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Svolta radicale e “pubblica” per la sanità cinese

Della serie “ma come va in un’altra parte del mondo?”.

Qui stiamo assistendo alla disfatta completa del sistema sanitario, largamente privatizzato per consentire un business facile facile a gruppi imprenditoriali che hanno orrore del “rischio di impresa” (le “convenzioni” consentono profitti sicuri per ambulatori e cliniche private, mentre i tagli alla sanità pubblica rendono pressoché impossibile assicurare le stesse prestazioni nelle strutture pubbliche, per carenza di personale, chiusure, ecc).

Nel resto dell’Occidente neoliberista la situazione è identica, con variazioni ininfluenti sul “modello” unitario. Ovvio che una sanità privatizzata costa molto a chi è costretto a ricorrervi (diagnostica convenzionata a parte) e quindi incide in proporzione sulle scelte di spesa, ergo sui consumi e dunque anche sulla “crescita economica” complessiva.

In Cina sta avvenendo l’esatto opposto. Lentamente ma con un progetto decisamente chiaro.

Le prime misure sulla nuova sanità, sono state rese pubbliche ieri, mercoledì 7 aprile. Il Premier cinese Li Keqiang, durante il Consiglio di Stato, ha comunicato che verranno esentati completamente dalle spese mediche i malati cronici, mentre per le fasce protette, principalmente i lavoratori, ci sarà un rimborso del 50%.

La sanità in Cina è stata fin qui basata sulle assicurazioni e questi rimborsi incidevano pertanto sui costi fissi assicurativi dei cinesi residenti rurali e urbani (c’è da sempre un doppio standard, fin dai tempi di Mao).

Il punto di partenza era che non è possibile – e ancora adesso – edificare un sistema universale per 1,4 miliardi di persone. Dunque ci si basa sulle assicurazioni, che prevedono un certo costo fisso per tutti i lavoratori e pensionati. Ma sempre meno. Due settimane fa, per esempio, il governo ha varato la copertura assicurativa medica per 300 milioni di migranti interni che ne erano privi, coprendo così la quasi totalità di questa fascia di popolazione.

Le nuove misure tengono ancora conto dell’impossibilità di costruire un apparato mastodontico per tutto il continente cinese, e dunque il nuovo sistema sanitario si baserà sui rimborsi.

Qualcosa del genere, in misura inferiore, c’è in Italia con le prestazioni sanitarie Inail, che prevedono per gli infortunati esenzioni e rimborsi spese. Applicandolo in Cina sarà implementato un sistema di pagamenti enorme che solo l’innovazione tecnologica rende ora possibile.

Queste prime misure in tema sanità sono un altro tassello dell’edificazione del salario sociale di classe, al fine di diminuire il tasso di risparmio precauzionale (attualmente al 48% del reddito) e canalizzarlo verso i consumi. Il criterio è evidente: se si spende meno per le le cure mediche, ci sono più soldi per altro.

L’esenzione totale sarà soprattutto per gli anziani, spesso malati cronici, e ciò evidenzia la cura per questa categoria di persone, molto cinese. Ma anche per i disabili e i malati cronici in genere.

Un altro tassello della “Lunga Marcia della sanità” annunciato nel febbraio 2020, a seguito della pandemia a Wuhan, dal presidente Xi Jinping. Va ricordato che laggiù, grazie alle misure di lockdown severo ma localizzato, e quindi limitato al tempo necessario per testare tutta la popolazione delle aree focolaio, i morti registrati sono stati “solo” 4.841 su una popolazione di 1,4 miliardi.

E anche l’economia, com’è ovvio, ha subito molti meno danni, tanto che ora sta di nuovo marciando a doppia cifra.

Mentre ieri da noi sono morte 627 persone per Covid.

Forse qui si è dimenticato che il primo diritto umano è quello alla vita

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