Le forze federali etiopi insieme ai loro alleati hanno riconquistato le città di Dessiè e Kombolcha, nella regione settentrionale di Amhara occupate in precedenza dalle milizie del Fronte di liberazione popolare del Tigrè (Tplf).
Le due città vengono ritenute strategiche perché in esse convergono due assi fondamentali – il primo diretto alla capitale Addis Abeba, il secondo allo sbocco marino di Gibuti. Si tratta di una operazione che ha cambiato in modo importante gli equilibri della guerra in corso tra il governo etiope e il Fronte di liberazione popolare del Tigrè (Tplf).
A più di un anno dall’inizio del conflitto, la controffensiva lanciata dalle Forze di difesa nazionale etiope (Endf) – l’esercito del premier Abiy Ahmed (Premio Nobel per la pace nel 2019, ndr) – sostenuta dalle truppe Amhara e delle milizie Fano, ha ottenuto risultati militari importanti su località cadute in mano tigrina più di un mese fa.
Oltre a Dessiè e Kombolcha sul fronte settentrionale sono state infatti riconquistate anche le città di Bati, Kersa, Gerba e Degan, mentre sul fronte di Habu – vicino all’altra città strategica di Mille – il governo ha fatto sapere che la zona di Kalu è stata “completamente affrancata dall’occupazione terroristica” del Tplf.
Nel dare notizia dell’avvenuta riconquista delle località Amhara il governo etiope non ha citato il sostegno delle truppe eritree, alleate dall’inizio del conflitto ma che nelle ultime fasi della guerra sono rimaste posizionate vicino al loro confine.
L’agenzia Nova riferisce che le forze federali hanno ripreso il controllo anche di Gashena, Arbit e di molti altri luoghi del fronte di Gashena, al confine tra la regione di Amhara e quella del Tigrè, mentre a seguire è giunta notizia della riconquista della città-simbolo di Lalibela, le cui chiese rupestri sono Patrimonio dell’umanità Unesco.
In precedenza l’esercito federale aveva annunciato di aver ripreso la città di Chifra, nella regione di Afar, conquistata sempre il mese scorso dai tigrini che l’avevano presa con l’intenzione di bloccare l’accesso autostradale che collega Addis Abeba al porto di Gibuti, principale porto del Corno d’Africa e sbocco commerciale fondamentale per la capitale etiope. Pur supportate dalle milizie del Movimento di liberazione oromo (Ola), le truppe tigrine hanno perso forza.
Secondo i corrispondenti della agenzia Nova i successi militari etiopi sono anche frutto del comprovato sostegno tecnico di droni – e in alcuni casi anche di personale addetto al loro funzionamento – di origine cinese, turca ed emiratina. I loro successi, secondo la ben informata agenzia, coincidono con la visita del ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, il quale ha ribadito l’incrollabile sostegno di Pechino alle autorità dell’Etiopia anche in questo frangente.
Nella capitale etiope Addis Abeba, si sono svolte massicce manifestazioni a sostegno del governo durante le quali sono comparsi cartelli che denunciano l’ingerenza dei Paesi occidentali nella politica interna.
Non è un mistero che numerosi appelli sono venuti nelle ultime settimane dagli Stati Uniti e da Paesi europei per gli arresti di massa di persone di origine tigrina effettuati dalle forze di sicurezza locali – invitando alla distinzione fra “tigrini” e “membri del Tplf”. In una nota congiunta, ieri i governi di Stati Uniti, Canada, Australia, Regno Unito, Danimarca e Paesi Bassi hanno di nuovo esortato le autorità dell’Etiopia a smettere di detenere illegalmente privati cittadini in base alla loro etnia e hanno chiesto al governo del primo ministro Ahmed di consentire un accesso senza ostacoli al Paese da parte degli osservatori internazionali.
A Novembre una serie di fattori hanno sembrato giocare a favore, se non di un intervento diretto, quanto meno di un crescente impegno statunitense in Etiopia. Gli Usa hanno infatti schierato le forze speciali nella loro base di Camp Lemonnier a Gibuti per essere pronte a fornire “assistenza immediata” all’ambasciata Usa in Etiopia nel caso in cui la situazione dovesse precipitare. Inoltre hanno allertato tre navi militari in navigazione tra Golfo Persico e Mar Rosso.
Inoltre Washington lo scorso 5 novembre ha ospitato una conferenza delle organizzazioni che si contrappongono anche militarmente al governo dell’Etiopia.
In quella sede è stato raggiunto un accordo tra diversi gruppi ribelli e di opposizione etiopi per la formazione di un’ alleanza politica che ha l’obiettivo di stabilire un governo di transizione in caso di caduta dell’attuale esecutivo guidato dal premier Abiy Ahmed.
La nuova alleanza conta un totale di nove gruppi: oltre al Tplf e ai suoi alleati dell’Esercito di liberazione oromo (Ola), della coalizione faranno parte anche il Fronte dell’unità democratica rivoluzionaria afar, il Movimento democratico agaw, il Movimento di liberazione popolare di Benishangul, l’Esercito di liberazione del popolo di Gambella, il Movimento globale per i diritti e la giustizia kimant/Partito democratico kimant, il Fronte di liberazione nazionale sidama e la Resistenza dello Stato somalo.
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Gianni Sartori
Come nel 2019 e nel 2021, anche quest’anno un nuovo Stato federale viene istituito tramite referendum in Etiopia. Una garanzia di stabilità sociale oppure il preludio a ulteriori divisioni?
ETIOPIA: NASCE IL 12° STATO FEDERALE
Gianni Sartori
Risaliva al 2019 la dichiarazione ufficiale della nascita di un decimo stato federale (regionale autonomo), il Sidama.
Come conseguenza del referendum di autodeterminazione del gruppo etnico Sidama (2 novembre 2019). Un referendum a cui – stando ai dati ufficiali – aveva partecipato la quasi totalità degli aventi diritto (99,7%) con il 98,5% di voti a favore dell’autonomia. Nel novembre 2021, sempre tramite referendum, se ne era poi aggiunto un altro, lo Stato regionale delle nazioni, nazionalità e popoli del sud (SNNPR, in lingua amarica: የደቡብ ምዕራብ ኢትዮጵያ ህዝቦች ክልል).
All’epoca, della SNNPR facevano parte le zone amministrative di Keffa, Sheka, Bench Sheko, Dawro, West Omo Zones e il distretto speciale di Konta.
Ora, si diceva, nasce il 12°. Anche se in realtà è frutto di un distacco dalla SNNPR in quanto le sei zone amministrative (Konso, South Omo, Wolayta, Gamo, Gedeo, Gofa) e i cinque distretti speciali (Burji, Basketo, Ale, Amaro, Dirashe), ora autonome, precedentemente ne facevano parte.
Quella di questi giorni è stata comunque una conferma di quanto già si prevedeva al momento del referendum (6 febbraio 2023). Infatti la maggioranza degli aventi diritto (circa tre milioni) delle sei zone amministrative e dei cinque distretti speciali ha votato a favore della nascita del SNNP.
La Commissione elettorale nazionale, incaricata del controllo dei risultati, ha tuttavia sospeso provvisoriamente le decisioni per Wolayta a causa delle evidenti irregolarità (frodi elettorali, consegna di carte d’identità provvisorie…) che hanno segnato il referendum in questa zona e su cui stanno svolgendo indagini.
Il sistema di “federalismo-etnico” (fondato principalmente su criteri linguistici oltre che geografici) venne introdotto nel 1995. Nella prospettiva di garantire stabilità politica e tenuta sociale a un Paese di 120 milioni di abitanti in cui sono presenti oltre 80 etnie.
In realtà, secondo alcuni osservatori, avrebbe talvolta rischiato di alimentare ulteriormente rivendicazioni territoriali e scontri identitari. Favorendo anche – come forse nel caso del SNNP – ulteriori frammentazioni.
Gianni Sartori