Mentre le operazioni di guerra in Ucraina non accennano a diminuire di intensità e Mosca, per bocca del proprio rappresentante alle Nazioni Unite, Vasilij Nebenzja, insiste perché si faccia luce su un eventuale utilizzo, in azioni belliche, di mezzi e simboli ONU da parte dei nazionalisti ucraini, in Russia ci si interroga su come procedere alla realizzazione degli obiettivi proclamati da Vladimir Putin quali ragioni dell’intervento russo.
In particolare, posto lo scopo della denazificazione dell’Ucraina, da diverse parti si mette l’accento sulla priorità da dare alla eliminazione dell’ideologia filo-nazista, che si rifà ai leader di OUN-UPA, Stepan Bandera e Roman Šukhevič, nelle scuole e nelle Università ucraine.
Qualche giorno fa, era stato l’ex diplomatico Mikhail Demurin, a porre l’accento sulla necessità del mutamento dei principi educativi nelle scuole e istituti superiori delle regioni con popolazione a prevalenza ucraina, a partire da materie come storia, scienze sociali, lingua e letteratura russa.
Questo perché, diceva Demurin, «nelle scuole e università ucraine, anche in quelle che fino a un determinato periodo insegnavano in russo, i cervelli di bambini e giovani sono stati “lavorati” nello spirito dello sciovinismo e della russofobia, che negli ultimi otto anni ha acquisito un carattere totalmente fascista».
Lo stesso leader del KPRF, Gennadij Zjuganov, in un intervento dal titolo indicativo delle posizioni del partito, «In Ucraina noi stiamo salvando la civiltà russa», ricorda il ruolo avuto dall’ideologia nazionalista dei vecchi capi filo-nazisti ucraini.
Alla fine della guerra, afferma Gennadij Zjuganov, «gli americani portarono via dalla Germania tutta la documentazione sulla formazione delle organizzazioni naziste, della Hitlerjugend, del movimento banderista. Crearono interi laboratori in USA e Canada, in cui vennero sviluppate le necessarie tecnologie politiche atte a diffondere in Ucraina il bacillo del nazismo» e l’odio per tutto ciò che è russo.
Dopo il 1945, dice Zjuganov, circa 70.000 banderisti furono mandati nei lager; a «tutti, quali assassini, vennero inflitti 20 anni di reclusione. Quegli individui avevano massacrato gli ebrei a Babi Jar, i bielorussi a Khatyn e i polacchi nella Volynia… Sembrava che la giustizia avesse trionfato. Di fatto, gli assassini scontarono appena 10 anni e furono rilasciati da Nikita Khruščëv. Come risultato, quei bambini ucraini che furono educati senza i cannibali-banderisti, assorbirono l’internazionalismo e l’amicizia. Ma i “difensori dell’indipendenza” instillarono il loro odio nei nipoti, odio che oggi si è riversato sull’intera Ucraina».
Ora, a intervenire, è lo storico, ex diplomatico, noto blogger Nikolaj Platoškin, leader del movimento social-democratico “Per un nuovo socialismo”, rimasto alcuni mesi agli arresti domiciliari nel 2020, per degli interventi giudicati di “Diffusione di informazioni false” e quindi condannato nel 2021 a cinque anni per incitamento a disordini di massa, ma rilasciato dopo alcuni mesi. Anche Platoškin mette l’accento sulla assoluta necessità della denazificazione in Ucraina.
Questo è un tema ricorrente in pressoché tutte le prese di posizione, sia di alcune organizzazioni comuniste, sia di intellettuali, che non sembrano esprimere dubbi sugli obiettivi dell’intervento militare russo in Ucraina.
Ecco l’intervento di Platoškin, pubblicato il 10 marzo sull’organo ufficioso del KPRF “Sovetskaja Rossija”
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Cosa ci attende alla fine dell’operazione?
Vorrei condividere alcune riflessioni sulla nostra operazione in Ucraina e su cosa ci attenda. A mio parere, tale questione è quella che balza oggi in primo piano. Se in Ucraina avessimo condotto un tipo usuale di guerra, come gli americani in Iraq o in Siria, non avremmo assediato Mariupol [e l’avremmo presa d’assalto], ma non possiamo, perché si tratta di un popolo fraterno.
I nazionalisti, insediatisi nelle grandi città assediate dall’esercito russo, non fanno uscire i civili, usandoli come scudi umani. Sorge la domanda: che fare?
Supponiamo di continuare ad assediare le città, ma questo non può continuare a lungo. Sorgono pesanti problemi per la gente: niente acqua, riscaldamento e altro. Naturalmente, non possiamo nemmeno prenderle d’assalto. La vita degli ucraini non ha per noi meno valore di quella dei russi. Siamo effettivamente un unico popolo. Dunque: come se ne esce? Prima di fare qualsiasi cosa, è necessario comprenderne gli effetti. Quali sono gli obiettivi della Russia in Ucraina?
In linea generale, Putin ha indicato due obiettivi: denazificazione e demilitarizzazione. Cosa significano e come sono legati al corso delle operazioni? Ad esempio, i nostri soldati arrivano in qualche città e non incontrano una particolare resistenza, specialmente al sud. Ma, allo stesso tempo, non c’è nemmeno un particolare appoggio da parte della popolazione locale, che non ha chiaro quali siano i nostri obiettivi.
Ci sono in quelle aree milioni di persone che sono per l’Unione Sovietica e anche per l’Ucraina e hanno nei nostri confronti atteggiamenti normali e, però, hanno paura a esprimere le proprie simpatie, a causa del fatto che i russi se ne possono andare, come nel 2014.
Al posto dei russi arrivano i Servizi di sicurezza ucraini e nazisti e cominciano a tormentarli, oppure a gettarli in galera. Tanto più che le truppe russe non stanno rimuovendo i sindaci o le bandiere ucraine. Al contrario, compaiono gruppi di nazionalisti che chiedono [ai russi] di andarsene e i militari russi se ne vanno. Non si può sparare contro le persone.
Finché in Ucraina non cominciamo a far perno sui milioni di persone che, appunto, devono fare il lavoro fondamentale per noi, vale a dire debellare i propri nazionalisti, debellarli politicamente, ecc., fino a quel momento il futuro può essere ambiguo. La storia ci fornisce numerosi esempi.
Quando una persona prende una decisione responsabile, che riguarda soprattutto la vita e la salute, analizza la propria esperienza e l’esperienza di altre persone che hanno avuto a che fare più o meno con lo stesso problema, per non ripetere i loro errori. Ciò ha senso.
E a giudicare dal fatto, con quale contentezza la delegazione russa alle trattative sorrida a non chiari personaggi in mimetica, come stringa loro la mano, e quant’altro, allora viene da pensare che l’obiettivo della leadership russa sia quello di mantenere in Ucraina l’attuale potere.
In cambio, l’Ucraina riconosce l’ingresso della Crimea nella compagine russa, riconosce l’indipendenza delle regioni di Donetsk e Lugansk e, in una qualche forma giuridica, prende l’impegno a non inserirsi nella NATO. Cosa sia la demilitarizzazione, è ciò che le nostre truppe hanno bombardato.
La denazificazione, invece, per ora nessuno sa cosa sia.
Questa, è una delle varianti. Secondo me, terribile per noi. Se tra due-tre anni ce ne andremo da lì e lasciamo tutto come è ora, si ripeteranno le stesse cose. Solo, probabilmente, con un maggior numero di vittime.
Ma c’è un’altra variante: indizione di elezioni in Ucraina, proibizione assoluta di tutti i partiti e organizzazioni nazisti, eliminazione di tutti i monumenti a Bandera e Šukhevič, ri-denominazione delle strade a loro intitolate, completa riorganizzazione del sistema di istruzione sotto il nostro controllo. Poi, fare in modo che finalmente cessi il flusso di veleno che è stato introdotto nei cervelli della popolazione ucraina dal 1991. Se questo non avverrà, allora accadrà che ancora una generazione verrà educata all’odio verso la Russia, come è stato dal 1991.
Ecco due esempi di denazificazione. Uno di successo; l’altro senza successo. Primo. Anno 1919. La Germania è disfatta; si voleva portare in giudizio il kaiser Guglielmo per crimini di guerra, ma poi non se ne fece di nulla ed egli se ne andò in Olanda, dove visse tranquillamente. In Germania non venne condotta nessuna propaganda antimilitare e nessuna demilitarizzazione delle coscienze. Il nazismo non crebbe dal nulla.
L’organizzazione più di massa della Repubblica di Weimar, ritenuta democratica, era quella degli “Elmi d’acciaio”, cioè l’organizzazione dei veterani dell’esercito germanico, che puntava alla revanche. All’epoca, gli alleati si limitarono alla demilitarizzazione, vale a dire, esercito tedesco di non più di 100.000 uomini e separazione di parte del territorio tedesco.
Il Belgio guadagnava qualcosa, come pure la Danimarca e la Polonia; tutto qui. Gli alleati non si immischiarono nella vita interna della Germania e nemmeno la occuparono, nonostante essa avesse subito una completa sconfitta.
Cosa ne venne fuori? Venne fuori, nel 1933, Adolf Hitler, il quale non sarebbe mai diventato capo della nazione tedesca, se milioni di tedeschi non gli fossero stati favorevoli. E quei milioni non erano sorti dal nulla. Essi, come c’erano nella Repubblica di Weimar, così erano rimasti, e gli insegnanti li educarono sul principio che una guerra l’abbiamo persa, ma una seconda la dovremo senz’altro vincere.
Trascorsero 20 anni e scoppiò la Seconda guerra mondiale. Proprio in quella stessa Germania. Morirono diverse volte più persone, nonostante già nella Prima guerra mondiale ne fossero morte tantissime. Ecco, questo è un esempio di approccio non corretto nei confronti di un avversario con una coscienza militarizzata.
Nel 1945 l’approccio fu già più giusto. Non fu conservato il governo tedesco; nessuno condusse con essi alcuna trattativa, tranne la capitolazione incondizionata. Dopo di che, gli alleati stessi, per quattro anni, si incaricarono di governare la Germania.
E, appunto, condussero la denazificazione.
Cosa significava? Proibizione assoluta del partito fascista (NSDAP) e delle numerosissime organizzazioni collaterali. Ad esempio, l’Unione femminile nazional-socialista, la “Hitlerjugend” o addirittura l’Unione nazional-socialista dei motociclisti. C’era di tutto e milioni di tedeschi appartenevano a tali organizzazioni.
Vennero divisi tutti in quattro categorie: criminali principali (furono giudicati dagli alleati); criminali (vennero giudicati su base territoriale); fiancheggiatori (iscritti al al partito nazista, ma non colpevoli di nulla); innocenti.
Gli americani costrinsero ogni tedesco a riempire un formulario, su ciò che aveva fatto dal 1933 al 1945, in modo da rilasciargli un certificato, che i tedeschi chiamavano “certificato di purificazione”. Tutti coloro che vennero riconosciuti criminali, o criminali principali, vennero esclusi a vita dal servizio pubblico.
Nella zona di occupazione sovietica, tutti i libri di testo di scienze sociali pubblicati sotto Hitler furono proibiti e ne furono editi di nuovi. L’Unione Sovietica, che aveva sofferto in maniera brutale per la guerra, spese enormi somme per quest’opera.
In brevissimo tempo, furono formati decine di migliaia di insegnanti, tra gli antifascisti che erano stati perseguitati nel Terzo Reich. Può darsi che non avessero terminato Università pedagogiche, ma erano stati nei lager nazisti, erano stati clandestini e antinazisti. È così che presero a insegnare ai bambini.
Per dieci anni, venne proibito ai tedeschi di avere qualsiasi esercito, e anche dopo, quando le due Germanie che si erano formate, [le forze armate] facevano parte di alleanze, vale a dire che gli eserciti di RFT e DDR non erano autonomi. L’esercito della DDR era subordinato al Patto di Varsavia con sede a Mosca; la RFT (Bundeswehr) era subordinata al blocco NATO, con sede a Washington. Tale denazificazione ebbe successo.
Quanti considerano oggi la Germania, che ha fatto così tanto male in due guerre mondiali, un paese fascista? Pochi o nessuno, probabilmente. Là, i libri di testo sono già differenti. Se invece guardiamo ai libri di testo ucraini, editi dal 1991, sono un autentico incubo.
Vi è scritto che, all’epoca dell’impero russo, gli ucraini erano umiliati e tormentati, che non c’è stata la Grande Guerra Patriottica, ma solo una guerra sovietico-tedesca sul territorio dell’Ucraina, e né dai russi, né dai tedeschi venne alcun vantaggio: entrambi erano invasori. Sono considerati eroi i soldati dell’Esercito insurrezionale ucraino, con a capo l’ex capitano della Wehrmacht, Šukhevič.
Egli, nei ranghi di un battaglione di polizia tedesco, bruciava villaggi in Ucraina, e ne era orgoglioso, e per simili azioni ricevette onorificenze dai tedeschi.
Supponiamo che ora ce ne andiamo, la Crimea viene riconosciuta parte della Russia, il Donbass indipendente e, però, quelli che rimangono là, avranno un solo sogno, quello di vendicarsi. La cosa più terribile è che milioni di persone, in Ucraina, che, in questa o quella forma, desiderano la riunificazione, come collaborazione o fratellanza, non potranno nemmeno aprir bocca. Faranno i conti con loro fisicamente e non si limiteranno a licenziarli dal lavoro, cosa che già ora avviene.
C’è stato anche un esempio positivo dell’Unione Sovietica con la Finlandia, che pure, insieme ai tedeschi, aveva assediato Leningrado dal 1941 al 1944. Noi pretendemmo la proibizione assoluta di tutte le organizzazioni, non solo naziste, ma anche antirusse e antisovietiche.
La Finlandia sottoscrisse con noi un accordo di reciproco aiuto, secondo cui, in caso di guerra, avrebbe dovuto schierarsi dalla nostra parte. Il partito che noi fondammo in Finlandia, “Unione democratica del popolo finlandese” (comunisti e socialisti) era sempre o al governo, o lo sosteneva.
La Finlandia aveva un ordinamento capitalista, ma vi era completamente vietata ogni propaganda antisovietica. In cambio, la Finlandia ricevette pace e l’immenso mercato sovietico, che dette all’economia finlandese la possibilità di non preoccuparsi dello smercio dei propri prodotti.
Fu un periodo d’oro per la Finlandia. Noi riuscimmo a trasformare un nemico, con cui, in sei anni, ci eravamo scontrati due volte, non semplicemente in amico, ma addirittura in alleato il quale, tra l’altro, fino agli ultimi tempi, si era rifiutato di entrare nella NATO.
Cosa ci insegnano gli esempi storici? Se in Ucraina tutto finisce con noi che ce ne andiamo, e la Crimea e anche il Donbass se ne vanno dall’Ucraina, allora, purtroppo, non sarà lontana un’altra guerra, che sarà molto più sanguinosa. Se non vogliamo che le preziose vite dei nostri soldati e ufficiali in Ucraina, e le preziose vite dei civili ucraini, tenuti in ostaggio dai nazionalisti, siano spese invano, dobbiamo fare di tutto per la riorganizzazione dell’Ucraina. È un lavoro duro e meticoloso. Forse molto più difficile di un’operazione di guerra.
Senza tale difficile lavoro, senza che noi eliminiamo tutti i danni inferti alle coscienze ucraine dal 1991, allora non sono lontani prossimi scontri tra popoli fraterni. Noi non lo vogliamo. Pertanto, quando le armi taceranno, il nostro compito principale sarà quello combattere per la coscienza del popolo ucraino, in modo che, come in epoca sovietica, diventi nostro fratello non di nome, ma per una comune visione del mondo.
Nikolaj Platoškin
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