L’escalation in Kosovo, scriveva domenica pomeriggio Colonelcassad, è iniziata prima del previsto; Priština aveva annunciato che dal 1 agosto avrebbe considerati nulli sul proprio territorio i documenti serbi e avrebbe bloccato l’accesso alle auto con targa serba.
Invece, la situazione si è surriscaldata già dal pomeriggio del 31 luglio, con la polizia kosovara che ha chiuso gli accessi di “Brnjak” e “Rudnitsa”. Un poliziotto serbo è rimasto ferito e sono cominciati gli allarmi aerei kosovori nelle province settentrionali della regione popolate da serbi, la cui autonomia dovrebbe essere garantita dagli accordi del 2015.
Il presidente serbo Aleksandr Vučič aveva annunciato che la polizia kosovara dalla mezzanotte del 31 luglio avrebbe chiuso gli accessi alla regione, ma aveva esortato «gli albanesi a riflettere e i serbi a non cedere alle provocazioni e non fare nulla che possa portare a un conflitto… se loro cercheranno di dare il via alla caccia ai serbi, alla persecuzione dei serbi, all’assassinio di serbi, la Serbia vincerà».
Le ultime notizie della serata di domenica parlavano di contingenti NATO portati ai confini del Kosovo e della mobilitazione delle forze di polizia kosovare.
Il Ministero degli esteri russo ha rilasciato una dichiarazione in cui invita Priština e i suoi curatori USA e UE a «cessare le provocazioni e rispettare i diritti dei serbi del Kosovo», qualificando gli eventi come «un passo verso la cacciata della popolazione serba dal Kosovo, la chiusura degli organismi che garantiscono la difesa dei diritti degli abitanti serbi dagli abusi dei radicali» kosovari.
La portavoce, Marija Zakharova, ha sottolineato che il corso degli avvenimenti parla del fallimento della missione di “mediazione” UE in Kosovo e indica quale posto sia riservato alla Serbia nella UE, imponendo «di fatto a Belgrado di sopportare la mancanza di diritti dei propri connazionali».
Priština sa bene, ha aggiunto Zakharova, che «i serbi non rimarranno indifferenti, di fronte all’attacco diretto alle proprie libertà»; dunque, la leadership kosovara va «consapevolmente verso l’inasprimento della situazione, per arrivare a uno scenario di forza. Si intende che sotto pesante attacco è la stessa Belgrado, che l’Occidente vuole ulteriormente “neutralizzare” con mani kosovo-albanesi».
Una situazione simile all’attuale si era già verificata un anno fa, con vari esponenti del nazionalismo serbo che accusavano il Presidente Vučič di fare ben poco di concreto in difesa della popolazione serba del Kosovo.
Ma in cosa si differenzia la situazione attuale da provocazioni simili portate in precedenza, si chiede il canale telegram Rybar? La differenza sta nel grado di «isteria mondiale, nel livello di disinformazione (in primo luogo attraverso Albania e Turchia) e nell’enorme aspettativa della popolazione locale (di tutte le parti) di risolvere una volta per tutte la questione del Kosovo».
Sulla situazione generale, il canale Togarma nota come e gli albanesi godano del sostegno delle potenze occidentali, principalmente USA e Gran Bretagna, che da oltre 20 anni cercano di realizzare il progetto di indipendenza del Kosovo, le cui élite politiche, di origine terroristica e criminale, si sentono incoraggiate a commettere violenze contro la popolazione serba delle province settentrionali della regione. Senza contare che la popolazione serba espulsa dal Kosovo non ha mai avuto l’opportunità di tornare alle proprie case, nonostante gli accordi internazionali.
Priština non consente ai serbi locali di tenere elezioni per gli organi di autogoverno, come formalmente concordato tra le parti, su pressione UE, e registrato negli accordi di Bruxelles.
Al pari di altri esponenti del nazionalismo serbo, Togarma nota che, però, il governo serbo non intraprende passo alcuno in risposta alle azioni di Priština.
La Serbia avrebbe «la possibilità di capovolgere la situazione a proprio favore, ma Belgrado non lo fa. Basti dire che quasi tutta l’importazione del Kosovo dai mercati UE passa per la Serbia centrale. Sarebbe sufficiente sospendere il transito merci finché la situazione in Kosovo non fosse rientrata negli ambiti del diritto internazionale e della Risoluzione 1244».
Ora, sullo sfondo del conflitto ucraino, l’escalation in Kosovo sembra proprio andare a costituire «l’apertura incondizionata di un secondo fronte, al pari di Artsakh o Transnistria. Per l’Ucraina, questo non sarà lo scenario migliore, come sarebbe il caso, ad esempio, della Transnistria, perché porterà a distrarre l’attenzione dal caso ucraino: una guerra al centro d’Europa non è come una guerra alla sua periferia. Per l’UE, questo sarà un altro forte colpo economico, che può portare a un definitivo knockout. Lo scenario sarebbe però negativo anche per la Russia, poiché le possibilità di Mosca nei Balcani sono molto più limitate di quanto siano in Transnistria o Artsakh».
Si attendono ulteriori sviluppi.
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