Come stiamo cercando di far notare ai nostri lettori, i media di regime sono impegnati ormai da giorni in un intenso lavoro di maquillage sull’immagine dei nazisti ucraini, che hanno milizie inquadrate nell’esercito regolare. E’ un lavoro duro, davvero improbo, bisogna dire. Praticamente impossibile.
I nomi dei loro battaglioni sono ormai inseriti nella “storia universale dell’infamia“, come avrebbe forse fatto in modo eccellente Jorge Luis Borges: Azov, AIdar, ecc.
Abbiamo segnalato il Corriere della Sera, che ha fatto un panegirico di Denis Projipenko, comandante militare del battaglione Azov, ormai circondato a Mariupol. Il “democratico” Zelenskij, teoricamente insospettabile in quanto ebreo, gli ha conferito nella stesse ore una onoreficenza per il suo “eroismo”.
Immediatamente a ruota è seguita l’ultra democratica e “di sinistra” Repubblica con un’intervista al “comandante Kuharchuck” (abbondano i comandanti, da quelle parti), invitato a declinare la sua preparazione filosofica: “Non sono nazista, ai soldati leggo Kant. Lottiamo per la nazione“. Anche Eichmann, al processo, espresse una preferenza di questo tipo, ma venne giustamente considerata una balla.
Kuharchuck parla da Kiev, però. non da Mariupol. E nella capitale sembra si sia rifugiato anche il fondatore del “battaglione” – Andrіj Jevgenovyč Bіlec’kyj – cofondatore del movimento Assemblea Social-nazionale e fino al 2019 deputato al parlamento.
Anche Wikipedia non può fare a meno di citare tra sue “pillole di mocrazia” frasi come queste: scopo del battaglione e della sua formazione politica è “la protezione della razza bianca creando un sistema di “nazionecrazia antidemocratico e anticapitalista” e l’eradicazione di “capitale speculativo sionista internazionale“.
Nel 2010, Bіlec’kyj aveva peraltro giurato che la missione della “nazione ucraina” era quella di “guidare le razze bianche del mondo in una crociata finale… contro gli Untermenschen guidati dai semiti“. Tutte cose che al Corriere e a Repubblica vengono ora dipinte come “intemperanze ultra-nazionaliste”, ma perfettamente inseribili nel “campo della democrazia”.
Sottolineiamo su quelle colonne la cancellazione del termine nazista, sostituito dal più tranquillizzante ultra nazionalista.
Per restituire al lettore qualche informazione più attendibile sui nazisti ucraini e il loro profondo legame con gli Stati Uniti, ci sembra utile riproporre l’articolo di Stephen F. Cohen, ex docente alle università di Princeton e New York. Un progressista anticomunista, come potrete capire, ma non per questo cieco davanti al nazismo risorgente.
Scritto quattro anni fa, di sicuro non è influenzato dalle vicende attuali. Ma è inutile chiedersi se a Repubblica o il Corriere abbiano mai letto qualcosa di diverso dai comunicati della Nato o dai mattinali di questura…
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La collusione dell’America con i neonazisti ucraini
Stephen F. Cohen
2 maggio 2018
La narrativa ortodossa dei media politici americani incolpa solo la “Russia di Putin” per la nuova guerra fredda russo-statunitense [la tensione, come si sa, non è nata ora, ndr]. Mantenere questa verità (al massimo) parziale coinvolge varie pratiche scorrette dei media mainstream, tra cui la mancanza di contesto storico; la segnalazione basata su “fatti” non verificati e fonti selettive; la parzialità editoriale; e l’esclusione, persino l’insulto, dei sostenitori di narrazioni esplicative alternative come “apologeti del Cremlino” e portatori di “propaganda russa”.
Un esempio straordinario è apparso il 1 maggio, quando Jim Sciutto, il principale fornitore alla CNN di accuse sul Russiagate, ha twittato che “Jill Stein sta… ripetendo le narrazioni russe sulla loro interferenza nelle elezioni del 2016 e sulla politica estera degli Stati Uniti“.
Nella misura in cui Sciutto rappresenta la CNN, come fa quasi ogni sera in onda, è utile sapere cosa pensa realmente questo influente network su un terzo partito legittimo nella democrazia elettorale americana e sul suo candidato presidenziale. E anche di molti americani ben informati che non hanno sostenuto Stein o il suo partito, ma che sono in forte disaccordo con le posizioni “ortodosse” della CNN sul Russiagate e sulla politica estera degli Stati Uniti.
Non meno importante, tuttavia, è la natura altamente selettiva della narrazione mainstream della nuova guerra fredda, ciò che sceglie di presentare e ciò che virtualmente omette.
Tra le omissioni, poche realtà sono più importanti del ruolo giocato dalle forze neofasciste nell’Ucraina sostenuta dagli USA e governata da Kiev dal 2014. Nemmeno molti americani che seguono le notizie internazionali sanno quanto segue, per esempio:
§ Che i cecchini che hanno ucciso decine di manifestanti e poliziotti in piazza Maidan a Kiev nel febbraio 2014, innescando così una “rivoluzione democratica” che ha rovesciato il presidente eletto, Viktor Yanukovych, e portato al potere un virulento regime anti-russo e filo-americano – non era né democratico né una rivoluzione, ma un violento colpo di stato che si è svolto nelle strade con il sostegno di alto livello – sono stati inviati non da Yanukovych, come viene ancora ampiamente riportato, ma invece quasi certamente dall’organizzazione neofascista Settore Destro e dai suoi co-cospiratori.
§ Il fatto che il pogrom che ha bruciato vivi mebri dell’etnia russa e altre persone a Odessa poco dopo, nel 2014, abbia risvegliato i ricordi delle squadre di sterminio naziste in Ucraina durante la seconda guerra mondiale, è stato quasi del tutto cancellato dalla narrativa mainstream americana, anche se rimane un’esperienza dolorosa e rivelatrice per molti ucraini.
§ Che il Battaglione Azov – circa 3.000 combattenti ben armati, che ha giocato un ruolo importante nella guerra civile ucraina e ora è una componente ufficiale delle forze armate di Kiev – è dichiaratamente “in parte parte” filo-nazista, come evidenziato dai suoi simboli, slogan e dichiarazioni programmatiche, e ben documentato come tale da diverse organizzazioni internazionali di monitoraggio. La legislazione del Congresso ha recentemente vietato ad Azov di ricevere qualsiasi aiuto militare degli Stati Uniti, ma è probabile che ottenga alcune delle nuove armi recentemente inviate a Kiev dall’amministrazione Trump a causa della dilagante rete di corruzione e di mercato nero del paese.
§ Che assalti simili a quelli delle truppe d’assalto contro gay, ebrei, anziani di etnia russa, e altri cittadini “impuri” sono diffusi in tutta l’Ucraina governata da Kiev, insieme a fiaccolate che ricordano quelle che alla fine infiammarono la Germania alla fine degli anni ’20 e ’30. E che la polizia e le autorità legali ufficiali non fanno praticamente nulla per prevenire questi atti neofascisti o per perseguirli. Al contrario, Kiev li ha ufficialmente incoraggiati riabilitando sistematicamente e persino commemorando i collaboratori ucraini dei pogrom di sterminio nazisti tedeschi e i loro leader [come Stepan Bandera, ndr] durante la seconda guerra mondiale, rinominando strade in loro onore, costruendo monumenti a loro, riscrivendo la storia per glorificarli, e altro.
§ O che il rapporto annuale ufficiale di Israele sull’antisemitismo nel mondo nel 2017 ha concluso che tali incidenti erano raddoppiati in Ucraina e il numero “ha superato il conteggio di tutti gli incidenti segnalati nell’intera regione“. Per regione, il rapporto intendeva il totale di tutta l’Europa orientale e di tutti gli ex territori dell’Unione Sovietica.
Non si può rimproverare agli americani di non conoscere questi fatti. Essi sono molto raramente riportati e ancor meno discussi nei media mainstream, sia nei giornali che in televisione. Per conoscerli, gli americani dovrebbero rivolgersi ai media alternativi e ai loro scrittori indipendenti, che raramente influenzano i resoconti mainstream della nuova guerra fredda.
Uno di questi importanti scrittori americani è Lev Golinkin. È meglio conosciuto per il suo libro “Uno zaino, un orso e otto casse di vodka“, un libro di memorie profondamente commovente e altamente istruttivo sulla sua vita di ragazzo portato in America dai suoi genitori immigrati dall’Ucraina orientale, ora teatro di una tragica guerra civile e per procura.
Ma Golinkin è stato anche un implacabile e meticoloso reporter del neofascismo nella “nostra” Ucraina e un difensore di altri che cercano di raccontare e opporsi ai suoi crescenti crimini. (Molti di noi che cercano informazioni affidabili si rivolgono spesso a lui).
Il significato del neonazismo in Ucraina e l’almeno tacito sostegno ufficiale degli Stati Uniti o la tolleranza nei suoi confronti dovrebbero essere compresi chiaramente:
§ Tutto questo non è iniziato sotto il presidente Trump, ma sotto il presidente George W. Bush, quando la “rivoluzione arancione” dell’allora presidente ucraino Viktor Yushchenko (dal 2004, ndr) ha iniziato a riabilitare gli assassini di ebrei del tempo di guerra dell’Ucraina, ed è cresciuto sotto il presidente Obama, che, insieme al vicepresidente Joseph Biden, sono stati profondamente complici del colpo di stato di Maidan e di ciò che è seguito.
Anche allora i media mainstream americani se ne sono a malapena accorti. Ancora peggio, quando un fondatore di un partito neonazista, e ora “ripulito” come speaker del parlamento ucraino, ha visitato Washington nel 2017, è stato largamente ricevuato dai principali politici americani, tra cui il senatore John McCain e il rappresentante Paul Ryan. Immaginate il messaggio che questo ha inviato in Ucraina e altrove.
§ Il revival fascista o neonazista è in corso oggi in molti paesi, dall’Europa agli Stati Uniti, ma la versione ucraina è di speciale importanza e costituisce un pericolo particolare. Un grande movimento fascista, in crescita e ben armato, è riapparso in un grande paese europeo che è l’epicentro politico della nuova guerra fredda tra Stati Uniti e Russia, un movimento che non nega affatto l’Olocausto, anzi lo glorifica.
Potrebbero tali forze andare al potere a Kiev? I suoi minimizzatori americani dicono “mai”, perché hanno troppo poco sostegno pubblico (anche se forse più di quanto ne abbia oggi il presidente ucraino Petro Poroshenko).
Ma lo stesso era stato detto del partito di Lenin o di quello di Hitler fino a quando la Russia e la Germania sono scese nel caos e nell’illegalità. E un recente articolo di Amnesty International riporta che Kiev sta perdendo il controllo sui gruppi radicali e il monopolio dello stato sull’uso della forza.
§ Per quattro anni, l’establishment politico-mediatico statunitense, compresi molti eminenti ebrei americani e le loro organizzazioni, nel migliore dei casi ha ignorato o tollerato il neonazismo ucraino e nel peggiore lo ha favorito sostenendo senza riserve Kiev.
Per esempio, il New York Times può riferire a lungo sulla corruzione in Ucraina, ma non sulle manifestazioni molto frequenti di neofascismo. E quando George Will lamenta la recrudescenza dell’antisemitismo oggi, cita il partito laburista britannico ma non l’Ucraina.
Quando il fascismo ucraino viene occasionalmente riconosciuto, una banda ben piazzata di fanatici pro-Kiev afferma rapidamente: “forse, ma il vero fascista è il nemico numero uno dell’America, il presidente russo Vladimir Putin“.
Qualunque siano le mancanze di Putin, questa affermazione è cinica o totalmente disinformata. Niente nelle dichiarazioni di Putin, in 18 anni di potere, è simile al fascismo, il cui credo centrale è un culto del sangue basato sulla presunta superiorità di un’etnia su tutte le altre. Come capo di un vasto stato multietnico, tali dichiarazioni di Putin sarebbero inconcepibili e un suicidio politico.
Ci sono, naturalmente, attivisti neofascisti in Russia, ma molti di loro sono stati imprigionati. Né è fattibile un movimento fascista di massa in Russia, dove tanti milioni di persone sono morte nella guerra contro la Germania nazista, una guerra che ha colpito direttamente Putin e ha chiaramente lasciato un segno “formativo” su di lui.
Sebbene sia nato dopo la guerra, sua madre e suo padre sono sopravvissuti a malapena a ferite e malattie quasi fatali, suo fratello maggiore è morto nel lungo assedio tedesco di Leningrado, e diversi zii sono morti.
Ancora di più, non c’è antisemitismo evidente in Putin. Infatti, è ampiamente detto, sia in Russia che in Israele, che la vita per gli ebrei russi è migliore sotto Putin di quanto non sia mai stata nella lunga storia di quel paese.
§ Non ci consta, quindi, la responsabilità di Putin per il risorgere del fascismo in un grande paese europeo, ma la vergogna dell’America e la possibile macchia indelebile sulla sua reputazione storica per averlo tollerato anche solo con il silenzio.
Almeno fino a poco tempo fa. Il 23 aprile, un coraggioso deputato della California al primo mandato, Ro Khanna, ha redatto una lettera pubblica al Dipartimento di Stato, cofirmata da altri 56 membri della Camera, chiedendo al governo americano di parlare e prendere provvedimenti contro la recrudescenza dell’antisemitismo ufficiale e del negazionismo dell’Olocausto sia in Ucraina che in Polonia.
Nella storia della nuova e più pericolosa guerra fredda, “Ro”, come sembra essere conosciuto da molti a Washington, è un raro esempio di coraggio, così come i suoi cofirmatari. Vedremo cosa verrà fuori dal loro atto, saggio e morale.
In una vera democrazia rappresentativa, ogni membro del Congresso avrebbe firmato l’appello e ogni giornale importante avrebbe dato il suo sostegno editoriale. Ma non sorprende che i media tradizionali non abbiano ancora riferito dell’iniziativa certamente degna di nota del rappresentante Khanna; anzi, sempre non sorprendentemente, è stato diffamato – e prontamente difeso dall’inestimabile Lev Golinkin.
L’esperienza dei 40 anni precedenti ha insegnato che la guerra fredda può corrompere anche la democrazia americana – politicamente, economicamente, moralmente. Ci sono molti esempi di come la nuova edizione ha già degradato i media americani, i politici, persino gli studiosi.
Ma la prova acida oggi potrebbe essere la reazione delle nostre élite al neofascismo nell’Ucraina sostenuta dagli USA. Protestare non è “una questione ebraica”, ma americana. Tuttavia, è opportuno parafrasare di nuovo il filosofo ebreo Hillel: Se non ora, quando? Se non noi, chi?
* da The Nation
Stephen F. Cohen è un professore emerito di studi russi e politica alla New York University e alla Princeton University. Redattore di Nation, il suo libro più recente, War With Russia? From Putin & Ukraine to Trump & Russiagate, è disponibile in brossura e in edizione ebook. Le sue conversazioni settimanali con il conduttore del John Batchelor Show, ora nel loro settimo anno, sono disponibili su https://www.thenation.com/.
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