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Palestina. Da giovedi il cessate il fuoco? Scontri in tutta la Cisgiordania

Anche questa mattina sono proseguiti i raid israeliani su Gaza, concentrati a soprattutto a Khan Yunis e Rafah nel sud della Striscia. Le sirene di allarme sono scattate questa mattina anche in alcune basi militari dell’Aeronautica israeliana. Secondo un comunicato di Hamas, le basi prese di mira sono quelle di Hatzor, Hatzerim, Nevatim, Tel Nof, Palmachim e Ramon.

Oggi la Francia, in coordinamento con Egitto e Giordania, ha presentato una proposta di risoluzione per il cessate il fuoco al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Secondo il quotidiano israeliano Haaretz un cessate il fuoco tra Israele e le organizzazioni palestinesi potrebbe entrare in vigore a partire da giovedì 20 maggio. “Haaretz”, che cita un alto funzionario del governo israeliano. “Non c’è un risultato decisivo e non ce ne sarà uno – ha spiegato la fonte – siamo tutti stanchi”.

Altri media israeliani riferiscono che un cessate il fuoco è effettivamente previsto entro 2-3 giorni, dal momento che entrambe le parti hanno raggiunto i loro principali obiettivi nel conflitto in corso. Gran parte dei media concordano sul fatto che sia stato l’Egitto a proporre una tregua a partire da giovedì alle 6 del mattino e che Hamas avrebbe accettato l’offerta.

La riunione di ieri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sulla situazione a Gaza – la quarta in nove giorni – si è conclusa nuovamente con un nulla di fatto. Nella riunione di domenica gli Stati Uniti hanno bloccato per l’ennesima volta una dichiarazione congiunta volta a chiedere un cessate il fuoco. Durante la riunione a porte chiuse, l’ambasciatrice statunitense all’Onu, Linda Thomas-Greenfield, ha difeso la posizione Usa sostenendo che una dichiarazione congiunta del Consiglio di Sicurezza non avrebbe aiutato ad allentare la tensione sul campo e che la convocazione stessa del Consiglio sarebbe un’iniziativa sufficiente ad assicurare l’interessamento della comunità internazionale. Una posizione ufficiale indecente oltre ogni limite, anche se si ha l’impressione che sia una cortina di fumo verso un “cambiamento di linguaggio” della nuova amministrazione Usa verso Israele e i palestinesi.

Intanto le autorità palestinesi hanno reso noto un primo bilancio dei bombardamenti israeliani  sulla Striscia di Gaza. Sono 1615 i missili israeliani lanciati  dagli F16 ed altri via terra, mare e cielo sulla popolazione palestinese, provocando 213 morti, tra i quali, 61 bambini e 36 donne. I feriti sono 1424. Sono 840 i palazzi completamente distrutti e 10.160 quelli parzialmente distrutti. Tra questi sono 62 i palazzi e le sedi governative e 57 le scuole e gli ambulatori completamente distrutti.

Ieri lo sciopero generale

Lo sciopero generale di ieri ha investito sia la Cisgiordania, compresa Gerusalemme, sia i Territori palestinesi occupati del 1948 da Israele, ma anche i campi profughi in Libano e le alture del Golan occupate. Lo sciopero ha riguardato tutti gli aspetti della vita commerciale ed educativa, comprese le forze e le istituzioni ufficiali e civili, i sindacati, le banche e le aziende del settore privato, nonché i trasporti pubblici.

Durante lo sciopero ci sono state manifestazioni in Cisgiordania e nei Territori occupati del 1948. A Ramallah, migliaia di cittadini hanno partecipato a una manifestazione, innalzato bandiere palestinesi e cantato slogan per denunciare l’aggressione e i crimini dell’occupazione israeliana. La manifestazione si è svolta per le strade della città e si è conclusa all’ingresso nord di al-Bireh, dove sono scoppiati scontri con le forze di occupazione israeliane (IOF) di stanza al checkpoint militare di Beit El. I soldati hanno sparato lacrimogeni e un certo numero di palestinesi ha avuto problemi respiratori. A Qalqilya, un testimone ha riferito che i militari israeliani hanno soppresso un corteo pacifico sulla strada tra i villaggi di Funduq e Hajjah, a est di Qalqilya.

Scontri in tutta la Cisgiordania

Nella notte tra lunedì e l’alba di martedì ci sono stati duri scontri tra i palestinesi e le forze militari israeliane in varie zone della Cisgiordania e di Gerusalemme. A Ramallah, i militari hanno invaso il villaggio di Ein Qinya e sono scoppiati scontri. Due giovani sono stati feriti con munizioni letali – uno al petto e l’altro al piede – e sono stati portati in ospedale.

A Salfit, gli abitanti del villaggio di Broqin hanno risposto all’incursione di decine di coloni, sotto la protezione delle truppe israeliane, e sono scoppiati duri scontri. Anche a Tulkarem, i giovani palestinesisi sono scontrati con i soldati israeliani nelle vicinanze delle fabbriche chimiche della colonia di Gishuri, ad ovest della città. A Jenin, diversi cortei sono partiti nella cittadina di Burqin, verso il checkpoint di Jalameh, nel villaggio di Raba e nella cittadina di Fahma, condannando i massacri israeliani e sostenendo le persone nella Striscia di Gaza e a Gerusalemme. A Fahma i palestinesi hanno organizzato una marcia per protestare contro l’omicidio di Yusef Nawasrah, ucciso pochi giorni fa durante gli scontri vicino al checkpoint di Dotan.

A Hebron, sono scoppiati scontri tra i giovani e i militari israeliani durante le manifestazioni nel centro della città e all’ingresso di Idna, Tarqumiya, Beit Kahil, Beit Ummar e Halhoul Bridge, a sostegno di al-Aqsa e Gaza e della sua resistenza. Tre civili sono stati colpiti con munizioni letali, mentre altri hanno riportato difficoltà respiratorie. A Betlemme, i militari israeliani hanno fatto irruzione nel villaggio di Harmala e hanno avvertito i suoi abitanti che ci sarebbero state ritorsioni se i giovani locali avessero lanciato pietre contro le auto dei coloni.

Nella Gerusalemme occupata, secondo testimoni oculari gli scontri sono scoppiati nei quartieri di Ras al-Amoud, al-Thawri e Ain al-Luza, vicino alla cittadina di Silwan, e nelle cittadine di al-Tur, al-Issawiya e Hazmah e vicino al posto di blocco militare di Qalandia, dopo la sua chiusura ai veicoli dei cittadini.La polizia israeliana ha invaso il campo profughi di Shu’fat, ha sparato lacrimogeni e ha aggredito i giovani locali durante la chiusura delle strade, in preparazione alla chiusura completa del campo profughi.

 

 

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