Snobbato e infangato dalla grande stampa italiana, Jean-Luc Mélenchon – guida carismatica de La France Insoumise – ha sfiorato il sorpasso su Marine Le Pen, che andrà al ballottaggio con Emmanuel Macron come cinque anni fa.
Una primissima analisi dei dati riferisce di un 27,6% per il banchiere-presidente in carica e di un 23,4 per la storica esponente del fascismo francese, figlia “furba” di Jean Marie, di cui ha fatto dimenticare i fantasmi di Vichy ammorbidendo i risvolti più imbarazzanti dell’identità nazionalista.
Terzo per un soffio il vecchio leone di Marsiglia, con il 21,9%, che si conferma l’unica alternativa reale a un establishment impossibilitato ad essere “popolare” perché schiacciato sugli interessi della grande borghesia multinazionale europea. Di fatto, il bipolarismo non esiste più neanche nel paese che ha fatto del “bipolarismo obbligato” – con le leggi elettorali – il cuore della politica istituzionale.
Il pluridecennale tentativo di stringere la dialettica politica al confronto tra una destra impresentabile e un “centro tecnocratico” è ormai al punto finale. Ed è tutto merito di chi è riuscito a mettere insieme un credibile “polo alternativo”, popolare e anti-tecnoburocrazie continentali.
Dentro le urne si è clamorosamente sgonfiata la “bolla” razzista di Eric Zemmour, fermatosi al 7%. Sembrava ad un certo punto destinato a sostituire la Le Pen, con un discorso che voleva sembrare più “radicale” – soprattutto contro i musulmani – ma era invece solo più volgare.
Dispersi tutti gli altri candidati, a cominciare dagli ultimi epigoni del gollismo – come Valérie Pécresse – addirittura sotto la soglia del 5% (cinque anni fa erano ancora sopra il 20%, pur arrivando terzi). Quasi alla pari con l’esponente dei presunti “verdi”, Yanick Jadot, che s’è affrettato a garantire i propri voti per Macron, al secondo turno, a dimostrazione di una “alternatività” ridotta a puro bla bla bla.
Sparisce definitivamente il partito socialista, con la sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, ferma a un 1,5% che sa di dissoluzione. Stiamo parlando del partito che aveva a lungo dominato la politica francese, da Mitterand al pasticcione Hollande, insieme agli eredi di De Gaulle (da Chirac a Sarkozy).
Ora tutta l’attenzione – e la preoccupazione – dell’establishment si concentra sul ballottaggio, da cui uscirà fuori il prossimo presidente. Stavolta, dicono tutti, i parafascisti potrebbero farcela, rovesciando molte certezze accumulate dalla Francia e dall’Unione Europea.
In apparenza, il partito della Le Pen (Rassemblement Nationale) si caratterizza per il forte nazionalismo e la diffidenza per Bruxelles. Ma questo è dovuto soprattutto alla “furbizia” di questa leadership, che sa cogliere le insofferenze popolari e usarle strumentalmente per affermarsi.
Ma ben pochi credono – anche se la grande stampa grida al pericolo – che l’eventuale vittoria lepenista stravolgerebbe gli “equilibri europei”, avviando la lenta dissoluzione di una costruzione molto tecnocratica e molto lontana (o ostile) dai popoli.
Come per i “cugini italiani” (Meloni e Salvini), gli slogan “sovranisti” di Le Pen sono più una vernice che non un’architettura destinata a durare. Sensibile com’è al potere economico, difficilmente potrebbe mettere sottosopra la struttura dei trattati esistenti. Al massimo, potrebbe rendere più complicato l’accordo sui prossimi passaggi, concedendo meno al potente vicino tedesco e sottraendo di più a Italia e Spagna.
L’architettura europea, d’altra parte, sta subendo colpi durissimi più dall’”alleato” americano – la rottura quasi completa dei rapporti con la Russia e i vincoli posti a quelli con la Cina – che non dai presunti “sovranisti” continentali. Fanno eccezione quelli dell’Est (il “gruppo di Visegrad”), che sembrano ormai una pedina Usa, più che membri dell’Unione a 27.
Ben più radicale sarebbe stata la scelta francese se fosse stato Mélenchon l’avversario di Macron al ballottaggio. In questo caso le ragioni “di classe” e popolari avrebbero avuto un peso reale. Ed anche la critica feroce all’Unione Europea sarebbe stata non solo più sincera, ma anche più gravida di effetti concreti.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa
Luca
Ringraziamo il partito comunista francese per aver impedito a Melenchon di andare al ballottaggio
yuri la
Non puoi attribuire la presunta colpa unilateralmente, ci sono poi altri fattori ben più sostanziali, vedi l’astensionismo, che certo non va da una sola parte, posto che lo si convinca ad andare. Conti della serva a parte, mi piacerebbe davvero capire come mai le strade si siano separate dopo la tornata precedente, che faceva ben sperare, se non altro per andare contro a ciò che gli altri già si affrettavano a ribadire.
Maurizio
Ottima analisi.
Come diceva quella canzone di Silvie Vartan ?…piano piano, ma inesorabilmente torno da te…Certo sembra evidente che gli elettori stiano capendo dovunque in Europa che viviamo nel regno dell’apparenza della Democrazia e non nella sua sostanza. Cioè si vota per cambiare il maggiordomo ma il padrone è sempre quello.
Francesco De Santis
analisi superficiale , ovvia ma lacunosa su che cosa e per chi votare al 2° turno ….oppure siete d’accordo a non votare Le Pen ., e quindi votare quello che nell’analisi considerate il peggiore dei mali?
Redazione Roma
Forse le sfugge il dettaglio che noi non votiamo in Francia e che al ballottaggio comunque non devi per forza votare per uno dei candidati in corsa. Il meno peggio è finito da un pezzo
Francesco De Santis
Cara redazione non mi sfugge affatto quanto da voi asserito….dico solo che da comunista vero voterei la Le Pen l’alternativa è puntellare ancora una volta il Sistema marcio , il liberismo selvaggio…si scompagina il gioco poi si vedrà.
Redazione Contropiano
A votare Le Pen ci si seccherebbe il braccio… L’astensione, in casi come questo, è d’obbligo. Ma a decidere è sempre la lotta, più che il voto…
Francesco De Santis
Speriamo in un Melenchon italiano…o no?
Mauro
Chi vive di Speranza…