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Russia: repressioni contro Naval’nyj o contro il malcontento?

Tocca dire qualcosa sulle manifestazioni in Russia che, dopo i raduni e gli scontri con la polizia del 23 gennaio, stando ai pronostici, non cesseranno tanto presto.

Poco ci interessano i gemiti delle prefiche liberal-democratiche su “autoritarismo e dittatura dello zar”; e, però, tocca tornare sul “tema Naval’nyj” anche perché, in parte di quella che Contropiano definisce “compagneria”, si rischia troppo spesso di esondare, da un lato, negli allarmi contro “la dittatura putiniana”, lanciati da una sinistra in crisi di riferimenti e, dall’altro, in “atti di fede” (mal riposta) all’indirizzo dell’inquilino del Cremlino. Certo mossi dal ricordo delle “rivoluzioni della dignità” succedutesi in varie Repubbliche ex sovietiche, ma, appunto, poco più che salmi religiosi.

Per tornare sul tema, si è deciso di riprodurre per intero uno dei numerosi interventi pubblicati da vari esponenti del KPRF zjuganoviano, e succedutisi in questi giorni, tra il rientro del “martire” in Russia, il suo arresto e le manifestazioni per la sua scarcerazione.

Manifestazioni che, è vero, il 23 gennaio hanno visto in piazza quasi soltanto giovani e giovanissimi (non si sa quanto “disinteressati”), ma che, nel prossimo futuro, potrebbero coinvolgere strati ben più solidi di società.

Le prese di posizione del KPRF sul “tema Naval’nyj” sono oltremodo distanti da una visione rivoluzionaria; il KPRF non è certo un’organizzazione “estremista”; anzi, nella sinistra russa, è spesso qualificato come “l’opposizione di sua maestà” e in Russia molti ricordano con amarezza, tra l’altro, come, alle presidenziali del 1996, lo stesso Gennadyj Zjuganov avesse lasciato a Boris El’tsin una vittoria mai accertata (le schede votate furono tutte distrutte dopo il secondo turno).

Si dice, per paura delle ritorsioni del FMI e della guerra civile che gli oligarchi avrebbero senz’altro scatenato in caso di vittoria del candidato del KPRF; e si arriva a dire che l’allora capo del Servizio di sicurezza el’tsiniano, Aleksandr Koržakov, avesse addirittura promesso “una pallottola in testa” a Zjuganov, se si fosse ostinato a rivendicare la vittoria.

Ora, si possono nutrire legittimamente seri dubbi sul fatto che proprio il KPRF, come sostengono i suoi esponenti, rappresenti davvero la “reale alternativa al potere neo-liberale” in Russia. Può certo apparire poco convincente l’appello con cui si chiude l’intervento riportato sotto, che esorta a manifestare “sotto le insegne rosse” del KPRF, vista la sensazione, effettivamente, di una “opposizione di sua maestà” data dal riformismo-patriottico del partito.

E, però, ci sembra comunque che, nella loro “asetticità”, le considerazioni del KPRF sul caso Naval’nyj e sulla strada scelta dal Cremlino per rispondere al malcontento sociale così abilmente sfruttato dal “martire” neo-nazista, colgano il nodo della questione.

Da un lato, dunque, c’è il beniamino di turno dell’Occidente che, come nota il segretario regionale del KPRF di Krasnodar, Aleksandr Safronov, è “il politico più intoccabile della Russia odierna”.

Per la “marcia russa” del 2011 altri razzisti furono incarcerati, ma lui no; per le proteste del 2012 altri oppositori, anche della sinistra, furono arrestati: lui no; poi ci furono le truffe del commercio di legname e della Yves Roche, per cui fu arrestato suo fratello, ma lui no.

Con due condanne condizionali, chiunque sarebbe già in galera: lui invece viaggia liberamente per l’Europa: «Naval’nyj è legato strettamente al potere», scrive Safronov. «Anche nel suo ultimo video su “la reggia di Putin”, egli fa riferimento alle Guardie Ambientali e Andrej Rudomakha, intimo del governatore della regione di Krasnodar», ca va sans dire, putiniano.

Dall’altro, c’è un potere che non sembra nemmeno voler far nulla per nascondere una linea diretta alla salvaguardia degli interessi della cerchia di miliardari, i cui dieci più ricchi, nell’ultimo anno, sono diventati di 33 miliardi di dollari ancora più ricchi.

Sotto, molto più in basso, c’è una società civile che fa i conti con una situazione già grave – disoccupazione, salari fermi, prezzi galoppanti, sanità pubblica allo sbando, pensioni misere – acuita, come ovunque nel mondo capitalista, dalla pandemia.

A dicembre, scrive Svobodnaja Pressa su dati dell’ufficiale VTsIOM, il 38% dei russi dichiarava di potersi permettere solo alimenti e vestiario e per il 28% era un problema anche l’acquisto del solo vestiario. Se oggi il 47% è costretto a fare economie, afferma l’economista Vladimir Lepekhin, «la dinamica economica è tale che verso fine anno sarà il 66 o il 77% della popolazione a dover fare economie».

In questo quadro, lasciamo la parola a Valerij Raškin, Primo segretario del Comitato cittadino di Mosca del KPRF.

Manganelli invece del dialogo – si calpestano i diritti delle persone!

Già da molto tempo nella società russa sta maturando un cupo malcontento. Il potere prosegue una politica socio-economica distruttiva, che porta all’impoverimento e all’esaurimento del popolo. Le riforme sono diventate particolarmente ciniche dopo le elezioni presidenziali del 2018, quando il potere è rimasto di nuovo nelle mani di V.V. Putin.

L’innalzamento dell’età pensionabile, l’aumento di prezzi, tariffe e tasse, l’ottimizzazione distruttiva dell’assistenza sanitaria, i tentativi, col pretesto della pandemia, di instaurare l’istruzione a distanza: queste e altre riforme antipopolari hanno portato all’accelerata caduta d’autorevolezza delle alte sfere dello stato e del rating del partito di governo “Russia Unita”.

Le forze liberali, parenti di classe dell’attuale potere, cercano di trarre profitto dal crescente potenziale di protesta del popolo. L’impetuosa ed estremamente potente promozione, sui media, della figura di A.A. Naval’nyj, insieme alla storia sul suo avvelenamento, il suo ritorno in Russia, il fermo e l’arresto, l’appello a scendere in piazza e l’uscita del film sul palazzo di Putin: tutto questo riveste il carattere di un tentativo di colpo di stato di vertice.

Per di più, le accuse di corruzione mosse al potere sembrano del tutto fondate. Fin dalla sua instaurazione, il potere politico in Russia ha mostrato le più orribili manifestazioni di corruzione: dalla privatizzazione ladresca, che ha consentito di traferire in mani private, per una vera miseria, migliaia di imprese realizzate dal lavoro di intere generazioni di sovietici; al famoso scandalo che ha coinvolto A.B. Čubais per centinaia di migliaia di dollari; dai miliardi di dollari sottratti de A.E. Serdjukov e E.N. Vasil’eva nel caso “Oboronservis”, all’appartamento del colonnello della polizia D.V. Zakharčenko, con le borse piene di 8,5 miliardi di rubli. E molto altro.

L’assenza di una risposta chiara all’accusa di corruzione lanciata contro V.V. Putin, mina in maniera fortissima l’autorevolezza del potere e mette in dubbio la possibilità per l’attuale Presidente di rimanere in carica.

Il 23 gennaio 2021 è stato segnato da proteste di massa in tutto il paese. Anche a Mosca, migliaia di persone sono scese in strada. In questa situazione, il potere, invece di ascoltare la voce del popolo e avviare un dialogo con la gente, indignata per le inique condizioni di vita, ha preso a ricorrere alla forza, fermando i manifestanti con metodi duri.

Il regime al potere dà a intendere, di fatto, il proprio rifiuto a condurre un dialogo con la società, a risolvere gli acuti problemi del paese e del popolo. La volontà di soffocare il malcontento popolare coi manganelli e le manette della polizia, gettando in galera le persone, mentre si adottano leggi repressive, contribuisce solo alla destabilizzazione della situazione in Russia.

Nelle condizioni dell’aggravarsi della crisi e del crescere degli umori di protesta tra larghi strati di cittadini, la classe dirigente cerca di distogliere l’attenzione della società dalle principali cause dei problemi del nostro Paese, imponendo una falsa scelta.

I “padroni di casa” creano un quadro illusorio, in cui, a loro dire, ci sarebbero solo due forze contrapposte: l’attuale potere e i liberali “anti-sistema”.

Si crea così una situazione molto comoda per i vertici oligarchici, in cui il popolo viene messo di fronte a una scelta falsa, creata artificialmente, tra due varianti: essere per Putin o per Naval’nyj. Oltre a ciò, la scelta si risolve di fatto nella possibilità di appoggiare i neo-liberali già al potere, o i neo-liberali che a quel potere mirano.

Di fatto, al popolo vien proposto di fare da pedina nel gioco di sostituzione di un personaggio con un altro, senza cambiare il sistema, quando invece è proprio il sistema capitalista, il dominio dei proprietari dei mezzi di produzione, che rappresenta la causa prima di tutte le disgrazie del popolo russo.

Il potere oligarchico e i leader dell’opposizione liberale sono interessati ad attirare dalla propria parte le simpatie del popolo: agli uni, il popolo serve per conservare il potere; agli altri, per conquistarlo.

Ambedue i raggruppamenti neo-liberali sono legati al capitale straniero: uno, continua a vendere all’Occidente risorse naturali uniche del nostro paese e a portarvi i propri capitali; l’altro raggruppamento è pronto a trasformare il paese ancora di più in colonia per le corporation transnazionali. E nessuno dei due campi ha intenzione di liquidare il capitalismo e pensa solo a ripartire a proprio vantaggio la proprietà e i profitti.

Disorientando il popolo con campagne a tappeto sui media, a stampa e elettronici, alla televisione e sui social media, gli organizzatori delle proteste sono riusciti ad assicurarsi che un significativo numero di persone scendesse in strada.

Oltre a ciò, le stesse autorità hanno fatto di tutto, perché le azioni di protesta fossero non autorizzate. In tutti gli ultimi anni si è assistito a un inasprimento della legislazione su riunioni, meeting, cortei e picchetti.

Col pretesto delle limitazioni per il Coronavirus, il potere ha creato una situazione per cui, a Mosca, ottenere il permesso per iniziative pubbliche, è diventato decisamente impossibile. Il diritto dei cittadini, garantito dalla Costituzione, a riunirsi pacificamente, senz’armi, è stato, nel modo più sfacciato, calpestato e, di fatto, consegnato all’oblio.

I cittadini protestano contro l’ingiustizia che permea la società russa, l’illegalità, la violazione, da parte del potere, dei diritti e delle elementari norme morali. Il potere, con i fermi di massa e l’uso della forza, continua la propria politica repressiva, basandosi sull’arbitrio di polizia e giudici.

Già da molto tempo, il potere ricorre a un ampio arsenale repressivo contro le forze patriottiche di sinistra, unica vera alternativa alla lotta tra due forze neoliberiste. Solo il KPRF e i suoi alleati propongono un programma per l’uscita del Paese dalla crisi, con la nazionalizzazione e la gestione pianificata dell’economia, la liquidazione dei vertici oligarchici in quanto classe, la costruzione di una nuova società di giustizia sociale.

A questa alternativa reale, il potere del capitale risponde con il blocco informativo del KPRF e le repressioni. Sono state intentate più di 700 (!) cause giudiziarie contro il candidato a Presidente per il KPRF, Pavel Grudinin e l’impresa alimentare da lui diretta, il “Sovkhoz Lenin”; cause penali nei confronti dell’ex deputato della Duma per il KPRF, Vladimir Bessonov, il consigliere della Duma di Mosca, Oleg Šeremet’ev, il capogruppo all’Assemblea legislativa della regione di Irkutsk, Andrej Levčenko, contro il coordinatore del “Fronte della sinistra”, Sergej Udal’tsov, contro il leader del Movimento per un nuovo socialismo, Nikolaj Platoškin.

E ancora: le quasi trentennali non-indagini sull’omicidio del deputato del KPRF Valentin Martem’janov e sulle cause della morte di Viktor Iljukhin; le circostanze del crudele pestaggio dello scrutatore di seggio per il KPRF, Ivan Egorov; e poi, la montatura della droga “trovata” a Sergej Reznikov, membro della commissione elettorale territoriale del KPRF, condannato per la sua attività politica.

Tutto questo e molti altri casi di repressione contro i patrioti di sinistra, mostrano la natura criminale-oligarchica e banditesca del capitalismo russo.

Disperdendo le manifestazioni di protesta, l’élite al potere cerca non solo di mostrare la propria forza a tutti i malcontenti, ma anche di seminare paura tra la gente, eliminandone la volontà di difendere i propri diritti, contro l’illegalità. I comunisti sono convinti che l’arbitrio che si manifesta oggi contro le dimostrazioni possa portare soltanto a un’escalation del malcontento sociale e del confronto civile.

Il Comitato cittadino di Mosca del KPRF condanna fermamente l’arbitrio poliziesco e l’illegalità perpetrate dal potere. Riteniamo categoricamente inammissibile ergere ogni sorta di ostacoli all’ammissione di avvocati e deputati al dipartimento di polizia, compresa l’adozione a questo scopo del piano “Fortezza”.

Condanniamo fermamente qualsiasi persecuzione per motivi politici. Chiediamo il rilascio delle centinaia di fermati e la cessazione delle cause amministrative e penali contro i semplici partecipanti alle manifestazioni. Chiediamo anche che vengano chiamati a rispondere quei funzionari delle forze dell’ordine che vengano riconosciuti responsabili di abuso di potere.

Al tempo stesso, i comunisti si rivolgono ai partecipanti alle azioni di protesta, con l’appello a non farsi irretire dai trucchi nel gioco dei due raggruppamenti neo-liberali, partecipando invece alle proteste di classe sotto le insegne rosse.

La prossima azione di protesta si svolgerà esattamente tra un mese, il 23 febbraio: invitiamo tutti coloro che non sono indifferenti, a unirsi alla lotta per cambiare il sistema, contro le repressioni politiche, per la vittoria sull’arbitrio degli oligarchi, per il socialismo!

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