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Erdogan scalpita per operazione militare in Siria. I profughi arma di ricatto su Damasco

La città siriana di Idlib, situata vicino al confine con la Turchia, ha assistito a un massiccio dispiegamento di forze militari turche alla ricerca dei tunnel utilizzati per l’attraversamento illegale del confine tra i due Paesi.

Lo rende noto il quotidiano panarabo “Al Arabi al Jadid” ripreso dall’agenzia Nova, secondo il quale 15 veicoli corazzati turchi sono stati schierati insieme ad alcuni veicoli militari delle milizie siriane filo-turche.

Si apprende intanto che il presidente turco  Erdogan vorrebbe far partire una nuova operazione militare nel nord della Siria. Si tratterebbe della quarta operazione militare sul territorio siriano dopo le tre condotte contro le milizie curde delle Ypg e una contro l’Isis.

Il pretesto per la Turchia sarebbe in questo caso l’uccisione da parte dei miliziani Ypg di due soldati e un poliziotto turco, avvenuta però più di un mese fa (il 10 ottobre) nelle vicinanza di Mare, nell’area del centro nord della Siria sottratta all’Isis ed ora sotto il controllo di Turchia e delle milizie filo-turche dell’Esercito Libero Siriano (Fsa).

Dopo l’uccisione dei soldati, l’artiglieria pesante turca aveva ripetutamente bombardato le postazioni delle Ypg ed avviato movimenti di truppe a ovest dell’Eufrate – a Manbij e Tel Firat – ed a est cioè a Kobane, Ayn Isa e Tel Temir.

Ma, secondo quanto riferisce l’Agi, questa volta Erdogan ha dovuto frenare per l’opposizione ad una nuova operazione militare in Siria da parte degli Stati Uniti e della Russia.

Anche recentemente il presidente statunitense Biden ha prorogato il sostegno americano alle Ypg, rinnovando così la tensione tra Washington e Ankara.

Mosca sulla Siria ha altri progetti e nonostante il silenzio, il presidente Vladimir Putin, con cui Erdogan è in costante contatto, ha cercato di dissuadere la Turchia dal compiere un intervento su larga scala.

L’inviato speciale della Russia in Siria, Lavrentiev,  ha sottolineato che è necessario continuare a combattere le organizzazioni terroristiche, in particolare quelle esistenti a Idlib, e dare attuazione agli accordi firmati dalla Turchia, che è responsabile degli attacchi terroristici in quella zona, affermando la necessità di continuare a combattere l’organizzazione terroristica Daesh in Siria orientale.

L’ufficiale delle Ypg ,Abdul Kadir Effedili, ha dichiarato che al momento Ypg controlla il 25% del Paese e può contare su circa 50 mila uomini. “Abbiamo lottato contro l’Isis fianco a fianco della coalizione, siamo determinati a combattere contro chiunque minacci le città che abbiamo conquistato“, ha risposto a chi chiedeva di commentare il rischio di una nuova operazione militare turca.

Intanto centinaia di profughi siriani hanno fatto richiesta di partecipare al progetto governativo di reinsediamento nella provincia di Deir ez-Zor.

L’agenzia siriana Sana riferisce che il Ministro degli esteri e degli espatriati siriano, Fayssal Mikdad, ha ribadito che lo Stato offre tutte le capacità a sua disposizione affinché questo ritorno sia volontario e sicuro.

Mikdad ha aggiunto però che le sanzioni unilaterali imposte alla Siria ostacolano il ritorno dei rifugiati e gli stati occidentali non vogliono che tornino per usarli per esercitare pressioni politiche sulla Siria.”Questi approfittano del dolore provato da ogni rifugiato siriano fuori dalla sua patria per servire i loro scopi politici“.

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1 Commento


  • Gianni Sartori

    TURCHIA: ARRESTATI ALTRI TRE MEMBRI DI HDP. UNA RITORSIONE?

    Gianni Sartori

    Con un tempismo che è stato definito “sospetto” (ma forse sarebbe corretto definirlo “tempestivamente perfetto”), il 17 novembre un ufficio di HDP nel distretto di Çerkezköy è stato assalito e perquisito (o meglio: saccheggiato) dalla polizia. Contemporaneamente sei membri del partito venivano arrestati presso la loro abitazione a Tekirdag.

    Un passo indietro.

    Solo pochi giorni prima nella città situata nella parte occidentale dello Stato turco, in occasione di un grande raduno, era stato presentato dal co-presidente Pervin Buldan il nuovo programma (“road map”) del Partito democratico dei Popoli.

    Ma proprio il mattino di mercoledì 17 novembre era avvenuto anche dell’altro.

    La Commissione giuridica di HDP aveva sporto denuncia presso la procura generale di Ankara contro Mehemet Eymur, (l’ex responsabile del dipartimento anti-terrorismo dei servizi segreti turchi, il MIT) e coloro – persone, istituzioni, autorità – che avevano agito insieme a lui. Accusandoli di “crimini contro l’umanità, contro la Costituzionee contro il diritto internazionale”.

    Con una sfrontatezza, un senso di impunità al limite del patologico, durante un’intervista con T24 del 5 novembre, l’ex alto funzionario del MIT aveva giustificato i crimini commessi da organismi interni allo Stato turco dopo il 1970. Torture, uccisioni mirate e attentati compresi. Riconoscendo, di fatto, una sua responsabilità in tale “guerra sporca” contro i dissidenti e contro quelli curdi in particolare. Ammettendo sia la sua diretta partecipazione ad alcune operazioni, sia il fatto che talvolta venisse praticata la tortura. Un metodo che lui personalmente non rinnegava, anzi considerava legittimo negli interrogatori dei prigionieri politici.

    Così fornendo – secondo l’HDP – egli stesso le prove per l’avvio di una procedura penale.

    Questo almeno è quanto si intuiva dalle risposte date al giornalista che poneva precise domande in merito alle percosse e alle scariche elettriche inflitte ai detenuti sotto interrogatorio. Come avveniva nel famigerato centro di tortura di Ziverbey, a Istanbul.

    Spiegando, bontà sua, che “la tortura veniva applicata se non c’era altro modo per farli parlare, in quanto c’è della gente molto ostinata che è difficile far parlare in altro modo”. Addirittura insistendo, caso mai non si fosse capito, che “quando non c’è altro mezzo per farli parlare si può ricorrere alla tortura. Ne sono ancora convinto”. Anche se, lo ammette, è consapevole che la tortura può provocare la morte.

    Nell’intervista si parla anche dell’ex capo della polizia Hanefi Avci. Oltre ad aver “manipolato molti curdi con le legge sui pentiti” e aver cercato di “creare organizzazioni contro il PKK”, costui avrebbe“inviato una squadra per eliminare Ocalan”. Ma questa sarebbe “rientrata a mani vuote”.

    Dietro sollecitazione del giornalista, Eymur aveva raccontato anche di un altro tentativo per assassinare Ocalan con una tonnellata di esplosivo. Tentativo a cui egli avrebbe partecipato direttamente (insieme a Cevik Bir), ma che era stato in parte “bruciato” da un articolo apparso sul giornale Cumhuriyet.

    Comunque l’attentato era poi avvenuto e non senza conseguenze per il leader curdo.

    L’esplosione infatti aveva “fatto tremare l’intera Siria”, non solo metaforicamente visto che aveva creato una voragine di 17 metri. Evidentemente il messaggio fu compreso da Damasco e poco dopo Ocalan venne espulso dal Paese.

    Sempre stando alle sue dichiarazioni, Eymur avrebbe preso parte anche alle azioni contro Mahir Cayan e Ulas Bardakci, militanti della sinistra rivoluzionaria (marxisti-leninisti di THKP-C) uccisi nel 1972.

    Alle operazioni (che comunque avvenivano con l’autorizzazione del presidente e delle altre autorità), oltre ad alcuni militari, avrebbe partecipato anche Mahamut Yildrim, ex membro del JITEM.

    L’agenzia – ricordo – di intelligence della gendarmeria turca, espressione dello “stato profondo” turco e di cui si è venuti a conoscenza dopo l’incidente di Susurluk del 3 novembre 1996 che scoperchiò il vaso di Pandora dei rapporti tra esponenti politici, servizi segreti, estremisti di destra e mafia turca*.

    JITEM avrebbe condotto operazioni di “guerra sporca”, coperte e illegali,in particolare contro il movimento curdo.

    Eymur svelava inoltre che Alaatin Cakici, esponente dei Lupi Grigi (e ritenuto coinvolto in affari di mafia) era stato reclutato per agire contro il PKK in Germania.

    Quanto agli esponenti politici arrestati in quella che è lecito sospettare sia stata una ritorsione (se non una autentica“rappresaglia”) per la denuncia contro l’ex responsabile del MIT, essi vengono accusati di “aver fatto propaganda per un’organizzazione terrorista”. Inoltre di aver “utilizzato il termine Kurdistan” durante un interrogatorio dopo che erano stati convocati dalla polizia a seguito di un raduno organizzato appunto a Tekirdag il 7 novembre.

    Gianni Sartori

    * Nota 1:

    Nel novembre 1996, sulla strada tra Bursa e Izmir (Anatolia occidentale), avviene un grave incidente tra una mercedes e un camion. Nell’auto quattro personaggi dall’improbabile reciproca frequentazione (stando almeno ai parametri convenzionali):

    l’ex vice della polizia di Istanbul, nonché capo della scuola di polizia, Huseyin Kogadag; il deputato – e unico sopravvissuto -Sedat Bucak, membro del Partito della Retta Via dell’ex premier Tansu Ciller (ricordate la polemica su Turban e Turban-Italia?); il padrino della mafia turca e “Lupo Grigio” Abdullah Catli (in possesso di un documento fornito dalla polizia) e la sua fidanzata (una nota cantante).

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