A pronunciare nero su bianco il concetto di apartheid che le autorità di Tel Aviv e i gruppi sionisti non vogliono sentire, questa volta è una organizzazione israeliana: B’tselem.
L’organizzazione denuncia come le autorità del proprio Paese abbiano creato un regime di apartheid nei territori tra la Valle del Giordano e il Mar Mediterraneo e in una nota diffusa alcuni giorni fa evidenzia come la questione “non sia interna” e fa appello a una “azione internazionale efficace per porre fine all’apartheid e all’occupazione”.
B’Tselem ha rilanciato ai media internazionali il suo report pubblicato lo scorso 12 gennaio (‘A Regime of Jewish Supremacy from the Jordan River to the Mediterranean Sea: This Is Apartheid’) in cui si sostiene che le istituzioni israeliane avrebbero implementato un sistema che avrebbe come costante obiettivo quello di “far avanzare e cementare la supremazia di un gruppo – gli ebrei – su un altro – i palestinesi”.
Hagai El-Ad e Amit Gilutz – rispettivamente e portavoce di B’Tselem – hanno spiegato che l’organizzazione è giunta a questa conclusione analizzando i dati sulle violazioni raccolti in questi anni, che hanno permesso di individuare i “quattro pilastri” su cui si fonderebbe tale sistema: la cittadinanza, le terre, la libertà di movimento e la partecipazione politica.
Nel raport si legge che: “Qualsiasi persona di origine ebraica in qualsiasi parte del mondo può rivendicare la cittadinanza israeliana; l’immigrazione in Israele è quasi impossibile per i palestinesi, e solo una minoranza di palestinesi che vivono sul territorio controllato da Israele sono cittadini israeliani – circa 1,6 milioni, su sette milioni – , e anche in questo caso i loro diritti sono limitati rispetto ai connazionali ebrei”.
Il rapporto di B’Tselem spiega che: “Israele ha perseguito una politica di ‘giudaizzazione’ del territorio che controlla” e per farlo “il governo utilizza un mix di procedure legali estreme e oscure per espropriare la terra dei palestinesi, demolire case e vietare la costruzione ai palestinesi, incoraggiando al contempo l’edilizia e altri usi della terra” da parte dei propri cittadini.
Per quanto riguarda la libertà di movimento, B’tselem denuncia “restrizioni estreme su coloro che non hanno la cittadinanza israeliana”. “Esiste anche un divieto formale all’ingresso dei cittadini israeliani nella terra governata dall’Autorità Palestinese, ma questo divieto non viene applicato”.
L’Ong israeliana ricorda a tal proposito che Israele avrebbe “costruito più di 250 insediamenti in tutta la Cisgiordania, dove vivono centinaia di migliaia di coloni ebrei”. Solo nel 2021 B’Tselem sostiene di aver “documentato la demolizione di 295 unità residenziali, cifra record dal 2016. In queste demolizioni, 895 palestinesi, tra cui 463 minorenni, hanno perso la casa.
B’Tselem ha inoltre documentato 338 atti di violenza da parte dei coloni, alcuni dei quali commessi alla presenza delle forze di sicurezza, che hanno anche partecipato alle aggressioni”. Il report segnala ancora: “Molti palestinesi non possono entrare in Israele, mentre viaggiare tra città e villaggi nella Cisgiordania occupata è estremamente dispendioso in termini di tempo e spesso impossibile”. Infine, l’ong avrebbe calcolato che “cinque milioni di palestinesi sono stati privati dei diritti civili” in quanto “non possono votare alle elezioni israeliane” ed è richiesto “un permesso per protestare anche nei territori palestinesi”.
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