Sul sito degli escursionisti Amud Anan ci viene detto che nel febbraio 2019 è stato istituito un luogo chiamato Zvi’s Farm (“Hahava shel Zvi”).
I palestinesi dei villaggi della zona, a nord-ovest di Ramallah, ricordano che già alla fine del 2018 i coloni hanno iniziato a spingerli fuori dalle loro terre.
Ha ricevuto un permesso per allevare bestiame per la carne kosher nel 2018 dal Gran Rabbinato di Israele, come rivelato da Kerem Navot, un’organizzazione della società civile che monitora e ricerca la politica israeliana di accaparramento delle terre in Cisgiordania.
Il sito web di Amud Anan continua a spiegare (in ebraico): “La fattoria ha una mandria di bovini da carne. L’obiettivo della fattoria è di preservare le terre di Neveh Tsuf (l’insediamento Halamish) e di riscattare la terra“.
La descrizione della fattoria termina con questa richiesta: “Saremmo lieti di ricevere aiuto da chiunque voglia aiutare nel ranch“.
Aiuto che ha da un’organizzazione chiamata Hashomer Yosh (La sentinella in Giudea e Samaria, dal nome dell’organizzazione armata sionista che operò dal 1909 al 1920), il cui scopo dichiarato è “aumentare la sicurezza personale ed economica e restituire l’orgoglio nazionale e la fede agli agricoltori e ai pastori” in Cisgiordania.
Aiuta molto anche il fatto che l’esercito, l’amministrazione civile e la polizia si rifiutino di far rispettare la legge e di eseguire ordini di demolizione contro la fattoria per la sua costruzione illegale.
Nei tre anni da quando la Fattoria di Zvi è venuta al mondo, lo stesso “miracolo” che si è verificato per tutte le altre fattorie e ranch ebrei violenti in Cisgiordania è accaduto anche qui: le autorità non hanno rimosso Zvi Bar Yosef dalla terra palestinese su cui si è stabilito.
Armati di armi e di una considerevole quantità di denaro per un uomo relativamente giovane, lui e i suoi sostenitori si sono impadroniti di 2.500 dunam (625 acri) di terra che appartiene ai villaggi di Jibiya, Kobar e Umm Safa, secondo le stime fatte da B’Tselem che appaiono nel suo rapporto “State Business: L’appropriazione indebita della terra in Cisgiordania da parte di Israele attraverso la violenza dei coloni“.
Il rapporto è una lettura difficile, anche per chi conosce bene l’impresa sionista, la redenzione della terra e l’espulsione dei palestinesi. Il rapporto si legge come un capitolo di storia, tranne che riguarda il presente.
Ma a differenza della storia che noi israeliani abbiamo imparato a scuola, qui, nel rapporto, impariamo l’appropriazione indebita della terra da coloro che ne vengono espulsi.
Ecco la testimonianza di Muhammad Abiyat, 63 anni, un residente di Umm Safa, a un ricercatore sul campo di B’Tselem:
“Questo colono e le persone che vivono con lui trattano le nostre terre come se fossero loro. Caccia via ogni palestinese che vede – agricoltori, proprietari terrieri, escursionisti che passeggiano nella natura e residenti che raccolgono erbe selvatiche.
“Hanno una mandria che pascola su tutto: su ciò che è verde, secco, qualsiasi cosa trovino sul loro cammino. La mandria scende nei boschetti e nei campi come uno sciame di locuste e distrugge i nostri alberi e le coltivazioni. Distrugge anche muri di pietra, luoghi di sepoltura sacri e antiche rovine.
“Negli ultimi due anni, i coloni si sono presentati e mi hanno inseguito ogni volta che ho cercato di raggiungere i miei uliveti. Non abbiamo raccolto le olive e abbiamo perso due anni di reddito. L’anno scorso ho perso 10.000 shekel [3.100 dollari].
Nell’agosto 2019, sono andato con un parente nel mio oliveto per controllare gli alberi in vista del raccolto. Improvvisamente, il colono Zvi è apparso con un adolescente che teneva un bastone. Stavano facendo pascolare il bestiame sul mio boschetto.
Quando ho cercato di scacciare il bestiame, Zvi mi ha attaccato e mi è corso dietro, lanciando pietre. Avrebbe potuto uccidermi. Per fortuna è arrivato un ragazzo del mio villaggio e li ha fatti andare via.
Nel febbraio 2020, stavamo andando verso la nostra terra quando i coloni hanno iniziato a inseguirci. Sono arrivati fino alle nostre case, una distanza di tre chilometri. Hanno spezzato i rami di cinque ulivi davanti ai nostri occhi.
Nell’ottobre 2020, sono andato di nuovo a controllare il mio uliveto prima del raccolto, e di nuovo mi hanno tirato pietre, mi hanno inseguito con bastoni e mi hanno minacciato con armi da fuoco. Zvi mi ha detto: ‘Non ti è permesso venire qui’. Ha detto che non abbiamo terra lì e che tutta la terra lì è un dono che Dio ha fatto loro”.
*da Haaretz 16/11/2021
(traduzione di Bassam Saleh)
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