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Perù. Una vittoria meritata e sofferta, ma soffia aria di golpe

Con il 99% delle schede scrutinate è ormai certa la vittoria di Pedro Castillo nel paese andino. Il maestro della sierra è in testa sulla figlia dell’ex dittatore con uno scarto di voti secondo i dati dell’ONPE.

Lo scarto ridotto non è una novità in Perù. Nelle elezioni presidenziali del 2016 il candidato ultraliberista Pedro Pablo Kuczynski riuscì a spuntarla sulla Fujimori con una differenza del 0,2 %.

La grande novità di queste elezioni presidenziali si è espressa nella radicale polarizzazione programmatica, sociale e geografica.

Keiko Fujimori, dopo il magro risultato ottenuto al primo turno (un misero 13%), è riuscita a riguadagnare la posizione di unica rappresentante di quell’oligarchia economica uscita con le ossa rotte dalla crisi della scorsa primavera, in cui imponenti mobilitazioni sociali fecero saltare il tentativo di mettere Merino a capo del governo.

A sostenere la sua campagna elettorale sono intervenuti le grandi compagnie assicurative pensionistiche e sanitarie, le holding della sanità privata e tutta la grande imprenditoria, ovvero il blocco sociale disposto a tutto per conservare lo status quo nonostante il suo palese fallimento.

Con la pandemia ancora in corso il Perù ha registrato a tutt’oggi 187.000 decessi su una popolazione di 32 milioni di abitanti.

La “Signora K” è riuscita a far breccia nelle classi alte e medie di Lima, dove risiede quasi 1/3 della popolazione peruviana.

È riuscita a far incetta di voti con una campagna elettorale aggressiva, ideologica e razzista in cui l’elemento centrale è stato il “terruquear”, ossia chiamare “terrorista” chiunque sia di sinistra o più semplicemente metta in discussione il sistema economico.

Gli immensi quanto costosi cartelloni pubblicitari comparsi nelle arterie principali di Lima che annunciavano l’imminente “pericolo comunista” stanno ancora lì a documentare la sua pacchiana e folkloristica strategia comunicativa.

Il tradizionale e ancora ben radicato razzismo dei limeñi contro “serranos” e “cholos” del Perù profondo ha giocato anch’esso un ruolo non secondario. Ma c’è anche da sottolineare che nei contesti dove non era possibile attaccare Castillo “da destra”, i social manager di Fujimori non si sono fatti scrupoli ad attaccarlo “da sinistra”: è stato presentato, a torto, come omofobo, antiabortista e difensore del primato della famiglia tradizionale per renderlo indigesto presso gli ambienti progressisti.

Alcuni ci sono anche cascati. Persino in Italia, come si è visto da certi commenti social…

Tutto questo immane sforzo propagandistico e organizzativo, reso possibile da ingenti investimenti economici, non è stato però risolutivo. La “Signora K” non ha convinto, e questo dovrebbe far riflettere anche chi, in queste latitudini, ritiene che in consenso si raggiunga solo attraverso il controllo dei media tradizionali o di nuova generazione.

Se l’elemento ricorrente della campagna elettorale di Keiko Fujimori è stato il terrore, quello di Pedro Castillo è stata la speranza. Non una speranza astratta, ma ben fondata nella realtà materiale peruviana.

Mai più poveri in un paese ricco!” è stato lo slogan che ha contraddistinto la sua escalation elettorale. Uno slogan che rappresenta la contraddizione principale del Perù, un paese ricco di materie prime (rame, argento, zinco, oro), di altre importanti risorse naturali (idriche e agricole) e umane (una popolazione con anagrafica bassa), in cui più del 30% dei residenti è al di sotto della soglia di povertà, e dove lo Stato non esercita il controllo dovuto sull’economia.

In Perù abbondano le miniere illegali gestite dalla criminalità organizzata e il narcotraffico è in crescita esponenziale.

Il programma politico di Castillo è incentrato sulla necessità dell’intervento pubblico e sul superamento dei regimi di oligopolio che caratterizzano l’economia peruviana.

Alla radicalità dei contenuti Pedro Castillo ha saputo associare modi garbati e semplici, da umile e laborioso maestro di provincia che prima di andare a scuola va a curare il suo piccolo appezzamento agricolo.

Pressoché sconosciuto prima delle elezioni, deve il successo della sua scalata al capillare lavoro di contatto politico portato avanti dalle organizzazioni delle rondas campesinas e dal sindacato dei maestri SUTEP, di cui è stato importante dirigente.

Il suo profilo appare ancora ad oggi troppo conservatore per i ceti medi riflessivi limeñi, ma è necessario evidenziare che subito dopo il primo turno ha stretto un accordo politico con la coalizione di sinistra Juntos por el Perù di Veronika Mendoza, e ha aperto un dialogo con le associazioni femministe e lgbt+ in nome della comune lotta contro ogni forma di discriminazione.

Questa sintesi tra inclusività e prospettiva antisistemica si è rivelata vincente, di fronte all’immane campagna d’odio e di terrore mossa dalle oligarchie economiche, ma la battaglia è ben lungi dall’essersi conclusa.

Nel Congresso Castillo può contare solo sui 37 seggi di Perù Libre e, per ora, sugli altri 5 seggi di Juntos por el Perù. Sarà costretto a fare accordi con le forze moderate e trasformiste per approvare le leggi e tentare di abrogare la costituzione fujimorista. La strada è tutta in salita.

Non è da escludere un golpe parlamentare, non diverso da quello subito da Vizcarra in primavera, qualora Fuerza Popular, il partito della Fujimori, che controlla 24 seggi, riesca a ricompattare gli altri partiti di destra e di centro, come Alianza para el progresso (15 seggi), Renovacion Popular (13 seggi) Accion Popular (16 seggi).

Ricordiamo però che la mancata elezione a presidente di Keiko Fujimori ha sbloccato di fatto gli impedimenti per l’avvio del processo in cui è indiziata per corruzione, dove rischia una condanna a 30 anni.

Non sono da escludere altri due scenari: il golpe economico mediante il rialzo del dollaro, la fuga di capitali, il blocco delle importazioni e le serrate nelle fabbriche, modalità che abbiamo visto in atto in varie occasioni in Venezuela; e il golpe militare, anche se i militari non intervengono da anni nella politica peruviana, e nelle ultime ore ci sono state delle dichiarazioni da parte di membri dei massimi comandi che invitavano al rispetto del voto.

La sola carta che può giocarsi Castillo per rimanere in sella è quella della costante mobilitazione popolare. E di ciò ne è ben consapevole.

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