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La “Tav baltica” per i bisogni della NATO

La Commissione Europea non finanzia solamente progetti di ristrutturazione ferroviaria dalla Francia fino a Kiev, come dettagliatamente illustrato su questo giornale. Ma, con l’obiettivo di «improve military mobility within the EU» e renderla «dual-use compatible, meeting both civilian and military needs», va anche oltre, per coprire le reti ferroviarie di quei Paesi che, a differenza dell’Ucraina golpista, membri della NATO lo sono già dal 2004.

È così che, piano piano (il disegno è in discussione: nel senso che i Paesi interessati stanno litigando su di esso) va avanti il progetto di “Rail Baltica”, per adeguare il vecchio scartamento sovietico (1,520 m) dei Paesi baltici – che copre tuttora gran parte della rete ferroviaria a est della Polonia – allo scartamento europeo (1,435 m) e ovviare così alle soste cui i convogli sono costretti per il cambio degli assi.

Grandi lavori sono da tempo iniziati nell’area della stazione centrale di Riga, scrive Jurij Alekseev su Vzgljad.ru: il progetto «per collegare per ferrovia le capitali delle “tigri baltiche” – Estonia, Lettonia e Lituania – con l’Europa, passando per Varsavia, è nato all’alba del XXI secolo, ancor prima che questi grandi stati aderissero all’Unione Europea».

Così, vent’anni fa, si cominciò a parlare di un “hyperloop” lungo il mar Baltico, che portasse i convogli a 300 all’ora da Tallinn a Riga, a Vilnius, Varsavia e poi fino a Berlino, Parigi, Londra, Roma… L’Unione europea non stette a pensarci tanto: «Disegnate il progetto, assegneremo fondi per l’85% e il resto lo aggiungete voi».

Ma non è stato così semplice: il disegno è andato avanti per quasi 15 anni. Infatti, scrive Alekseev, per tutto questo tempo, «i focosi fratelli estoni, lettoni e lituani» non hanno fatto altro che litigare. Al pari di estoni e lettoni, anche i lituani volevano che la “Rail Baltica” passasse per la loro capitale, mentre lettoni e estoni puntavano su Kaunas, per evitare una deviazione di 150 km verso Vilnius. Il compromesso è stato trovato, inserendo nel percorso una diramazione da Kaunas a Vilnius.

Ma non è finita. Due anni fa, la Corte dei conti UE ha «scoperto frodi evidenti nella parte finanziaria del progetto, il cui budget è passato da 2,7 a 5,8 miliardi di euro e, secondo le previsioni, raddoppierà ancora»: è forse una novità?

Non basta: nella cifra non era stato inserito il costo del materiale rotabile. Inoltre, i famosi 300 km all’ora non tenevano conto dei burroni baltici, così che la velocità è stata ridotta a 250, poi a 160 e, in alcuni tratti, a 120 km/h: come andare in auto.

Ovviamente, chi se ne frega: la “Rail Baltica” non è mica per i passeggeri. Alekssev ha fatto due conti: prima della pandemia, tra Tallin e Vilnius, via Riga, transitavano in media 20 autobus interurbani, con circa 30-35 passeggeri l’uno; in pratica, 700 persone, tante quante due treni normali, uno al mattino e uno alla sera. E nemmeno il traffico di auto private è così elevato, tranne forse che «il venerdì sera, in particolare tra Estonia e Lettonia. Il segreto è che in Lettonia le accise sull’alcol sono notevolmente inferiori rispetto all’Estonia. E, proprio al confine, i lettoni hanno costruito un enorme spaccio di alcolici».

Ma, a parte i pochi passeggeri, gli scarsi turisti, c’è forse un «enorme giro di affari tra i Paesi baltici, con milioni di tonnellate di carico da lanciare a folle velocità sulla nuova ferrovia? No. In questi paesi salvati da Dio, non ci sono praticamente industrie o risorse naturali. Da tempo immemorabile, tutti i carichi di notevole importanza per i porti di Tallinn, Riga, Klaipeda, provenivano dalla Russia. E ora sono quasi ridotti a zero».

Ormai da alcuni anni, ad esempio, le esportazioni lituane di frutta e verdura in Russia rappresentano appena il 2,70% dell’export totale del paese e anche l’acquisto da parte russa del 46,3% della produzione industriale lituana è poca cosa, considerato il piccolo volume di tale produzione.

In tutte e tre le repubbliche, la produzione nazionale del periodo post-sovietico è infima e si sono ridotti di un terzo (e in alcuni casi scomparsi) gli scambi con la Russia che, in periodo sovietico, assicuravano la maggior parte degli introiti di transito, ad esempio, di tutti maggiori porti baltici, da Riga a Klajpeda, Tallin, Ventspils, Liepāja, solo in minima parte sostituiti dalle importazioni da Germania, Svezia, USA. I trasporti merci ferroviari, poi, sono diminuiti di circa cinque volte rispetto al periodo sovietico.

Oggi, il PIL lituano è di circa 55 miliardi di dollari, con una incidenza del 30% del settore industriale e del 67% per i servizi. È di 31 miliardi per l’Estonia, con incidenze più o meno simili; di 34 mld per la Lettonia, con il 22% al settore industriale e il 73% ai servizi. Dunque. A che serve questa “alta velocità” baltica?

Come mai, si domanda Alekseev, la UE «finanzia una linea ferroviaria ad alta velocità con scartamento “europeo” nelle sue province baltiche in via di estinzione? Ho solo una risposta a questa domanda. Un binario ferroviario europeo unico, da Varsavia a Tallinn, serve solo per il rapido trasferimento di mezzi militari pesanti e truppe NATO lungo il confine russo. Nella terminologia militare, tali percorsi ferroviari si chiamano rocade chemin de fer »; in italiano: passante ferroviario, lungo la linea del fronte.

Proprio per questo, già 3-4 anni fa, gli esperti della NATO avevano effettuato un sopralluogo sulle autostrade baltiche, concludendone che carreggiata e capacità di carico dei ponti non consentirebbero il trasporto dei carri armati “Abrams” su rimorchi affidabili e veloci.

Dalla valutazione generale dello stato di ferrovie e ponti del cosiddetto “Corridoio viario delle aree del Baltico e del Nord” (Paesi baltici, Olanda, Germania, Polonia, Finlandia, Belgio) era risultato che moltissimi tipi dei moderni mezzi militari NATO, per massa e ingombro, non possono transitare alla dovuta velocità sulla rete viaria e ferroviaria di tali paesi.

Così, l’Alleanza atlantica aveva posto all’ordine del giorno l’adeguamento delle infrastrutture viarie ai propri mezzi militari. Pare infatti che, all’epoca del Patto di Varsavia, nei Paesi dell’Europa dell’Est, i ponti venissero costruiti per reggere a un peso non superiore alle 55 tonnellate, giusto quanto basta per carri T-72, T-80, T-90 e Armada, ma insufficienti, secondo Breaking Defense, a reggere le 60 tonnellate di Abrams M-1, Leopard II, Changeller II, e anche dei leggeri Leclerc.

Proprio da allora, il progetto della linea ferroviaria “Rail Baltica” a scartamento europeo ha ripreso impeto.

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