiettivi politici antichi e attualissimi (la transizione ecologica, la giustizia sociale, ecc) nominando gli strumenti indispensabili per attuarli” secondo Mélénchon, cercassimo i pochi sprazzi realmente radicali che possiamo scoprire anche in Italia, forse potremmo rilanciare un reale dibattito comunista – non nel senso ideologico parlamentarista, naturalmente – in base ai riferimenti teorici, etici, sociali e politici chiave, d base ed essenziali di un discorso marxiano sul potere, come mi pare, tanto per fare un esempio, rifletta un commento di Raveli all’articolo ‘Prontuario di ecosofia’ in Effimera (http://effimera.org/prontuario-di-ecosofia-bibliografie-metastabili-recensione-a-cura-di-xhejn-xhindi/).
    Vediamo se si accende un vero dibattito di fondo sull’essenza dell’attuale sistema di potere che gestisce l’ultima epidemia influenzale, ribaltando a livelli finora impensabili la degradazione della società globale con tutte le sue accentuate alienazioni di potere. Cominciando dalla nostra salute, dai nostri corpi ma soprattutto, ormai, rispetto all’ecosistema generale del pianeta Terra!

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