Ennesima fiammata nel conflitto tra Armenia e Azerbajdžan. Ragione del “contendere”, come sempre, la questione del Nagorno-Karabakh, anche se gli scontri attuali non interessano direttamente il territorio di quest’ultimo. Le prime avvisaglie si erano già avute sabato 13 novembre.
Martedì la situazione si è fatta ancora più acuta, dopo che il 15 novembre il Primo ministro armeno, Nikol Pašinian, aveva parlato di attacchi azeri alla frontiera armena. L’accusa era stata respinta da Baku, che anzi aveva incolpato Erevan di aver bersagliato posizioni azere nelle aree di Kel’badžar e Lačin.
Nella stessa giornata di martedì, in un colloquio telefonico tra i Ministri della difesa armeno e russo, Suren Papikjan (ha sostituito Aršak Karapetjan, dimissionato lunedì dal Primo ministro) e Sergej Šojgu, il primo ha dichiarato che l’attacco azero costituisce una smaccata violazione della dichiarazione a tre del 9 novembre 2020.
Da parte sua, Šojgu ha detto che Mosca farà il possibile per la cessazione degli scontri, la restituzione dei prigionieri (secondo Erevan, 12 militari armeni sarebbero stati catturati dagli azeri) e sistemare la situazione.
Ancora solo a parole (perlomeno, al momento di scrivere) anche la richiesta di aiuto militare rivolta dall’Armenia alla Russia, in base all’accordo del 1997, aiuto previsto in caso di minaccia all’integrità territoriale e alla sovranità armene. Un eventuale passo di Mosca può ovviamente essere intrapreso solo dopo una relativa richiesta scritta da parte armena.
Il capo del Consiglio di sicurezza armeno, Armen Grigorjan, ha detto che se la situazione non potrà risolversi con trattative, allora Erevan chiederà a Mosca adeguate forniture militari, per risolvere la questione con le armi.
Il capo-redattore dell’agenzia filo-armena Realist, Sarkis Tsaturjan, scrive che «Se Aliev non fermerà presto le ostilità, porrà Putin di fronte a una scelta difficile. Il Cremlino non vuole categoricamente combattere contro il “minisultanato”, ma è improbabile che Putin intenda perdere definitivamente la faccia sulla scena mondiale, cedendo a Baku».
Ancora nel primo pomeriggio di martedì, la situazione continuava a essere tesa, con impiego di artiglierie e mezzi blindati. Entrambe le parti, parlano di “aggressione” nemica e informano di soldati uccisi e fatti prigionieri e mezzi militari distrutti. Da parte armena, si parla di dieci mezzi blindati azeri messi fuori combattimento.
L’area al centro degli scontri attuali corrisponde grosso modo alle zone tornate sotto controllo dall’Azerbajdžan (distretti di Kel’badžar, Lačin, Ağdam, in cui erano state dislocate forze di interposizione russe) con l’accordo seguito agli scontri dell’autunno passato e che a Erevan aveva anche provocato una crisi di governo.
Nuovi scontri si erano verificati ancora a fine luglio, ancora una volta con accuse reciproche di violazione del cessate il fuoco.
Con riferimento alle 17.30 (ora italiana) di martedì, RIA Novosti informava che il Segretariato del ODKB (Organizzazione per il trattato sulla sicurezza collettiva: ne fanno oggi parte Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakhstan, Kirgizija, Tadžikistan) non aveva ancora ricevuto nessuna richiesta ufficiale armena di aiuto in relazione alla nuova crisi.
Si attende una presa di posizione da parte della Turchia, tradizionale sponsor del “minisultano” Ilham Aliev.
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