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Spagna, “ballando incatenati”

“Sin embargo, como una consigna,

circula secretamente

de mano en mano, por todo el pueblo,

una rosa de papel.”

Vicent Andrés Estellés, “La rosa de papel”

Per descrivere la Spagna post-franchista potremmo prendere in prestito l’espressione che un intellettuale latino-americano ha usato per definire la tipologia di regime del Sud America successiva alle dittature del famigerato Plan Condor: democradura.

Che dire di uno Stato che dal 2004 ad oggi ha visto 122 condanne a pene carcerarie – secondo il conteggio fatto dal giornale Salto – pronunciate per “apologia del terrorismo” e almeno sei altre per ingiurie alla Corona, oltraggio alle istituzioni dello Stato o alla Chiesa.

Reati per i quali Pablo Hasel, attivista e rapper catalano, è stato condannato a nove mesi per i contenuti di alcuni suoi tweet e di alcune sue composizioni. È stato arrestato questo martedì dopo essersi barricato nell’Università della sua città a Leida.

Pene che una legge del 2015 sulla protezione della sicurezza dei cittadini – dal vago sapore orwelliano – ha allungato fino a 3 anni, senza che l’attuale esecutivo PSOE-Unidos Podemos, in carica da un anno, l’abbia modificata, nonostante le promesse.

Che sulla libertà d’espressione la Spagna si allinei al Marocco e alla Turchia l’hanno detto chiaro e tondo in un appello, scritto ad hoc per il caso di Pablo, fior fior di artisti ed intellettuali di fama internazionale, come Pedro Almodóvar, Javier Bardem, la cantante Ana Tijoux, o gli SKA-P, solo per fare alcuni nomi.

Questo appello, nonostante la notorietà dei firmatari, non sembra interessare i nostri media mainstream.

Questi circa duecento esponenti della cultura chiedono scarcerazione del rapper e la revisione della legge, scrivendo che: “se noi accettiamo l’incarcerazione di Pablo, non importa chi di noi potrà trovarsi in prigione domani”.

Proibito dissentire in Spagna, ed ancora di più è proibito mobilitarsi contro chi viene arrestato in base a queste leggi che limitano fortemente la libertà d’espressione, come sta avvenendo da tre notti a questa parte, prima in Catalogna poi in diverse città della Spagna, con feriti – anche gravi – e arresti.

Accanimento giudiziario da una parte e impunità dall’altra, in un sistema in cui la corruzione è stata un elemento strutturante i pilastri del potere iberico, dai partiti che hanno governato il Paese passando per una monarchia squalificata, indirettamente sostenuta anche da quella sorta di “marxisti borbonici” che in Italia si strappavano le vesti di fronte al pericolo dell’indipendenza catalana, appena qualche anno fa.

La rappresentazione plastica di questa logica di “due pesi, due misure” ce la danno due fatti: le scene dell’arresto di Pablo con un dispiegamento delle forze dell’ordine da Nemico Pubblico Numero Uno, e dall’altra – pochi giorni prima – una sfilata commemorativa di circa 300 persone a Madrid che, ostentando il saluto nazista, hanno reso omaggio alla División Azul, cioè quei militari spagnoli che hanno combattuto come volontari per il Terzo Reich hitleriano!

Una dinamica non dissimile da alcuni Paesi dell’Est dove l’anticomunismo è il collante ideologico di regimi che celebrano i collaborazionisti con il nazismo.

Ma questa è l’Unione Europea, che scopre i diritti umani quando gli serve per attaccare un proprio avversario, ma è prontissima a chiudere un occhio – e anche due –  sulle palesi violazioni praticate da un suo Paese membro.

Le mobilitazioni di questi giorni hanno aperto l’ennesima spaccatura nell’esecutivo spagnolo, tra socialisti e Unidos-Podemos, e hanno “surriscaldato” le trattative tra le formazioni indipendentiste per la formazione del governo della Comunità Autonoma, dopo le elezioni di domenica.

Il fuoco di fila della destra contro Unidos Podemos, per la sua estromissione dal governo, accomuna il Partido Popular e Ciudadanos, usciti con le ossa rotte dall’elezioni catalane – 9 seggi in tutto su 135 – e VOX, ringalluzzito dalla performance catalana con 11 deputati eletti, ormai da tempo force de frappe della mobilitazione reazionaria non solo anti-indipendentista, principale attore politico a destra.

Esponenti di spicco di Unidos-Podemos, come Pablo Echenique e Rafael Mayoral, hanno appoggiato le mobilitazioni e si sono rifiutati di unirsi al coro di condanna delle violenze da parte dei manifestanti, a differenza dei socialisti.

Albert Botran della CUP, nel suo intervento nel Parlamento spagnolo, era andato oltre introducendo la sua presa di parola con un brano musicale di Hasel suonato attraverso il suo mobile!

E proprio la CUP, giocandosi sin da subito il ruolo di ago della bilancia nella formazione di un governo indipendentista, ha posto come condizione un “cambio radicale di modello” nella gestone dell’’ordine pubblico.

Questo anche in considerazione del fatto che una giovane manifestante di 19 anni ha perso la vista ad un occhio a causa delle ferite riportate dall’uso di proiettili al FOAM lanciati dai mossos. Sostanza che ha sostituito i “proiettili di gomma”, dopo il caso di Ester Quintana, ma che non sembra essere meno letale.

Le elezioni catalane e le mobilitazioni per Pablo hanno aperto una doppia frattura in Spagna e mettono in luce non solo la fragilità dell’attuale coalizione governativa, ma i limiti strutturali di un assetto di potere che solo una “rottura” realmente democratica può radicalmente cambiare, traghettando il Paese fuori dall’alveo franchista, blindato dalla UE.

Il fallimento dell’operazione politica socialista in Catalogna, nonostante le promesse di spesa dei fondi europei, e la netta affermazione delle forze indipendentiste, sono un bel grattacapo non solo per l’establishment politico iberico, ma anche per gli eurocrati che speravano nell’ipotesi di far “voltare pagine” alla regione, come aveva dichiarato il capo-lista dei socialisti Illa.

Lo storico risultato indipendentista al di là della bassa affluenza al voto dovuta alle condizioni sanitarie va compreso appieno.

Scrive giustamente Andrea Quaranta:

«Per la prima volta i partiti indipendentisti superano il 50% dei voti, attestandosi al 51,14%. Un dato assai significativo ma non sorprendente: ci sono ben 800 comuni (su un totale di 933) nei quali gli indipendentisti superano il 50% ormai da tre elezioni consecutive (come nel caso di Girona, Olot, Banyoles e in numerosi centri minori).

Il voto indipendentista continua a crescere anche fuori dai propri feudi situati soprattutto nell’interno: la geografia del voto ci consegna la suggestiva immagine delle campagne che accerchiano la metropoli e il litorale. Il voto unionista si concentra infatti a Barcellona e nella cintura metropolitana, nel 2017 egemonizzato da Ciutadans, oggi rappresentato dal PSC, anche se ERC si affaccia anche qui a contendere con sempre maggior efficacia il primato ai fautori dell’unità dello stato».

Con il suo silenzio complice l’Unione Europea – come nell’autunno del 2017 – si sta alienando ulteriormente il consenso di quelle generazioni che stanno vivendo una situazione pandemica non-risolta (anche a causa delle riforme del sistema sanitario fortemente volute dalla UE) e una crisi sociale evidente, che le riforme preventive chieste da Bruxelles come contropartita per l’elargizione dei propri fondi (in sovvenzioni e prestiti) non faranno che peggiorare.

Con il suo coraggio e la sua ostinazione Pablo è divenuto il simbolo non solo di una cultura differente dai cortigiani di Corte (con il loro seguito di nani e ballerine), a cui siamo disgraziatamente abituati, ma di una generazione che non si piega alla fine della storia ed ha cominciato a far saltare la cappa della pacificazione sociale.

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