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Afghanistan, il caso dei soldati australiani “da processare per crimini di guerra”

Alcuni militari australiani di stanza in Afghanistan si sarebbero macchiati dell’omicidio di 39 civili, di torture e di altri crimini di guerra. “Processateli”, chiedono i Talebani. “Parole ripugnanti”, risponde il governo di Canberra. Ma c’è un inchiesta in corso, e 19 militari delle forze speciali australiane sono indagati.

“Abbiamo brutti ricordi dei militari australiani qui in Afghanistan”. Lo ha dichiarato alcuni giorni fa uno dei portavoce dei Talebani, Duhail Shaheen, spiegando anche il perché: «L’Australia ha partecipato all’occupazione e ha commesso alcune delle peggiori, brutali violazioni dei diritti umani, come l’amputazione delle dita da corpi morti e l’omicidio di contadini in Uruzgan e in altre province. Dovrebbero essere processati secondo la legge, la legge umanitaria. Perciò abbiamo brutti ricordi di loro». 

Ovviamente le parole del leader talebano hanno suscitato l’immediata reazione del governo australiano, in particolare della ministra degli esteri Marise Payne, che in un’intervista radiofonica ha definito «ripugnanti» le dichiarazioni del portavoce talebano.

«L’Australia in definitiva giudicherà i talebani sulle loro azioni, non solo sulle loro parole», ha aggiunto, riferendosi alle buone e pacifiche intenzioni dei nuovi padroni dell’Afghanistan. Ma sviando dal tema principale, e cioè le accuse di crimini di guerra commessi dai militari dell’Australian Defence Force. Accuse che, pare, non sono campate per aria: c’è una indagine in corso, e 19 appartenenti alle forze armate sono indagati.

Si tratta di una vicenda di cui si parla da qualche anno, e che è emersa in maniera chiara poco meno di un anno fa.

Alcuni militari australiani avrebbero ucciso 39 civili afghani tra il 2009 ed il 2013: lo affermano i risultati di un’inchiesta, durata quattro anni, in cui vengono presentate «prove credibili» delle violenze. 19 soldati  delle “Sas” australiane (Special Air Services) sono stati indagati per le uccisioni di «prigionieri e civili» descritte da testimonianze attendibili.

Durante l’inchiesta – per chiarire le dimensioni del caso – sono stati ascoltati più di 400 testimoni. Le indagini sono state condotte dal maggiore generale Paul Brereton, che dopo aver realizzato un dettagliato rapporto lo ha presentato ai vertici militari australiani.

Il 19 novembre dello scorso anno il generale Angus John Campbell, comandante in capo dell’ADF, durante una conferenza stampa a Canberra ha comunicato i risultati dell’inchiesta: i 39 omicidi sarebbero stati eseguiti in 23 distinti episodi, che avrebbero coinvolto in tutto 25 soldati. Uccisioni che non sarebbero avvenute durante battaglie e scontri, ma piuttosto innescate da brutali “rituali” delle truppe.

I militari più anziani avrebbero infatti costretto i più giovani ad uccidere i prigionieri per dimostrare di poter commettere il loro “primo omicidio”: si tratta di una pratica nota come “blooding“, una sorta di “prova del sangue”.  I crimini – come spesso accade in questi casi – sarebbero stati tenuti nascosti dai comandanti dei reparti “colpevoli” delle atrocità.

Ma le coperture sarebbero partite da molto più in alto: erano anni infatti che ong e giornalisti indipendenti rilanciavano queste accuse, che regolarmente non venivano recepite nè dai vertici militari nè dalla politica. Anzi, uno dei primi a denunciare i casi, l’avvocato (tra l’altro dell’esercito) David William McBride, è stato a sua volta denunciato per aver divulgato “segreti militari”.

Una prassi, che ha trovato la sua più nota e drammatica applicazione nella persecuzione che da anni sta subendo il giornalista ed attivista Julian Assange, attualmente detenuto in un carcere britannico nonostante l’Onu ed il Consiglio d’Europa abbiano dichiarato che non può essere detenuto né estradato negli Stati Uniti.

Assange aveva diffuso tramite WikiLeaks documenti statunitensi classificati, ricevuti dalla ex militare Chelsea Manning, riguardanti crimini di guerra commessi dai militari statunitensi sempre in Afghanistan.

Stessi reati, stesso metodo. Ma esiti diversi, forse: perché le accuse dell’avvocato McBride (e di tutti gli altri che le ribadivano) sono state prese sul serio, recepite dal maggiore generale Brereton e trasformate in una vera e propria inchiesta. Che ha svelato che si, i militari australiani in Afghanistan si sono macchiati di reati orribili: adolescenti sgozzati, un uomo a mani alzate utilizzato come bersaglio per un tiro a segno, prigionieri ammazzati come cani perché “non era possibile caricarli sugli elicotteri, non c’era posto”.

Omicidi atroci, azioni ignobili che rischiavano di finire impunite. “Erano assetati di sangue”, avrebbe dichiarato un militare nel corso della sua testimonianza: e quel che emerge dall’inchiesta andrebbe ad indicare una brutalità senza limiti. In seguito al botta e risposta tra il portavoce talebano e la ministra australiana la vicenda è tornata un minimo alla ribalta mediatica: vedremo se e quando arriveranno le condanne, e che tipo di condanne saranno.

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