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Nel Donbass lottiamo contro il fascismo

Il mio nome di battaglia è Nemo, sono il Commissario Politico di InterUnit, il gruppo internazionalista e antifascista della Brigata Prizrak che combatte per la liberazione dell’Ucraina dal giogo della Junta di Kiev.
In Italia, noi partigiani internazionalisti del Donbass siamo stati più volte tacciati di essere rossobruni o cose del genere, un’accusa infamante arrivata anche da chi pensa che l’antifascismo sia una chiacchiera da salotto o da tastiera. Noi abbiamo rinunciato a tutti i vantaggi del vivere in un paese occidentale, abbiamo fatto una drastica scelta di privazioni e mettiamo quotidianamente a repentaglio le nostre vite. Tutto questo per combattere il fascismo.
Se qualcuno ci accusa di ambiguità lo fa o perché è in malafede, o per ignoranza. Nel primo caso si tratta di detrattori che vogliono minare la nostra agibilità politica, pertanto il giudizio su di loro è semplice e inappellabile. Nel secondo caso, riconosciamo che molti possano essere vittime del clima di confusione che regna nella nostra società. Pertanto invitiamo tutti a fare una riflessione su questi temi che parta proprio dall’esperienza della Resistenza del Donbass.
Questa guerra è la risposta popolare al sanguinario colpo di stato fascista che ha riabilitato, armato e istituzionalizzato gruppi dichiaratamente nazisti. In Ucraina non è garantito alcun diritto umano e i comunisti sono perseguitati. Il popolo si è sollevato per cacciare i fascisti e ha dato il via all’insurrezione in cui i comunisti hanno avuto un ruolo fondamentale, sia per l’organizzazione che per l’indirizzo. 
Nessun movimento popolare è mai completamente libero da marginali contraddizioni. La Resistenza del Donbass non fa eccezione, dobbiamo ammettere che qui ci sono dei rossobruni (o cose simili) che lottano nelle Milizie Popolari, ma questi sono lo 0,9% di tutti i combattenti, un fenomeno insignificante anche se montato dai media nostrani. Di norma questi combattenti sono “social-confusi” con tanta voglia (e spesso altrettanta capacità) di combattere, che si aggregano su base etnica. Non sono rappresentativi di nulla, e noi non abbiamo niente a che spartire con loro.
Alcune decine di questi fascisti provengono da Paesi occidentali, tra cui una mezza dozzina di italiani, ma solo 2 o 3 sono combattenti, gli altri sono impiegati in ruoli chiave dell’amministrazione pubblica (logistica degli aiuti, agenzia governativa di comunicazione, ecc). 
Rimane difficile pensare che i fascisti che lavorano per le Repubbliche Popolari lo facciano in nome del socialismo, assai più facile che si tratti di un’operazione di infiltrazione per disinnescare il potenziale rivoluzionario di questa esperienza: si piazzano burocrati in posizioni da cui è possibile condizionare l’amministrazione in chiave reazionaria, contemporaneamente si fa esplodere una enorme contraddizione con i movimenti occidentali di solidarietà. Su questo ultimo aspetto hanno una responsabilità enorme i media italiani che si ostinano a parlare quasi esclusivamente della presenza di questi pochi fascisti e non della assai più folta schiera dei compagni.
In Russia il fenomeno rossobruno, che lì si chiama diversamente, trova discreto seguito concretizzandosi in diverse realtà. Generalmente si tratta di un tentativo maldestro (ma purtroppo abbastanza riuscito) di piegare la ragione, la storia e le identità ai bisogni del Potere.
In Italia il discorso è completamente diverso, seppur di recente abbia trovato delle convergenze con quello russo. Da noi si tratta pur sempre di un tentativo di piegare ragione, storia e identità, ma questo non è finalizzato alla creazione di consenso per il Potere. Bensì è una bieca manovra di revisione finalizzata alla disarticolazione di quel che rimane della sinistra, cioè alla creazione delle condizioni necessarie per un tentativo di appropriazione indebita. I rossobruni vorrebbero accaparrarsi  il consenso, l’accumulazione e il patrimonio culturale delle forze progressiste.
Se questo fenomeno prendesse ulteriore spazio ci sarebbe una accelerazione esponenziale della variazione dei rapporti di forza tra movimenti fascisti e antifascisti: le organizzazioni fasciste (o semi) crescerebbero mentre si ridurrebbe la dimensione e l’agibilitá di quelle progressiste. Un disastro politico.
Non possiamo credere alla buona fede di qualche tatticista, chi prende parte (attiva o passiva) in questo genere di operazioni si posiziona in una ben definita compagine: con i fascisti.
Per la lettura degli eventi qualcuno adotta chiavi di lettura sbagliate che possono (con notevoli forzature) adattarsi temporaneamente a contesti complessi, ma queste poi rimangono inevitabilmente schiacciate dalle contraddizioni che cercano di coprire. L’esempio più  noto è quello che tenta di ridurre la complessità degli eventi esclusivamente ad una partita geopolitica. In questo modo si traccia una  prospettiva distorta che genera una confusione in cui si riescono ad inserire agevolmente i rossobruni. Il caso del Donbass è emblematico, adottando una chiave di lettura puramente geopolitica ci si trova di fronte al paradosso di certuni che sostengono gruppi combattenti su entrambi gli schieramenti del conflitto. L’esempio più noto di questa contraddizione è quello di Casapound che contemporaneamente sostiene sia il Battaglione nazista Azov (che è parte integrante delle Forze Armate Ucraine) sia molti gruppi della micro galassia ultra-nazionalista pro-Donbass. Tuttavia si deve segnalare che forse nello specifico di questo caso ci si trova anche di fronte ad un tentativo di riparazione: non è un mistero che sulla “Crisi ucraina” Casapound cerchi di riposizionarsi per non creare ulteriori imbarazzi alla Lega Nord.
Quindi si ha la prova provata che questa impostazione è una patetica forzatura che talvolta è anche strumentale ad operazioni politiche.
Si deve altresì considerare la non remota possibilità che in Italia questi fenomeni possano essere anche la copertura per ingerenze o per qualcosa di più misero e meschino (come dei tentativi di accreditamento o arruffianamento).
Bisogna avere chiaro dove finisce il tatticismo e dove inizia il collaborazionismo. In Italia ogni antifascista ha il dovere di combattere, con la dialettica democratica, questo genere di derive: serve una condanna chiara e unitaria di questi fenomeni, seguita dall’emarginazione di chi persevera nell’ambiguità.
Noi i fascisti qui li combattiamo anche in un’altra maniera, con più risolutezza. Pertanto crediamo che sia chiaro da che parte stiamo e come operiamo. Noi non ci arrendiamo né di fronte ai cannoni dei nemici, né a laide operazioni revisioniste.
Siamo antifascisti.

*Nemo – Commissario Politico InterUnit

LNR fronte nord-ovest

6 gennaio 2016

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