Giovanni Savino, professore di storia presso l’Accademia Presidenziale di Mosca, da anni ha incentrato i suoi studi sui nazionalismi russo e ucraino del primo Novecento. L’estrema attualità di tali fenomeni ha smentito brutalmente chi credeva, anche in ambito accademico, che si trattasse di materia per “archeologi” più che per storici contemporanei.
Autore di numerose pubblicazioni scientifiche e giornalistiche, animatore del dibattito pubblico sugli scenari politici russi qui in Italia, quale osservatore privilegiato di quelle dinamiche, sin da subito ha assunto una posizione critica nei confronti della guerra contro l’Ucraina.
Per questi motivi, per sottrarsi alla repressione di regime, subito dopo l’introduzione di una legge liberticida approvata dalla Duma all’unanimità lo scorso 4 marzo, ha dovuto abbandonare Mosca per rientrare in Italia.
A breve la “Federico II University Press” darà alle stampe il suo ultimo lavoro intitolato “Il nazionalismo russo, 1900-1914: ideologia, politica, società”.
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Prof. Savino, nei media nostrani impera, soprattutto nelle ultime settimane, una semplificazione estrema del panorama politico e istituzionale russo, per cui tutto viene ridotto alla sola figura di Putin. Dunque, preliminarmente vorrei chiederle alcune delucidazioni brevi sulla forma di governo attuale in Russia e i ruoli del Presidente della Federazione e della Duma.
Il sistema politico e istituzionale russo è fortemente squilibrato, elemento espresso anche nella Costituzione del 1993, emendata due anni fa in alcune parti su iniziativa di Putin.
Questo squilibrio si basa su una forte prevalenza dell’istituto presidenziale, che di fatto prevale in ogni aspetto di governo: i ministri e il presidente del Consiglio sono di nomina presidenziale, e non rispondono alla Duma, cioè al parlamento; non esistono quindi possibilità di condizionare, anche nel caso di una composizione parlamentare d’opposizione, l’azione di governo.
Questo elemento era ben visibile alla fine degli anni Novanta, quando, come conseguenza della presidenza di Boris Eltsin e del default del 1998, la Duma esprimeva una maggioranza totalmente all’opposizione del Cremlino, senza però riuscire a incidere realmente.
In questo senso a giocare un ruolo fondamentale nel complesso equilibrio di potere della Russia contemporanea è l’Amministrazione presidenziale, organismo non regolato dalla Costituzione, che ha in parte ereditato alcune posizioni dell’apparato del fu Comitato centrale del Pcus.
Di fatto l’Amministrazione presidenziale “doppia” in pressoché tutte le funzioni i ministeri e il governo (eccezion fatta per il ministero della Difesa), stabilendo una sorta di ulteriore controllo sull’azione legislativa; inoltre organizza le elezioni, sia presidenziali che politiche e locali.
In questo modo vi è una sorta di vera e propria “sceneggiatura” della vita politica istituzionale del paese decisa a prescindere della realtà, teorizzata nel corso degli anni anche da alcuni degli esponenti più influenti dell’Amministrazione presidenziale, prima Gleb Pavlovsky e poi il famoso Vladislav Surkov, con le formule della “democrazia sovrana” e della verticale del potere.
Il presidente ha quindi possibilità enormi di esercizio della propria autorità. Si pensi che una delle prerogative presidenziali è la nomina dei rettori delle principali università del paese.
Nei media occidentali, soprattutto a seguito della imposizione delle pesanti sanzioni contro la Russia, si sente parlare spesso dei cosiddetti “oligarchi” e delle loro immani ricchezze personali. Potrebbe descriverci a grandi linee il regime di accumulazione dominante in Russia e l’origine sociale di tali figure?
Gli oligarchi sono il frutto del passaggio dall’economia pianificata sovietica alla forma di capitalismo introdottasi in Russia e in gran parte dei paesi usciti dall’URSS all’inizio degli anni Novanta.
Le origini di chi ha fatto “fortuna” in quegli anni sono diverse, si va dai quadri medio-alti del Komsomol e del PCUS ai ricercatori di alcuni istituti dell’Accademia sovietica delle scienze, fino a veri e propri criminali.
Per quest’ultima categoria è emblematico il caso di Evgeny Prigozhin, magnate del settore della ristorazione, ritenuto finanziatore e ispiratore della cosiddetta “fabbrica dei troll” e della compagnia di mercenari Wagner.
Negli anni Novanta e Duemila gli oligarchi potevano contare su forti entrature, e in alcuni casi una vera e propria partecipazione, nel potere russo, determinando fortune e disgrazie di uomini politici e di amministrazioni. Ormai è storia, l’entourage di Eltsin, la cosiddetta “famiglia”, basava il proprio potere su questo blocco oligarchico.
L’accumulazione “originaria” degli oligarchi – per usare una categoria della discussione marxista d’inizio Novecento – aveva però nel suo seno le contraddizioni che portarono il potere di queste figure alla disgregazione a inizio anni Duemila.
Putin, di cui spesso si dimentica la “nomina” voluta e sponsorizzata dalla “famiglia” come garante del mantenimento dell’ordine socio-economico stabilitosi con Eltsin, ha usato alcuni oligarchi contro altri (ad esempio, Khodorkovsky), allo stesso tempo dando una centralità enorme al ruolo degli apparati dei servizi di sicurezza.
E son proprio i siloviki (da “sila” – forza) a essere la base del potere putiniano oggi, per cui le sanzioni funzionano fino a un certo punto, perché non colpiscono questa categoria, che sin dal 2012 si trova con l’espatrio vietato e che ha i propri interessi economici (rilevantissimi) nel paese, e rafforzatasi nel corso dell’ultimo decennio, soprattutto nell’ultimo anno.
Quindi gli oligarchi sono un aspetto importante del sistema russo, ma politicamente non riescono, per aver rinunciato (forzosamente o meno) alla politica già nel corso degli anni Duemila, ad essere decisivi nel determinare le dinamiche di potere in Russia.
La propaganda di guerra occidentale non consente di fare chiarezza sul panorama politico russo. Esiste una opposizione politica e sociale al regime putiniano? Essa esprime soltanto istanze “liberali” (Kodorkovsky, Kasparov, Navalny…) oppure ha anche connotazioni politiche differenti?
La società russa è una società profondamente depoliticizzata, processo dovuto a varie ragioni. La prima di queste è sicuramente legata al passaggio dall’Urss alla Russia, quindi da un sistema sociale all’altro, un’altra è la restrizione degli spazi sociali e politici avvenuta sin dagli anni Novanta e accentuatasi con Putin.
Il sistema di potere costruito dal presidente russo si è basato, per più di un decennio, su una specie di compromesso sociale, in cui una minima parte delle enormi ricchezze ricavate dall’aumento dei prezzi di petrolio e gas è arrivata a fasce importanti della società, e in cambio si è preteso di non disturbare il conducente.
In questo periodo il potere in Russia si rappresentava come una specie di cda di una grande holding, con Putin alla guida a mo’ di abile e assai fortunato CEO.
La combinazione di crescita economica e repressione selettiva ha funzionato fino a quando i prezzi non sono scesi, all’inizio degli anni Dieci: da quel momento è andata maturando la svolta nazional-imperiale nella retorica del potere e si sono perfezionate le modalità di repressione, diventate di massa in certi momenti.
Questo non vuol dire che non esistano lotte e mobilitazioni: vi sono state importanti vertenze locali, soprattutto di carattere ambientale, che in alcuni casi son riuscite a vincere, come successo a Shies, località della regione di Arcangelo, dove si voleva aprire una megadiscarica di rifiuti urbani e industriali provenienti da Mosca.
Quella lotta è durata per due anni, dal 2018 al 2020, e ha vinto, il progetto della megadiscarica è stato abbandonato.
Esempi del genere, di lotte piccole e grandi, vincenti e non, ve ne sono in tutto il paese, quel che manca spesso è la possibilità di coordinare queste mobilitazioni, e qui si vede la debolezza dell’opposizione sociale, che manca della forza e del radicamento necessari a creare le condizioni per unire uno scontento diffuso e riuscirlo a politicizzare.
Questo ha come effetto anche l’ascolto di cui ha goduto Navalny nel corso dell’ultimo decennio, perché con poche parole chiave e con forti elementi di populismo – in alcuni momenti persino “sinistreggiante” – è riuscito a intercettare il disagio presente in una parte importante della società, soprattutto tra i giovani, e a essere un fenomeno ben più duraturo e stabile di Khodorkovsky o Kasparov. Del secondo ormai son solo alcuni media occidentali a ricordarsene.
Qual è lo stato dell’arte dei sindacati e del conflitto sociale in Russia?
Vi sono alcuni settori sindacali particolarmente combattivi, che hanno costruito anche una presenza significativa per tutto un periodo, come nell’industria automobilistica, dove il sindacato di categoria MPRA ha organizzato lotte importanti negli stabilimenti Volkswagen a Vsevolozhsk, vicino Pietroburgo, e a Kaluga, svolgendo anche un ruolo di aggregazione di attivisti provenienti da mobilitazioni in altri settori.
Vi è però una debolezza forte del sindacato e della percezione di esso come strumento di lotta e organizzatore collettivo delle lotte dei lavoratori, dovuta sia all’esistenza di organizzazioni sindacali molto peggiori di certo consociativismo italiano, il cui ruolo essenzialmente consiste nel firmare i contratti sui posti di lavoro e organizzare attività di tipo dopolavoristico, sia a un codice del lavoro particolarmente penalizzante nei confronti dei lavoratori.
Giusto per fare due esempi: 1) in Russia non esiste il contratto collettivo nazionale di lavoro: in ogni fabbrica, scuola, università vi sono condizioni diverse; 2) solo una minima parte del salario, quello considerato “base”, è soggetto a versamenti previdenziali.
Questo significa che la maggioranza dello stipendio consiste in “premi”, elargiti dal datore di lavoro, e quindi soggetti sempre a ricatto.
Esiste una sinistra di classe in Russia? Al suo interno i comunisti che ruolo assumono? Hanno un peso politico reale tali formazioni e, tra di esse, qual è il ruolo del PCFR nello scenario politico complessivo e quali politiche promuove?
Esiste una piccola sinistra di classe, spesso divisa su questioni ideologiche, ma che negli ultimi anni, prima della guerra scoppiata nelle scorse settimane, era riuscita a trovare degli sbocchi unitari.
Vi è una forte frammentazione dovuta sia al ruolo del PCFR, sia alle questioni ideologiche, che alle pressioni enormi da parte dell’apparato statale e repressivo, che sono un ostacolo.
Il PCFR ha un ruolo molto particolare, perché vede i suoi vertici da ormai più di due decenni cooptati nel sistema di potere e quindi Zyuganov e la direzione rispondono direttamente all’Amministrazione presidenziale. È un legame visibile quando si assumono posizioni considerate dalle autorità troppo radicali.
Ad esempio, lo scorso settembre, all’indomani dei risultati delle elezioni alla Duma, dove esponenti della sinistra di classe e del sindacalismo combattivo erano stati candidati nelle liste del PCFR con ottimi risultati scippati dai brogli elettorali (si veda il caso del sindacalista Mikhail Lobanov, in uno dei collegi di Mosca), vi sono state proteste da parte degli attivisti.
La polizia ha circondato la sede moscovita del partito, trattenendo gli avvocati che lavoravano ai ricorsi da presentare in tribunale, sono stati arrestati alcuni dirigenti e il principale esponente delle posizioni più dure verso il Cremlino, il deputato Valery Rakshin, si trova ora ad affrontare un processo con l’accusa di aver ucciso un alce, un tentativo alquanto curioso di estromissione.
Nelle regioni russe la pressione su quei dirigenti e attivisti del PCFR all’opposizione della linea del Cremlino è alta. A fine febbraio il popolare deputato regionale di Saratov Nikolay Bondarenko, il cui canale YouTube ha quasi 2 milioni di follower, è stato privato del proprio mandato con un’accusa di evasione fiscale alquanto bizzarra.
In realtà le ragioni della persecuzione di Bondarenko sono nella sua capacità di intercettare gli umori della popolazione anche con iniziative molto particolari, come quando nel 2018, anno di approvazione della riforma delle pensioni, provò a vivere con 3500 rubli (43 euro e 95 al cambio del 13 aprile) per un mese, la somma della pensione media nella regione di Saratov.
I comunisti russi come si sono posti di fronte alla guerra? Hanno relazioni con altre organizzazioni gemelle ucraine? Quali eventuali relazioni mantengono in questo scenario bellico?
La guerra divide, non è una novità per il movimento socialista e comunista. Zyuganov sostiene apertamente la cosiddetta “operazione speciale” e la frazione del PCFR ha votato alla Duma il riconoscimento delle repubbliche popolari (tra l’altro, la mozione era stata presentata proprio dai comunisti), ma tre deputati – Mikhail Matveev, Vyacheslav Markhaev e Oleg Smolin – hanno poi dichiarato di essere contro la guerra, e che votare per il riconoscimento non voleva dire sostenere la guerra in Ucraina.
Il Levyi Front, il Fronte di Sinistra capeggiato da Sergey Udaltsov, già in galera dal 2014 al 2017, si è spaccato tra un’ala, diretta dal leader storico, favorevole alla guerra, e un’altra invece totalmente contraria.
Un’altra organizzazione significativa, il Rot front, si è espressa contro la guerra, riprendendo la posizione del KKE di condanna dell’intervento russo, e il suo dirigente Alexander Batov ha fatto appello alla propaganda comunista antimilitarista nell’esercito.
Sempre nell’estrema sinistra, altre organizzazioni, come il Movimento socialista russo, d’ispirazione quartinternazionalista, e il Partito rivoluzionario operaio, hanno preso posizioni antimilitariste.
Il Partito comunista unificato, che aveva raccolto qualche anno fa alcune delle scissioni dal PCFR, ha adottato nella risoluzione votata dal proprio Comitato centrale una posizione poco definita, perché si colloca all’opposizione del Cremlino, ne condanna le politiche antipopolari e critica anche in modo preciso la totale assenza di un programma in grado quantomeno di attenuare le conseguenze delle sanzioni, ma esprime sostegno alla “denazificazione”. E, anzi, critica le autorità russe per non attuarla davvero.
In questo contesto, le relazioni con le organizzazioni ucraine sono difficili per molte delle realtà russe, e questo è dovuto anche allo stato dell’estrema sinistra in Ucraina, anch’essa devastata dal periodo 2014-2022, divisa in varie posizioni, con inoltre il divieto di attività per alcune organizzazioni, considerate filorusse.
L’antagonismo sociale, vera e unica risposta alla follia della guerra, in questo momento in Russia è debole, ma non è detto che questa situazione durerà per sempre: le contraddizioni potrebbero acuirsi e portare a una nuova fase, dove alla depoliticizzazione della società potrebbe sostituirsi un altro tipo di prospettiva.
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antonio
ecco ora uno “SGUARDO” più attento, preciso e concreto di quanto è presente nella società russa (exsovietica), nella quale ciò che viene narrato, comunicato da un sistema massmediatico – ancora fermo al pre ’89 – passato ora da una “guerra fredda” ad una ben peggiore …”guerra calda”! Guerra che ritiene migliore e utile per distorcerne maliziosamente realtà altrimenti difficili – se non spiegabili – poiché non allineate al loro essere agenti di un corrotto sistema occidentalistico, eurocentrico!
Ai nostri orizzonti ora appare ancora più nitida la minaccia di un sistema capitalista – neoliberista e liberale – in declino e morente il quale sta attentando “come una bestia costretta all’angolo che sferra terribili “colpi di coda” con questa “guerra” e i suoi sviluppi alla incolumità dell’intero pianeta.
Rompere l’uovo di Pasqua sarà come rompre quell’uovo del serpente che qualcuno sta covando da tempo.
Auguri
…sciogliete ora le vostre “campane” ….o “campanari squallidi da strapazzo!