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Il Perù alla vigilia delle elezioni generali nazionali

Crisi e cambiamenti nella politica peruviana del XXI secolo

Dopo vent’anni di conflitto armato interno e l’imposizione del modello neoliberale, il Perù ha iniziato il XXI secolo con un processo di transizione democratica che ha permesso di recuperare un certo ordine istituzionale, ma non ha smantellato la correlazione di forze consolidata durante la dittatura di Fujimori. Questo è stato espresso in tre modi. In primo luogo, con la Costituzione politica della dittatura, , associata al modello economico basato sull’esportazione primaria e le ricette del Consenso di Washington sono stati mantenuti, provocando cicli di lotte sul territorio e sui beni comuni.

In secondo luogo, la lotta contro la povertà si è strutturata attraverso l’applicazione di politiche sociali con un approccio mirato e la flessibilizzazione del lavoro.

Infine, il boom economico che si è sviluppando grazie all’aumento del prezzo internazionale delle materie prime, il principale motore della crescita economica, ha provacato livelli di disuguaglianza che rimangono tutt’ora alti.

Questo, insieme all’estensione della rete internet e all’espansione del consumo nella classe media, promuove un senso di connessione alla cultura globale e l’esercizio della cittadinanza attraverso il mercato.

Dopo diversi episodi di profondo sconvolgimento sociale, nel quinquennio 2016-2021 inizia un periodo di crisi di regime. L’inizio di questa crisi coincide con l’arrivo alla presidenza di Pedro Pablo Kuczynski (PPK), rappresentante della destra lobbysta, e con il suo controverso rapporto con la destra fujimorista, formalmente all’opposizione ma maggioranza al Congresso.

Questo periodo di confronto/scontro tra poteri istituzionali è stato parallelo alla fine della crescita economica dovuta alla caduta dei prezzi delle materie prime sul mercato internazionale, così come alla ripresa di un ciclo di lotte di natura democratica.

Il punto di rottura è arrivato nel 2017 con la grazia all’ex dittatore Alberto Fujimori concessa da Kuczynski, ovviamente negoziata con il partito Fuerza Popular presieduto dalla figlia Keiko, che ha portato a mobilitazioni in tutto il paese e le dimissioni presidenziali di PPK, ma soprattutto con la scoperta di impresisonanti casi di corruzione che hanno compromesso la classe imprenditoriale e politica alla guida del paese (Club delle costruzioni, White Collar Case, Odebrecht – capitolo Perù, tra gli altri).

Da lì si è assistito la dissoluzione del Congresso e all’indizione di elezioni congressuali complementari. Questo processo ha accelerato la rottura della correlazione di forze che è sopravvissuta alla dittatura di Fujimori e che fino ad allora aveva dato stabilità al modello neoliberale.

In questo contesto, la crisi pandemica ha approfondito la crisi del regime. Durante la prima metà del 2020, il governo di unità nazionale di Martin Vizcarra (vicepresidente del partito PPK, Peuranos Para el Kambio, il partito personale di Kuczynski che ricalcava nell’acronimo le iniziali del leader) ha applicato una severa quarantena per diversi mesi e ha raggiunto una certa efficacia e popolarità.

Tuttavia, lo stato neoliberale indebolito, nel mezzo di una crisi di sistema, è presto crollato nella seconda metà dell’anno. Questo ha provocato un numero drammatico di contagi e di morti, così come il collasso del sistema sanitario e l’impraticabilità delle quarantene in un paese dove più del 70% dei lavoratori sono autonomi senza diritti né protezione sociale.

Dopo un altro passaggio caratterizzato da turbolenze politiche, Vizcarra venne spodestato il 9 aprile 2020 e fu istituito un governo illegittimo, presieduto dall’allora deputato Manuel Merino, di Acción Popular, tradizionale partito centrista peruviano.

Questo ha innescato un ciclo di manifestazioni di massa in tutto il paese riuscendo a rovesciare il governo in soli cinque giorni. Il deputato Francisco Sagasti del Partito Morado (una sorta di Ciudadanos in versione peruviana) è stato eletto presidene, le mobilitazioni sono diminuite, ma le rivendicazioni che chiedevano un cambiamento della Costituzione politica e del modello economico sono rimaste nell’aria.

Continuità e cambiamento nelle elezioni generali del 2021

Il periodo di crisi di regime inaugurato nel 2016, e precipitato dalla pandemia e dalle sue dolorose conseguenze sanitarie ed economiche, è diventato un momento di indigenza e, con un altro ritmo, il fermento di una volontà popolare costituente.

Anche se c’erano già stati capitoli di indigenza durante gli ultimi due decenni, nella maggior parte dei casi si trattava di processi regionali o settoriali che non sono esplosi a livello nazionale e non sono riusciti a mettere in discussione la legittimità del modello in profondità. Unica eccezione le mobilitazioni a Bagua, nell’Amazzonia peruviana, in occasione dell’emanazione della Ley de la Selva, che sfociarono in un massacro che provocò 33 morti.

A livello generale, la crisi istituzionale della democrazia e dell’economia si è chiaramente articolata con le drammatiche condizioni quotidiane di milioni di peruviani di fronte alla pandemia, che hanno contribuito a esplicitare la natura nociva del neoliberismo. Tuttavia, la precedente frammentazione sociale e la dilagante precarietà materiale non hanno fornito le condizioni necessarie perché le proteste si coalizzassero in una piattaforma sociale con una vocazione al potere e, allo stesso tempo, nessun partito era abbastanza forte per guidare quel processo.

L’atto politico a cui abbiamo assistito in questi mesi si è caratterizzato da una violenta controffensiva dei settori conservatori e reazionari in campo culturale ed elettorale, preparando uno scenario pieno di progetti autoritari.

In questo contesto sono state indette le elezioni generali nazionali per il periodo 2021 – 2026, un processo che ha fatto emergere un confronto tra cambiamento e continuità del modello economico, e il suo supporto costituzionale, così come un confronto tra valori conservatori e progressisti.

In entrambi i campi di battaglia, il centro politico moderato si è ridotto e sono cresciute le posizioni sia dell’ultra-destra conservatrice , ovvero i nuovi “ceppi” del Fujimorismo come Fuerza Popular, partito politico già consolidato, e i più recenti Renovación Popular e Avanza País; sia della sinistra democratica, la cui opzione più valida è quella incarnata dalla coalizione Juntos por el Perú rappresenata da Veronika Mendoza, appoggiata da movimenti sociali e sindacati e oltrettutto ben posizionata nei sondaggi.

Tra i primi posti ci sono anche Acción Popular, un partito tradizionale del centro-destra, e Victoria Nacional, una novità dello stesso spettro politico, ma entrambi stanno registrando una perdita di consensi.

Si prevede quindi un Congresso molto frammentato con una maggioranza di destra, incline a replicare, come avvenuto di recente, gli scontri all’interno di una possibile maggioranza otra gli stessi rami del governo. Tutto questo corre in parallelo con un processo disordinato e inefficiente di vaccinazione contro il COVID 19, e tassi allarmanti di contagi e morti che mantengono lo scenario di emergenza.

Certamente, il momento destituente/costituente persiste, con speciale enfasi nelle aree meridionali e centrali del paese, ma a livello nazionale questo momento è stato temporaneamente incanalato attraverso il processo elettorale che, anche se non risolverà i problemi di fondo, può esercitare una svolta strategica nella gestione dello Stato per affrontare la crisi attuale e canalizzare il momento destituente/costituente. Secondo i risultati elettorali, potremmo tentare tre possibili vie d’uscita.

In primo luogo, una soluzione “catastrofica” che cerca di ossigenare il modello neoliberale attraverso l’espansione moderata di politiche tecnocratiche incentrate sulla redistribuzione, garantendo che qualcosa cambi affinché tutto rimanga uguale.

In secondo luogo, un’uscita autoritaria che controlla i danni e salva gli interessi delle classi dominanti a costo del collasso economico e dell’indebolimento dei diritti sociali delle maggioranze, affermando la sua legittimità nell’attuale clima conservatore che richiede il “pugno di ferro”.

Infine, una soluzione democratica e popolare incentrata sulla costruzione di un patto nazionale per il diritto universale alla salute, alla protezione sociale e alla ripresa economica con l’accento sulle classi produttrici e il mercato interno.

I risultati di queste elezioni avranno un impatto politico decisivo per affermare o negare il lungo cammino verso la ripresa nazionale, casualmente nell’anno in cui si commemora il bicentenario dell’indipendenza. Al di là dei risultati elettorali, l’avanzata di una volontà popolare costituente negli ultimi due decenni è la principale garanzia di speranza per il tempo a venire.

*sociologo, attivista sociale e artista visuale

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