Ad alcuni mesi di distanza dalle elezioni presidenziali e dalla sconfitta di Donald Trump, le ultime settimane hanno visto l’amministrazione Biden compiere le prime mosse di politica estera in una fase particolarmente complessa per gli equilibri globali.
A ridosso dell’imminente conclusione dei lavori per il raddoppio del gasdotto North Stream, il mondo ‒ ed in particolare l’Europa ‒ si trova a fare i conti con una nuova ondata di tensione tra Washington e Mosca: una tensione riverberatasi nelle principali aree di frizione tra le due potenze, come l’Artico, il Baltico, il Mar Nero ed il Mediterraneo.
I contrasti preesistenti si sono acuiti a ridosso delle colossali esercitazioni NATO Defender Europe 2021 ed in relazione alle manovre svolte specularmente dalla Federazione Russa a ridosso delle proprie frontiere occidentali: tuttavia, la ragione fondamentale all’origine della nuova ondata di tensioni è da rintracciare in ciò che implica il progetto North Stream 2, pressoché ultimato e prossimo all’operatività.
Del resto, il North Stream 2 finirà almeno in parte per aggirare lo sbarramento sostenuto dagli Stati Uniti ‒ tra l’area baltica, la Polonia e l’Ucraina ‒ con l’obiettivo di complicare il transito di gas russo verso l’Europa.
Con un conflitto congelato in seno ai suoi confini che si protrae da sette anni ed una situazione interna assai instabile, l’Ucraina è l’area dove nei giorni scorsi si sono registrate le tensioni più pericolose. A ciò si aggiungono le notizie sull’aggravamento delle condizioni mediche di Alexei Navalny, che fanno da cornice alle nuove accuse reciproche tra Washington e Mosca, con espulsioni di diplomatici, nuove sanzioni e venti di guerra. P
oche settimane dopo aver definito Vladimir Putin “un assassino”, Joe Biden ha proposto al presidente russo un incontro in un Paese terzo: al momento l’incontro tra i due presidenti sembra possibile ‒ ma non certo ‒ in Finlandia, forse a giugno.
Nonostante gli enormi movimenti di uomini e mezzi e le continue provocazioni, il rischio che la costante conflittualità ucraina degeneri in una guerra non controllabile viene minimizzato da un dato di fatto: quello per cui una “guerra totale” non converrebbe a nessuno. Né agli Stati Uniti, né alle principali potenze europee, né alla Russia e né tanto meno alla Cina, tutt’altro che estranea alle vicende ucraine e disinteressata alla stabilità delle rotte commerciali che attraversano il continente.
In Ucraina Washington non può rischiare uno “scenario georgiano”: nel caso di un conflitto su larga scala tra le forze armate ucraine e le forze regolari russe, l’Ucraina rischierebbe di perdere gran parte del proprio attuale territorio, determinando una perdita di posizione degli Stati Uniti.
Come ha sottolineato anche l’ex presidente ucraino Leonid Kravčuk, è da escludere che gli Stati Uniti possano decidere di intervenire direttamente in conflitto diretto con la Federazione Russa: senza il sostegno di Washington anche gli altri Paesi disposti a sostenere militarmente l’Ucraina – come la Gran Bretagna, la Turchia, la Polonia, i baltici – potrebbero scoprirsi meno risoluti del previsto.
Alle persistenti pressioni americane anti-North Stream 2 ha fatto seguito negli ultimi giorni la netta presa di posizione del ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas: «La posizione del governo tedesco è sempre stata chiara […] Sono scettico che bloccare il progetto North Stream 2 porterebbe ad un abbassamento della tensione da parte di Mosca: bloccarlo potrebbe infatti avere l’effetto opposto».
Numerosi sono i “bluff” che in sette lunghi anni di conflitto hanno accompagnato la guerra d’Ucraina: il primo quello di aver convenuto su una pace mai arrivata davvero nelle trincee del Donbass, dove sono morte oltre 13.000 persone tra civili e combattenti. Il secondo, quello per cui le principali parti in gioco ‒ Washington e Mosca ‒ sarebbero disposte, o addirittura interessate alla guerra totale.
Il terzo, che riguarda la Vecchia Europa, quello di aver deliberatamente ignorato le ragioni profonde del conflitto e l’esasperazione ideologica che ha diviso la società ucraina polarizzandola come mai era avvenuto sin dai tempi dell’operazione Barbarossa.
Paventare l’adesione dell’Ucraina nell’Alleanza atlantica – a cui, da statuto, un Paese attivamente in guerra non potrebbe aderire ‒ significa sostanzialmente pregiudicare qualsiasi possibile riconciliazione in seno alla società ucraina e ogni accordo reale e duraturo con la Federazione Russa.
Dalla logica della tensione permanente ‒ in chiave antirussa ‒ la Vecchia Europa sembra non voler emanciparsi: questa logica, con la spinta di Washington, ha permesso di rinnovare sanzioni da e verso Mosca, di rallentare i lavori per il raddoppio del North Stream minacciando e sanzionando tutte le società coinvolte, di limitare la diffusione del vaccino Sputnik in seno all’Unione Europea.
Mantenere il conflitto ucraino aperto significa dare seguito alla logica della tensione permanente, poco compatibile con qualsivoglia dialogo politico: quel che sembra probabile è dunque un proseguimento dello status quo trascinatosi negli ultimi anni tra stalli e periodici picchi di tensione Quel che resta comunque possibile è uno scenario di gran lunga peggiore.
* da Treccani Magazine
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