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Koufodinas continua la sua lotta, e con lui la gioventù greca

Putting my life on the line is not the only thing I can do, it’s the right thing

Bobby Sands

«Continuo!», questa è stata la reazione di Dimitris Koufodinas alla notizia – appresa dal figlio – del respingimento della richiesta di sospensione della pena da parte del Consiglio delle Camere Penali di Lamia.

Koufodinas ha 63 anni ed ha scontato più di 18 anni di prigione, prevalentemente nel famigerato carcere di Korydallos, dopo la sua condanna ad 11 ergastoli più 25 anni, per la sua attività nell’organizzazione rivoluzionaria 17 Novembre, un gruppo combattente attivo in Grecia dal 1975 al 2002.

È in sciopero della fame dall’8 gennaio e della sete dal 22 febbraio, per potere godere dei diritti teoricamente accessibili ad un qualsiasi  detenuto, ma cancellati – per così dire – a causa di una legge “ad personam” approvata lo scorso dicembre da un parlamento a maggioranza conservatrice (erede diretta del regime dei “colonnelli”).

Sebbene potesse usufruire di permessi fin dal 2010, ha ottenuto il primo solo nel 2017 e solo dopo quattro scioperi della fame.

Nel 2018, oltre a essere trasferito in un carcere agricolo, ha potuto godere di “permessi” della durata di 48 ore, come previsto dalla legislazione vigente.

Il 3 dicembre è stato però trasferito in un’ala isolata del carcere di massima sicurezza di Domokos, una sorta di “prigione nella prigione”, in una cella minuscola condivisa con altri due prigionieri, lontano dai suoi famigliari.

A Koufodinas negano di poter vivere ed allo stesso tempo vorrebbero impedirgli di morire.

Nella camera d’ospedale a Lamia, sotto alta sorveglianza poliziesca, gli era stata tolta la possibilità di incontrare i medici che aveva scelto dall’inizio del suo ricovero, che avrebbero dovuto quindi aspettare la prossima settimana per potergli fare visita. Oppure no, a seconda dell’arbitrio dei carcerieri.

E’ stato sottoposto a rianimazione forzata quado stava per morire, a causa di una «insufficienza renale acuta», secondo quanto riporta il bollettino medico, nonostante avesse espressamente richiesto che nessuna persona sarebbe dovuta intervenire in caso di degenerazione del già suo grave stato di salute.

Il bollettino medico specifica inoltre che il personale medico «di fronte al persistente rifiuto del paziente di alimentarsi e di ricevere dei liquidi, nel rispetto della legislazione in vigore ed eseguendo un ordinanza del procuratore, ha immediatamente preso le misure di rianimazione necessarie per sostenere le sue funzioni vitali».

Dopo è stato contattato dalle persone a lui più prossime, tra cui i medici che l’avevano seguito, che gli hanno consigliato di prendere almeno per la serata il siero d’idratazione.

Koufodinas ha accettato in via eccezionale, perché in attesa della decisione del Comitato Centrale dei Trasferimenti, che dovrebbe decidere se accogliere la richiesta iniziale di ritornare dal carcere di massima sicurezza di Domokos a quello ateniese di Korydallos, dove sono detenuti gli altri membri della 17 Novembre; ma in ogni caso non nel carcere rurale dove era stato trasferito durante il governo precedente.

È chiaro che se da un lato il governo non vuole concedere in alcun modo la sospensione della pena all’ex dirigente della 17 novembre – anche probabilmente per le pressioni di Usa e Gran Bretagna, il cui personale militare e diplomatico è stato a lungo bersaglio degli attacchi dell’“inafferrabile” 17 Novembre – dall’altro cerca di non macchiarsi dell’infamia della responsabilità della sua morte.

Allo stesso tempo, sebbene adducendo motivazioni sanitarie, l’esecutivo ha deciso in questi giorni il divieto di circolazione assoluto, perché non vuole che l’intervento delle forze dell’ordine nella repressione delle mobilitazioni e delle numerose “azioni dirette” notturne, provochi decessi tra i manifestanti.

Questo, naturalmente, non per qualche scrupolo morale, ma per puro calcolo politico, considerato l’alto numero di transfughi a sostegno dell’attuale maggioranza, provenienti dall’estrema destra che glorifica l’infame regime dittatoriale del Colonnelli che presero il potere con un colpo di Stato nel 1967.

L’UE è naturalmente silente, nei confronti di questo caso, e sembra accettare di buon grado questo smottamento politico neofascista verso i più tranquilli lidi del tradizionale partito conservatore, nonostante i fascisti non abbiano mai fatto almeno finta di rivedere le proprie posizioni.

È chiaro che l’azione e l’opzione politica del 17 Novembre – benché smantellata da quasi 20 anni! – sono ancora sale sulle ferite per una classe dirigente reazionaria, che prima ha cercato una via non traumatica alla “transizione democratica” (dopo la disfatta militare cipriota del 1974), identificando in un politico conservatore come Kostantinos Karamanlis – della stessa formazione dell’attuale premier –  il possibile asso nella manica per continuare a governare anche senza i colonnelli e risolvere l’impasse politico.

La transizione ha così perpetuato la sudditanza nei confronti degli Stati Uniti e dell’Alleanza Atlantica in generale, e poi dell’Unione Europea, svendendo con le privatizzazioni il patrimonio pubblico, consentendo un arricchimento attraverso la corruzione sistematica che ha riguardato anche i socialisti del Pasok, coinvolgendo l’esercito, la magistratura, gli organi di informazione e la casta medica.

Non a caso, queste figure sono state tutte obiettivo del gruppo combattente, che ha attivamente lottato contro l’aggressione NATO contro la Serbia come del resto gran parte del popolo greco.

Bisogna ricordare che in seguito alle proteste e agli attacchi subiti dagli interessi americani in Grecia, il Dipartimento di Stato Americano fu spinto a classificare la Grecia (paese membro della NATO) al secondo posto tra i paesi più pericolosi per gli americani, secondo solo alla Colombia.

A causa della cieca osservanza dettami liberisti provenienti dall’Unione Europea da parte due maggiori partiti d’allora (Pasok e Nea Demokratia) si è assistito al graduale smantellamento della struttura industriale del paese: il contributo dell’industria al PIL è caduto in poco più di quindici anni dal 25% al 12%. E gli ulteriori passaggi di integrazione alla UE – tra cui quelli effettuati dal governo di Syriza, che ha capitolato nel 2015 nonostante la vittoria al referendum – hanno completato l’opera di privatizzazione e di smantellamento del settore produttivo, oltre che di svuotamento della già limitata sovranità greca.

Mitsotakis teme che si possa riaprire quella frattura divenuta evidente nel 2008, con le rivolte successive alla morte di Alexis nel dicembre e i successivi movimenti – tra cui un importante numero di scioperi generali – che sembravano avere prodotto una rappresentanza politica in grado di portare avanti una politica di rottura con tutto il corso politico sviluppatosi con la fine della dittatura.

Una volontà di cambiamento radicale diventata egemone in quell’eccezionale mobilitazione popolare che portò la vittoria nel referendum del luglio 2015, nonostante una campagna mediatica di terrore e la chiusura dei bancomat per ordine della Bce guidata da Mario Draghi

E per sabato 6 marzo è stata convocata una prima giornata internazionale in solidarietà con Koufodinas e chi sta lottando al suo fianco in Grecia.

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