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Fuori controllo

In questi giorni sentiamo ripetere da varie fonti ufficiali (Micheli del Ministero della Sanità) che la situazione in regioni come Lombardia, Campania e Lazio è ormai “fuori controllo”.

Il presidente del Comitato Tecnico Scientifico, prof. Miozzo, ammette che “quando vedo le immagini di persone 8-10 ore in coda al drive-in per fare il tampone ho la sensazione che la risposta alla domanda sia drammaticamente negativa. Non abbiamo fatto tutto quello che avremmo dovuto fare. Non possiamo più perdere tempo, stiamo entrando in una fase estremamente critica”.

Da giorni la Fondazione Gimbe, che elabora su numeri e modelli matematici, ci segnala che i contagi e i decessi da Covid 19 sono raddoppiati nella settimana dal 14 al 20 ottobre, che i ricoveri in terapia intensiva sono a +69% e i ricoveri con sintomi a +66%. Il rapporto positivi/casi testati è passato dal 7% al 10,9%.

Non solo. Secondo queste elaborazioni, l’argine del tracciamento del virus è saltato e i provvedimenti presi nei due Dpcm del Governo prima e dalle Regioni dopo sono insufficienti e tardivi rispetto al trend di crescita della curva epidemica. Secondo la Fondazione Gimbe servono immediatamente misure di contenimento più rigorose nelle aree a maggior diffusione del contagio, per evitare un nuovo lockdown generalizzato.

E’ questo il tormentone che sentiamo ripetere continuamente, ed a questo punto colpevolmente. “Bisogna fare di tutto per evitare un nuovo lockdown”, diventato una sorta di incubo e di parola sbagliata, soprattutto per la Confindustria e i membri più compromessi del “Partito Trasversale del Pil”, che hanno più a cuore il fatturato che la salute pubblica.

Costoro preferiscono continuare a ricorrere a palliativi – con aspetti anche odiosi, come il coprifuoco nelle ore serali e notturne – pur di mantenere gli assembramenti su mezzi pubblici e luoghi di lavoro, continuando a negare il peso che hanno questi fattori sulla diffusione del virus.

Il risultato di questa “strategia” è, appunto, che la situazione è andata fuori controllo, perché si è intervenuti solo su alcuni fattori – spesso marginali – e non su tutti.

Eppure, in altra parte del giornale, abbiamo pubblicato una analisi del Fondo Monetario Internazionale che  dice – sull’impatto dei lockdown sulla ripresa economica – cose ben diverse da quelle che sentiamo starnazzare in ogni telegiornale.

Quei feroci cani da guardia del neoliberismo, infatti, arrivando a sostenere che dei “lockdown ben gestiti e programmati” sono condizione indispensabile proprio per essere pronti al meglio a cogliere la ripresa dell’economia nella fase postpandemica. Spiegano che il “capitale umano” è il fattore fondamentale. Marx direbbe che è l’unico fattore a poter generare plusvalore, o “valore aggiunto”…

I paesi che hanno adottato questa linea – Cina su tutti – sembrano quelli meglio preparati a misurarsi con la ripresa. Anzi, stanno crescendo già ora, mentre qui si oscilla tra chiusure e panico.

Alcuni lettori ci rimproverano, a volte, dicendo: parlate bene e criticate sempre, ma voi cosa avreste fatto e cosa fareste in questa situazione?

Una attenta lettura degli articoli che abbiamo pubblicato nei primi mesi della pandemia permette di notare come alcune indicazioni le avevamo già messe nere su bianco: fare subito la zona rossa solo in Lombardia e nelle aree più colpite del nord; ricorrere massicciamente ai tamponi sulla popolazione per tracciare lo stato effettivo della diffusione del virus – come spesso hanno ripetuto gli scienziati più assennati, come Crisanti e Galli; organizzare le risorse economiche per sostenere lavoratori e operatori danneggiati dal blocco delle attività; non cedere all’arroganza criminale di Assolombarda prima e Confindustria poi (con Carlo Bonomi passato da una presidenza all’altra…).

Ma questo è il passato. Adesso siamo in una situazione estremamente critica – fuori controllo appunto – e sulla quale pesa maledettamente il tempo perso non utilizzando i mesi di “tregua” della pandemia per agire in profondità sulla sanità territoriale, il tracciamento di massa tramite i tamponi, la pianificazione dei trasporti pubblici e degli orari delle attività.

Nella discussione pubblica, nella politica e nella interlocuzione con le forze sociali, ancora una volta si è dato più ascolto a Confindustria che agli allarmi che arrivavano dai territori e dalle strutture sanitarie.

Che fare dunque in una situazione nuovamente di emergenza e sotto certi aspetti più carogna di quella di marzo/aprile?

  • Preparare la logistica necessaria (anche requisendo il materiale indispensabile) per sottoporre a test affidabili tutta la popolazione di questo paese (tamponi, reagenti, macchine personale medico, infermieristico e tecnici di laboratorio);
  • Programmare un periodo, il più breve possibile, di lockdown totale (dipendente dalla preparazione precedente) e procedere ai tamponi di massa;
  • rafforzare le strutture della sanità territoriale (dalle Usca agli ambu-Covid, all’aumento dei medici di famiglia). E questo significava prima e significa ancor di più adesso assunzioni di personale, medico e infermieristico; ma anche precettare per il periodo necessario il personale medico della sanità privata (“ognuno deve fare la sua parte”, no?);
  • subito dopo la fase di test, i contagiati vengono messi in quarantena, com’è ovvio, e si predispongono controlli scientifici seri su ingressi e uscite dalle frontiere; tutto il resto della popolazione riprende a vivere e lavorare e divertirsi con un briciolo di attenzione, ma abbastanza liberamente;
  • sulla base dei dati e delle esperienze accumulate nel precedente lockdown, stanziare le risorse (anche a deficit) per consentire rapidamente a lavoratori e operatori di resistere nei periodi di chiusura.

E’ fantapolitica? No è realismo, perché se la situazione è fuori controllo continuare a mettere le pezze rischia seriamente di ipotecare il futuro.

 

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